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Le sue labbra sul mio petto, le mani tra i capelli, e il suo corpo stretto al mio furono le prime cose che mi tornarono in mente appena mi svegliai. Subito dopo, la sensazione di calore che il suo tocco mi provocava, le sue unghie nella mia schiena, e il suo corpo.
Mi girai verso Liv, che stava ancora dormendo con il viso rivolto verso di me, e sorrisi, quando il ricordo fresco del suo viso invaso da quel sorriso paradisiaco, la sua espressione, finalmente in pace con se stessa, i suoi gemiti sommessi catturarono la mia attenzione.

Era stata una delle notti più belle della mia vita. Ne ero certo.
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"Ma smettila" sbuffò, incredula. Alzai le mani, con uno sguardo innocente.

"Giuro"

"Non ci credo, Genn. Non ci crederò mai". Portò le gambe incrociate sul sedile del treno, mentre finiva di bere un sorso di caffè dal suo bicchiere di carta.

"Liv, non sto mentendo. Ero io"

"Ma no, ti avrei riconosciuto, Genn". Stava seduta con la schiena contro il finestrino del treno.
"Ma poi, nah, non eri tu"

"Liv, ti giuro" insistetti, guardandola con le sopracciglia alzate.
"Quei deficienti dei miei compagni avevano nascosto la mia camicia in sala insegnanti, dopo educazione fisica. Sono dovuto andarla a prendere a petto nudo, e tu mi sei venuta addosso mentre tornavi in classe".
Quando mi scontrai con lei, ero un misto fra panico, imbarazzo, dispiacere e, in fondo, piacere.
Liv aveva ancora quella maschera di indifferenza davanti al viso.

"Mh, può essere. Ma io sono convinta che non eri tu".

Era il nostro ultimo viaggio in treno, e ci aspettavano quattro ore, per arrivare a Napoli. Lasciai cadere la conversazione, e cominciai a fissare un punto indefinito del pavimento del treno. Lo sguardo era offuscato, e nella testa mi rimbombavano due parole, una domanda.

E adesso?

Immaginai come sarebbe stato entrare a scuola accanto a Liv, quanto i miei compagni di classe, che spesso facevano discorsi poco fini su Lavinia, avrebbero rosicato vedendomi così stretto a lei.

"Genny?". Tolse le gambe da sopra le mie, e si sporse in avanti con la schiena.

"Mh?"

"Mi dici a cosa stavi pensando?".
Le presi la mano, costringendola a sedersi sulle mie gambe. Mi lasciò un bacio leggero sui capelli, mentre aspettava la mia risposta.

"Stavo pensando...una volta tornati a Somma, noi..."

"Io mi aspetto un vero appuntamento, Raia, ti avverto". Girai di scatto la testa verso di lei, distogliendo l'attenzione dalle nostre mani intrecciate.

"Sul serio?".
Con un movimento fin troppo lento, avvicinò la bocca al mio orecchio, e con un sussurro quasi provocatorio, bisbigliò:

"Secondo te io riesco a dimenticarmi quello che è successo?"

"E a scuola?" domandai, leggermente spaventato da tutti quei ragazzi che parlavano così di Lavinia alle sue spalle.

"Ti sembro il tipo di persona che si fa schiacciare da delle idee degli altri?". Scossi la testa sorridendo, ricordandomi come ridesse di gusto ogni volta che veniva a sapere che delle ragazze che nessuno aveva mai visto la insultavano.
"Tu sai chi sei, Genn?" domandò di punto in bianco, cambiando totalmente tono di voce.

"Penso di sì" risposi sbuffando una risata.

"Niente mezze risposte. Sai chi sei, Gennaro Raia?". Era incredibilmente seria. Non sorrideva, teneva lo sguardo fisso nel mio, con quei suoi occhi grigi che mi trapassavano il cervello.

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