27. Macallan e Ghiaccio 🥃🧊

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Il mio male aveva un nome: endometriosi

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Il mio male aveva un nome: endometriosi.

Era un male invisibile, impossibile da individuare se non attraverso esami specifici.

Il mio male era dentro di me dalla nascita, dal momento in cui le mie cellule iniziarono a dividersi dentro l'utero di mia madre, nel momento in cui gridai il mio primo vagito.

Il mio male non era una cicatrice visibile sul viso, una malformazione fisica da sbandierare ai quattro venti: il mio male era sopito in me, un cancro silenzioso che si risvegliava nei momenti meno opportuni e che mi prosciugava le energie, rendendomi come una marionetta senza fili, in balia di crampi pelvici per cui avrei voluto invocare la morte, per porvi fine.

Il mio male era una malattia a tutti gli effetti, riconosciuta solo negli ultimi anni, una scelta di vita obbligata che non dava troppe vie di fuga ai miei sogni futuri.

«Male? Di che male sta parlando?» Dante domandò preoccupato a Lavinia, mentre io stringevo i denti tra un crampo e l'altro. Lei non rispose.

« Viv, hai qualcosa con te per il dolore?»

« Si.» sospirai, mentre sentivo le gocce di sudore imperlarmi il viso e scendere lungo la schiena. Ero completamente rannicchiata su me stessa, convinta che quella posizione potesse aiutare a distendere i muscoli pelvici, complici dei terribili crampi di cui ero vittima.

Lavinia mi aiutò a togliere lo zaino, strappandomi un gemito di dolore, e cominciò a rovistarvi dentro, alla ricerca di un antidolorifico.

Dante tratteneva il respiro, gli occhi fissi su di me, inerme, reprimendo la rabbia di non potermi aiutare.

Lui non sapeva nulla del mio male. Ero riuscita a tenerglielo nascosto sino a quel momento ma nel frangente, il segreto era stato svelato.

« Tieni. » disse Lavinia, mettendomi alle labbra l'antidolorifico « Dobbiamo subito tornare in albergo, lì hai le altre medicine che ti calmeranno. Dobbiamo chiamare un Ranger e chiedere un passaggio, mancano ancora due ore di viaggio. »

« Dobbiamo tornare sulla strada principale e ci vorrà ancora parecchio tempo a piedi.» intervenne Luis.

E mentre li sentivo perdersi nelle loro congetture, mentre cercavano un modo di accorciare il tempo e il cammino verso l'albergo, un grido di dolore eruppe dalla mia gola, annunciando una contrazione più forte delle altre. Mi rannicchiai istintivamente ancora di più, alla ricerca di un attimo di pace che non sarebbe arrivato.

«Viv.» sentii la voce strozzata della mia amica e la sua mano sulla mia spalla. Era preoccupatissima ma cercava di rimanere composta per non perdere la lucidità. Mi era già capitato di stare male davanti a lei e, dopo la prima volta di panico puro, aveva imparato a gestire le mie crisi, aiutandomi a passarle attraverso la somministrazione di medicinali e parole di incoraggiamento, che ben poco servivano al mio fisico ma aiutavano il mio animo.

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