"Viv, il cioccolato è buono, sexy, attraente ma fa male al tuo fisico. Bisogna assumerne in piccole dosi per non fare indigestione; l'arancia invece è un frutto, è succoso, pieno di vitamina C, un elisir di lunga vita per il tuo corpo.
Tu in questo...
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"Non mi capiterà mai, sono troppo attenta".
Era una frase che più di una volta mi ero detta, girando da sola per qualsiasi città. E non c'entrava essere alla luce del sole o della luna: quelle cose potevano capitare in qualsiasi momento.
Anche dall'altra parte del mondo, dove mi trovavo ora. Se era il tuo momento, nulla si sarebbe frapposto tra te e il Destino.
Per fortuna, quella notte le Parche non avevano scelto di recidere il filo della mia vita, tantomeno di rendermi l'ennesima vittima di un abuso.
E la mia fortuna, aveva i capelli castani mossi e gli occhi color dell'oro liquido, il nome di un eroe letterario del Romanticismo e una tempestività degna del dio Mercurio in persona.
Non riuscivo a muovermi in quel vicolo, ancora sconvolta da ciò che sarebbe potuto accadere, mentre Dante si rialzava dal corpo lasciato esanime del mio assalitore. Sperai che lo avesse solo tramortito e non ammazzato.
Venne da me in una falcata e appoggiò le sue mani sulle mie spalle. L'idea di essere toccata mi diede ribrezzo e con un gesto lo allontanai da me.
Lui capì e rimanendo calmo, con lo sguardo sul mio viso abbassato a terra, pronunciò il mio nome con il suono più dolce che avessi mai sentito dire.
« Viv? »
Alzai gli occhi appena, imbarazzata e spaventata, e scoppiai a piangere.
Dante provò nuovamente ad avvicinarsi e questa volta mi lasciai sfiorare i capelli dalle sue mani. Il suo profumo mi calmò immediatamente, facendomi sentire al sicuro. Tenendomi stretta a sè, mi prese in braccio come una bambina senza fatica. Appoggiai la testa al suo petto e mi lasciai cullare, con gli occhi chiusi, mentre la vergogna e la paura scivolavano via, lasciandoli in quella via poco illuminata di Las Vegas.
« Mettimi giù, Dean. » gli dissi, una volta tornati sulla via principale, per non attirare l'attenzione: l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era sentirmi altri occhi addosso.
Gli presi la mano, necessitando il suo contatto e lui non si rifiutò anzi, mi stette vicino, assecondando quel gesto, dettato dal bisogno di sentirlo accanto.
Non disse nulla, per tutto il tragitto, camminando al mio fianco in silenzio, stringendomi le dita con le sue, per infondermi la sua presenza e la forza necessaria a raggiungere l'albergo.
Attraversammo l'atrio maestoso e una volta preso l'ascensore, mi appoggiai alla parete con la mano libera, avvertendo una sorta di nausea.
« Stai male? » mi domandò preoccupato.
Scossi la testa ma mentivo. Avevo i sudori freddi.
« Forse è l'ascensore. » bofonchiai prima di sentire le gambe crollare sotto il mio peso e il campo visivo riempirsi di mille puntini neri.