Capitolo 13

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20/04/15

Si svegliò prima dell'alba, stiracchiandosi sul letto. Sorvolò con lo sguardo la sua nuova stanza. C'erano ancora diversi scatoloni da disfare, ma già i suoi amati libri riposavano nella sua libreria che aveva trovato. Suo padre aveva allestito davvero bene quella casa.
La sua camera era la prima di un corridoio che terminava con un piccolo bagno lungo e stretto ma accogliente con delle piastrelle verdi acqua e una piccola doccia incastrata in fondo. Mentre dall'altra parte della casa, una cucina giallo paglierino, un piccolo salotto provvisto di divano e televisione, e per finire la camera di Hugo esattamente a fianco all'ingresso.
Chi aveva preparato quel posto per accoglierli, aveva fatto un ottimo lavoro. La mobilia era messa esattamente come nella sua camera all'Inferno, e se non fosse stato per le pareti bianche e il delicato paquette beige, anziché nere, avrebbe pensato di certo di non aver lasciato la sua casa.
Ma una cosa era certa. Per la prima volta avrebbe assistito all'alba. Giù al'Inferno a scandire il tempo erano solo gli orologi, dato che il tutto era rischiarato dalla lava che attraversava pigra in tutte le Lande.
Aprì le imposte della finestra pieno di una strana euforia, ma con delusione si ritrovò a guardare un palazzo dalla facciata beige scura. Non esattamente il massimo come panorama. Doveva assolutamente raggiungere il tetto, che per fortuna era a disposizione di tutti gli inquilini della palazzina. Velocemente si mise un paio di jeans e una maglia nera aderente, e in ultimo i suoi anfibi. Daemon aprì un occhio e non si scomodò neppure di alzarsi. Si sistemò nella sua cuccia e riprese a dormire come se nulla fosse. A volte quel cane gli faceva concorrenza in quanto a pigrizia.
Prima di uscire recuperò le chiavi e chiuse velocemente la porta. Secondo i suoi calcoli mancavano solo due minuti all'alba. Salì le scale a due a due, finché non raggiunse la porticina che portava in terrazza.
Per fortuna aveva la chiave per aprirla, assieme e a quella dell'appartamento, del portone e della cantina. Cosa se ne sarebbe fatto della cantina era un mistero, dato che il suo periodo lì sarebbe stato limitato e non avrebbe avuto il tempo di riempire tutta la casa. Ma, ehi, l'importante era averla.
Non appena fu fuori, fu investito dall'aria fresca delle prime ore del mattino. In lontananza scorse i primi raggi di luce farsi strada timidamente nel cielo. Finché tutta l'immensa palla di fuoco uscì in tutta la sua magnificenza dall'orizzonte.
Seth lo fissó ammaliato. Non si era mai aspettato uno scenario così spettacolare, per alcuni umani scialbo e banale, dato che ogni giorno si presentava. Ma per lui era diverso. Certo, il Sole lo scorgeva sempre quando usciva per quelle poche ore che gli venivano concesse, ma non aveva mai assistito all'alba in prima persona. L'aveva solo vista nei libri e in qualche film, ovviamente quando la connessione e la frequenza dei canali tv prendeva.
Si appoggiò con i gomiti sul parapetto della terrazza, assaporando i caldi raggi del Sole illuminare la sua pelle sul pallido, e ciò che lo circondava.
Bè certo, non era cosí tanto bianco come alcuni suoi fratelli, ma nemmeno tra i piú abbronzati. I pochi fortunati, se così si poteva dire dato che erano le vittime preferite dei pennuti e dei loro figli, erano i Reclutatori, cioè coloro che individuavano gli umani destinati all'Inferno, e che portavano alla morte inscenando diverse situazioni, dagli incidenti agli omicidi in prima persona.
Mezzi Demoni che passavano tutta la vita o quasi sulla Terra servendo l'Inferno a quel modo, che cadevano però vittime dei pennuti che per maggior parte li scovavano per contendersi l'anima di un umano.
Quegli stolti dei nemici della sua specie credevano nella redenzione di quegli umani che durante la loro vita non facevano altro che causare sofferenza e dolore ad altri loro simili. Era giusto che pagassero per i loro sbagli, ricambiarli con la stessa moneta. Ed era su questo obiettivo che l'Inferno era basato dagli inizi.
Perso nei suoi pensieri si rese conto all'ultimo che era quasi ora di andare. E se voleva fare colazione avrebbe dovuto sbrigarsi. A malincuore lasciò la magica atmosfera della terrazza, e scese di nuovo verso il suo appartamento. E non appena vi mise piede trovò Hugo spaparanzato pigramente sul divano a guardare la tv.
Non appena sentì il rumore della porta che si chiudeva, alzò lo sguardo.
«Oh ma guarda chi si vede»lo salutò con tono beffardo.
Seth sentì l'irritazione montare. Chi si credeva di essere a trattarlo con cosí tanta famigliarità?
Gli si avvicinò, strappandogli il telecomando dalle mani e spense la tv.
«Non hai tempo per gingischiare. Questo posto al mio ritorno deve essere lindo e perfetto. Sono stato chiaro?»
Hugo lo fissó seccato ma annuì brevemente.
Seth sorrise soddisfatto e andò in cucina a prepararsi velocemente una tazza di latte e cioccolato, il suo preferito. Lui andava matto per il cioccolato.
Chissà come avrebbe smaltito tutto quello che avrebbe ingurgitato sicuramente a seguire, pensò.
E con una punta di divertimento si immaginò come un barile ambulante che anziché correre dietro ai dannati rotolava facendoli cadere come birilli. Un pensiero un po' strano ma che gli tirò su il morale e gli cancellò parte dell'ansia che provava.
Mezzo Demone o no la scuola lo preoccupava. Chissà come sarebbe stato trovarsi in mezzo ad esseri umani ignari della realtà che li circondava.
Si sarebbe integrato bene tra loro?
O sarebbe rimasto solo?
Bé per quei poveri ragazzini era meglio la seconda opzione, dato che lui per via della sua natura sapeva essere pericoloso. E mettere nei casini un umano innocente che non avrebbe nulla a che fare con l'Inferno gli sembrava un atto virile e infame.
Finita la tazza afferrò un croissant al volo.
«Io vado. Ricordati cosa devi fare»salutò acidamente il dannato che gli rivolse un ghigno.
«Spero tanto che ti metta sotto una moto per quanto mi riguarda»ribatté Hugo, beccandosi un'occhiata velenifera da parte del ragazzo, prima che questi chiudesse la porta di casa, che poi sogghignò.
«Vorresti eh? Peccato che non accadrà mai. Harevouir Hugo»lo salutò, agitando la mano come un bambino impertinente. uscì dall'appartamento chiudendosi dietro la porta a chiave. Tanto Hugo doveva rimanere chiuso segregato lì, e quel piccolo gesto lo faceva sentire piú sicuro. Sentiva che della appartamentino che era appena diventato il suo rifugio era al sicuro.
Scese i gradini a due a due, e uscì dal portone andando a botta sicura verso una moto nera cromata, bellissima come ne vedeva nei cataloghi di moto che tanto piacevano ad alcuni suoi fratelli. Non era un esperto di moto, a lui piacevano di gran lunga di piú le Ferrari, ma stando al marchio segnato sulla carrozzeria era una Harley, di cui però non conosceva il modello vero e proprio. Era uno dei regali fatti da suo padre per la sua permanenza lì.
«Con questo non dovrai spostarti in massa in quei chiassosi tranvicoli pubblici»gli aveva detto Abbadon, dopo avergli consegnato le chiavi della moto. E concordava con la scelta del padre. Gli autobus non gli sembravano mezzi cosí tanto comodi, soprattutto quando si riempivano, e le persone si schiacciavano come sardine inscatolate.
Con lentezza quasi religiosa tirò fuori il casco nero anch'esso con le fiamme vermiglie sui dorsi e si sedette sul comodo sediolino in pelle. Inserì la chiave nella toppa e diede gas. Subito il motore emise un rumore dolce e melodioso, che si poteva solo ascoltare per modelli particolari, tra cui le sue amate Ferrari. Se non avessero dato troppo nell'occhio avrebbe potuto convincere il padre a procurargliene una, dato che aveva già compiuto diciotto anni. Ma quella Harley di certo non gli dispiaceva. Anzi, da quando aveva ottenuto il patentino, seguendo le lezioni nella Landa come tutte le altre, non aveva mai guidato una moto, e questo lo elettrizzava non poco.
Una leggera spinta con i piedi e fu in strada, verso la scuola che avrebbe frequentato da quel giorno.

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