"Viv, il cioccolato è buono, sexy, attraente ma fa male al tuo fisico. Bisogna assumerne in piccole dosi per non fare indigestione; l'arancia invece è un frutto, è succoso, pieno di vitamina C, un elisir di lunga vita per il tuo corpo.
Tu in questo...
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Io e l'attesa eravamo due pessime amiche: lei, l'alunna perfetta in camicetta inamidata e capelli raccolti, io la punkabbestia con i Dr. Martens sul banco della scuola. E se provavamo a sfiorarci, scattavano le scintille.
Basti pensare che per Natale iniziavo ad aprire i regali qualche giorno prima, per colmare la mancanza di attesa, arrivando così alla mattina del 25 con solo un pacchetto sotto l'albero.
Capirete quindi che la notte prima della partenza fu un tormento, aggravato dal fatto che ero a casa dei miei genitori e che la mia libertà era limitata.
Passai buona parte della notte sul divano a guardare ogni documentario di Sky tv (quanto mi mancava Netflix!) e appena andai a letto, fu un continuo giocare a tennis con il cuscino.
Riuscii ad addormentarmi qualche ora, contando gli scatoloni di roba ammucchiati in un angolo della mia camera, non tanto per pigrizia, ma per incapacità di trovare spazio in quelli che un tempo erano stati i miei armadi: mia madre li aveva riempiti di cose proprie. Avevano una casa di 200mq, armadi e cantina in cui riporre ogni cosa, eppure erano riusciti a intasare anche quel minimo spazio che ancora mi apparteneva di diritto.
Al ritorno dagli States, avrei aiutato mia madre a sistemare le sue cose per far spazio alle mie. Ora non c'era più tempo.
E al pensiero delle cose da sistemare, del tetris con scatole e maglie all'interno dell'armadio nella mia camera, mi addormentai.
Mi alzai al suono maleducato della sveglia del cellulare, mi preparai e salutando i miei genitori sulla porta, ancora in vestaglia alle 5 del mattino, salii sulla Cinquecento di Lavinia per cominciare il nostro viaggio on the road.
La prima tappa fu l'aeroporto di Bologna. Nel buio della notte, addormentata come le persone in coda con noi al check in, ero l'unica viaggiatrice carica a pallettoni, senza un goccio di caffè in corpo e lo stavo dimostrando, chiacchierando animatamente con Lavinia, il cellulare in mano per mostrarle le foto di Los Angeles e anticiparle cosa avremmo visto quel pomeriggio appena arrivate.
Lavinia mi ascoltava con sguardo fisso, segno che il suo cervello era operativo solo a metà: aveva già preso un caffè ma sapevo bene che ne aveva bisogno di un altro.
Eppure mi stava sopportando, forse perché non mi aveva più vista così raggiante da quando eravamo uscite dall'agenzia di viaggi.
«Ma perchè non si danno una mossa?» cominciai a inveire, vedendo che la fila non era avanzata di un passo. Mi sporsi di lato e vidi che la famiglia al check in stava discutendo animatamente con lo stewart.
«Vedrai che avranno ecceduto il peso del bagaglio e devono lasciare le cose giù.» rispose Lavinia, sbadigliando e coprendosi la bocca con una mano. Si appoggiò pigramente ai due trolley, uno azzurro e l'altro rosa confetto, che suscitavano occhiate di curiosità in ogni persona che ci passava accanto: la scritta "Lavi" splendeva in mezzo a un trionfo di brillantini, unicorni e cuoricini. In confronto alle mie, anonime se non per la presenza di adesivi di località turistiche in cui ero stata, le sue sembravano uscite da una fiaba Disney.