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NOAH


Mi ero svegliato con gli occhi pieni di lacrime, le labbra secche e il respiro affannato.

L'ennesimo incubo, tuttavia questa volta era un po' diverso rispetto alle altre volte.

Il sogno si svolgeva come sempre nello stesso modo. Io che correvo felice per le scale, mia madre impiccata, il sangue e le mie urla.

Il finale però non finiva con me accasciato per terra mentre gridavo e piangevo come un disperato. Questa volta delle braccia possenti si erano avvinghiati con dolcezza sul mio corpo. I capelli biondi mi solleticavano il viso e le sue parole si udivano ovattate, ma riuscii lo stesso a comprenderle.

Smettila di rimandare, devi accettarlo. Vai, ti sta aspettando.

Quella frase continuava a rimbombare nella mia testa.

Inoltre avevo fatto l'ennesimo casino, ma per fortuna non avevo svegliato Wendy.

Non volevo che mi vedesse in questo stato, si sarebbe preoccupata per nulla.

Avevo chiamato d'impulso Gabriel. E lui, senza esitazione, si era presentato davanti alla mia porta.

Mi aveva adagiato con dolcezza sul divano mentre recuperava i pezzi di vetro sparsi sul pavimento.

Ogni tanto mi lanciava qualche sguardo di preoccupazione, ma non disse niente, si limitò a rimediare al caos che io avevo fatto.

Averlo qui mi faceva sentire meglio. La sua presenza riusciva a donarmi un senso di protezione e quiete.

Solo lui riusciva a farmi questo effetto.

"Dammi la mano." Sussultai, non mi ero accorto della sua vicinanza. Ma d'altronde finiva sempre così quando lo avevo accanto, mi perdevo nei miei pensieri, incentrati completamente su di lui.

Feci come aveva chiesto.

Lo vidi analizzare ogni perimetro della mia mano, per poi portarsi alla bocca il dito ferito.             La sua lingua calda sfiorò la ferita, i suoi occhi intanto ispezionavano ogni perimetro del mio corpo in cerca di altri tagli.

Sentii una scossa partire dalla schiena fino al petto, il mio battito si era fermato per un secondo e un sussulto uscì senza permesso dalla mia bocca.

Come se non fosse successo nulla, si allontanò da me posizionando sulla ferita un cerotto azzurro, puntando subito dopo il suo sguardo nel mio. "Stai meglio?"

Accennai un flebile sì.

Non riuscivo a parlare, ancora scosso dal suo gesto.

In tutto questo, Gabriel non si accorgeva nemmeno del putiferio che mi creava con le sue azioni. Maledetto stronzo! L'unico che rischiava un infarto in questo momento per colpa sua ero io.

"Vuoi parlarne?"

Negai con la testa. "Potresti dormire con me?"

Rimase un po' scioccato dalla mia domanda, ma decise di acconsentire. Mi prese con dolcezza per mano, portandomi nella mia stanza.

Tolse le coperte adagiandomi sul materasso per poi rimboccarmi le coperte. Mi stava trattando come un bambino, ed io invece di protestare mi ritrovai a sorridere come un ritardato, sicuro di avere il viso che stava andando in fiamme.

Lo sentii distendersi al mio fianco. Mi girai verso di lui, posando la testa sul suo petto e un braccio sul suo addome. Stavo azzardando troppo, ma volevo sentire il suo calore, avevo bisogno di quel contatto per sentirmi al sicuro. "Non ti dispiace se sto così, vero?"

Nothing is as it seemsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora