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GABRIEL


Seguii Noah in silenzio, sembrava perso nei suoi pensieri.

Ci fermammo dopo pochi minuti vicino a una lapide grigia, molto più polverosa rispetto a tutte le altre. C'erano delle rose bianche ormai appassite, una bellissima foto che rappresentava una donna sorridente e di bell'aspetto.

Era vero, Noah era identico a lei.

Si chiamava Isabel, un nome bellissimo per una donna che aveva dovuto sopportare tanto nella vita.

Noah si posizionò in silenzio vicino alla sua lapide, togliendo la polvere con la manica della felpa. Buttò le rose e si scusò per non essere venuto prima a trovarla.

Si girò verso di me, indicandomi di sedermi vicino a lui. Mi accomodai sul prato in totale silenzio, volevo cercare di lasciargli il suo spazio.

"Prima di ogni partita mia madre mi cucinava un sacco di biscotti al cioccolato, erano i miei preferiti." Continuava a fissare la foto di Isabel, la sua mano tremava impercettibilmente mentre strappava qualche filo d'erba per tentare di nascondere il suo tremolio. "In spogliatoio i miei compagni cercavano sempre di rubarmene uno, io però ero talmente geloso e possessivo dei biscotti che mia madre cucinava con amore per me, che non ne davo neanche un pezzo. Erano solo miei e dovevano rimanere tale."

Continuava a mordersi il labbro inferiore e i suoi occhi si facevano sempre più lucidi. Ma non dissi nulla, volevo che continuasse a sfogarsi con me.

"Persino quel giorno, quando ha deciso di farla finita, trovai sul tavolo della cucina un piatto pieno di biscotti al cioccolato. Capisci?" Si girò verso di me, mentre le lacrime iniziavano ad attraversare le sue guance. "Ha pensato a me prima di morire, ha trascorso le sue ultime ore a prepararmi qualcosa che io amavo tanto."

Mi alzai dal mio posto, solo per sedermi dietro di lui. Circondai il suo busto con le mie braccia, posando la mia testa sulla sua spalla. "Ti amava tanto, non dovresti mai dimenticarlo."

La sua schiena scossa da fremiti si rilassò al mio tocco. "Anche io l'amavo tanto, a volte però penso di non aver fatto abbastanza per lei. Magari se l'avessi aiutata un po' di più, forse a quest'ora sarebbe ancora viva."

Lo strinsi a me, volevo dargli tutto il sostegno possibile. "Eri solo un ragazzino, non potevi fare nulla."

Non rispose. Passammo minuti interi in silenzio, riuscivamo a sentire solo i nostri respiri mischiarsi insieme.

"Quando ero piccolo avevo paura di essere abbandonato dai miei genitori." Fissai un punto inesistente. "Dopo anni, mia madre era riuscita finalmente a rimanere incinta. Era così felice quando lo raccontò a mio padre, tutti e due non vedevano l'ora che nascesse. Anche io per un momento ne rimasi felice, ma poi iniziai ad avere paura. Avevo il terrore di essere abbandonato, ormai non avevano più bisogno di me, perché tenermi con loro?"

Noah si girò di scatto verso il mio volto, notavo la sua confusione. "Ma tu-"

"Sono stato adottato." Sospirai guardando lo stupore passare nei suoi occhi. "Non so molto dei miei veri genitori, a dire il vero non so nulla di mio padre. Lui non c'è mai stato, secondo le suore quell'uomo non sa nemmeno della mia esistenza. La mia vera madre invece era un'alcolizzata. Persino quando ha scoperto di essere incinta, ha continuato a bere."

Eravamo ancora avvinghiati l'uno contro l'altro, come se nel mondo ci fossimo solo noi due e solo il nostro abbraccio potesse difenderci dai mostri che continuavano a perseguitarci senza fine.

Nothing is as it seemsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora