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Mi ero perso nelle prove con Alex. Mancava sempre meno all'audizione, e ogni cosa doveva essere perfetta, precisa, studiata.
Niente andava lasciato al caso.

Ormai non facevamo che suonare.
La scuola era finita, io e Liv non eravamo stati ammessi alla Maturità per le troppe assenze durante l'anno scolastico, mentre Alex decise di rinunciare.
XFactor era più importante.
Eravamo in vacanza, quindi, e avevamo tutto il tempo possibile per rendere il tutto il più possibile stile Urban.

Mi ritrovai a camminare alle undici di sera per tornare a casa, senza le cuffiette e un venticello fresco che mi faceva rabbrividire. Non badavo a dove andavo, giravo quando mi pareva, e mi ritrovai nella strada della casa di Liv. Camminai al buio, cercando di individuare la sua casa, o magari un segno che potessi vederla, nel silenzio più totale.
Non c'erano nemmeno i grilli.
Feci qualche altro passo, e mi ritrovai davanti alla sua casa. Una piccola luce illuminava da fuori l'entrata, la porta di legno e il piccolo portico.
Il giardinetto che aveva davanti, pieno di fiori di tutti i tipi, era molto meno lucente, e per un minuto non mi accorsi che sull'erba c'era Liv, fino a quando

"Ciao anche a te, amore mio". Sussultai, sia per lo spavento, sia per il nome. Sapevo che l'aveva usato in senso sarcastico, ma mi illusi comunque che lo disse intendendo quello che volevo.
Mi stesi accanto a lei, e le presi la mano, stringendola lungo i nostri fianchi vicini.

"Come mai sei qua?" chiedemmo insieme, dopo poco. Lei cominciò un po' prima, ma quando finimmo nello stesso momento, scoppiammo a ridere, smettendo il secondo dopo.

"Ho finito le prove con Alex da un po', e non so come mi sia ritrovato qua, volevo andare a casa". La sentii sospirare impercettibilmente, prima di stringere di più la mano alla mia.
"A cosa stai pensando?" chiesi dopo un po', insicuro.

Teneva lo sguardo fisso al cielo, incantato.

"Cos'è per te la felicità?".
Guardai sopra di me per qualche secondo, prima di chiudere gli occhi. Non ci avevo mai pensato veramente. Ormai ero abituato a pensare che la felicità solo non facesse per me, che magari c'era gente più predisposta al sentimento e gente meno.
Ma da quando Liv entrò nella mi vita, io sapevo di essere felice, ma non ci pensavo veramente, mi godevo il momento e basta.

"Penso sia seguire quello che veramente si vuole. Non è facile essere felici, perché sapere quello che si vuole richiede la consocenza di se stessi, e spesso la gente non vuole conoscersi, per paura di quello che può scoprire. Io ci sto provando. Da quando lasciai Rebecca sto cercando di conoscermi, cosa fa per me e cosa no, cosa mi fa male o cosa mi fa bene. È un processo lungo, e dire di essere felici non è facile, ma ci sono dei piccoli momenti, gesti o parole che ti fanno sentire bene, o felici, quindi queste piccole cose te le godi nel presente. Spesso ci perdiamo nel cercare la felicità, senza renderci conto che anche piccole cose possono creare felicità". Presi un respiro, e riaprii gli occhi, senza guardare Liv. Mi sarei bloccato, sicuramente.
"Liv, io non dirò che tu sei la mia felicità. Certo, ci contribuisci un sacco, ma ho sempre pensato che riporre qualcosa di tuo, personale e soggettivo nelle mani di qualcun altro sia la cosa più sbagliata che si possa fare. È la strada più facile per pensare di essere felici, ma crea il doppio del dolore, l'ho provato". Nemmeno mi chiesi perchè Liv mi porse quella domanda, ormia ero abituato a questi suoi schizzi di filosofia che ogni tanto saltavano fuori. D'altronde, era questo quello che la rendeva così bella.

Mi girai verso Liv, distesa accanto a me, e notai che mi stava guardando con un sorriso rilassato sulle labbra.

"Era quello che speravo di sentire" sussurrò poi, con un soffio leggero.
Mi avvicinai a lei, e appoggiò la testa sul mio petto.

"E secondo te, Lavinia Agata Wazikowska?". Sentii il suo viso modificarsi con un sorriso contro il mio petto, così le cominciai ad accarezzare i capelli.

"Io so cos'è per me, ma non riesco a descriverla. Sono cose così personali e interiori che non ho parole per descriverla. Non le ho in italiano, come non le ho in polacco, in inglese o in spagnolo. Sono cose che cadono al di fuori del linguaggio, e per quanto raffinato il lessico di una persona possa essere, queste cose non riuscirà comunque a descriverle"

"Beh, prova a farmi un esempio, allora".
La maggior parte non riuscivo a credere che le parole che uscivano dalla bocca di Liv fossero cose sue, cose che pensava sempre.
Sospirò, prima di parlare di nuovo.

"Una volta, avevo tredici anni. Io, Jack e Lor andammo insieme in montagna, nella casa di Lor. Stavamo ascoltano Time, quando alzo lo sguardo verso il cielo, e vedo un cielo stellato come non l'avevo mai visto. Era pieno di stelle, che sembravano più piccole di un granello di sabbia, vedevo la parte finale della Via Lattea, vedevo costellazioni che di solito facevo fatica a riconoscere. In quel momento, con Time in sottofondo, cantata a squarciagola da tutti e tre, con quel cielo così infinitamente grande e stupendo, dire che mi sentivo bene è sminuirlo".

Era così strano, quella sera. Noi due distesi sul giardino di casa sua, senza musica, senza un rumore, di notte.

"Liv"

"Sì?"

"Adesso sono felice, grazie a te".


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nota: me voy, adiós

Ro

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