Capitolo 22

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Ero seduta sul posto di guida, non sapevo dove stessi andando. Nevicava. Tanto. Forse c'era freddo, ma non ne ero certa. Be', che fosse inverno si era già capito. A partire dal cielo che era un'unica distesa di nuvole fino alla spessa lastra di ghiaccio che ricopriva l'asfalto. Feci il gesto di guardare l'orologio al mio polso -senza leggere realmente l'ora- e continuai a guidare con prudenza. Era tardi, molto probabilmente. Accelerai.

Non sapevo dove mi stessi recando, guidavo e basta. La strada si era fatta ancora più scivolosa e la bufera di neve sembrava farsi sempre più violenta. Persi il controllo dell'auto. Provai ad intervenire, a riprendere il controllo, a frenare. Mi schiantai, ovviamente.

- Annie! Annie! - urlò. Aprii gli occhi di scatto, rendendomi conto che fosse tutto frutto della mia mente. Solo un sogno. Niente di più, nulla di meno. Poi guardai Carter, sentendo gli occhi pesanti e assonnati. Mi passai una mano fra i capelli annodati in un unico groviglio, cercando di svegliarmi un po'. Dopo una giornata del genere non era proprio l'ideale fare un incubo. Feci mente locale, rispondendo al mio fratellastro per prima cosa. - Era solo un incubo - dissi con noncuranza, visto che continuava a fissarmi preoccupato. Il pallido sole dell'alba trapelava dalla finestra difronte a noi, quella dietro il televisore. Indossavo ancora il vestito argentato di Lind. La coperta copriva entrambi, Carter era sdraiato con la testa sul bracciolo del divano, quello dalla parte opposta alla mia.

Dovevamo aver passato la notte lì. Per forza. Ben e mia madre non si erano ancora svegliati, o almeno non sembravano esserci altre presenze in quel piano della casa. Il ragazzo si passò una mano sul viso, chiudendo nuovamente gli occhi.

- Forse dovrei avvertire mia madre - annunciai. Tra poche ore sarebbe andata in pasticceria e Ben in ospedale, non volevo farli spaventare con la mia presenza. A giudicare dal sole, doveva essere molto presto. Non ricevendo risposta da Carter, mi alzai, togliendomi la coperta dalla gambe. La sistemai sul corpo del ragazzo: sembrava che sentisse freddo. In effetti, non si stava proprio bene. Andai nell'ingresso per recuperare il cellulare dalla borsa e controllare l'ora. 7.03 a.m. Era strano che i due adulti al piano di sopra non si fossero ancora svegliati, ma forse si stavano già sistemando.

Diedi un'occhiata alle notifiche, trovando un messaggio che non mi aspettavo. Sorrisi, perché era bello svegliarsi con un messaggio del tipo "Buongiorno, amore".

Ethan era diventato mattutino ultimamente, ma doveva essere andato presto in università. Yale era una delle più prestigiose università di New York, davvero esclusiva. Solo alcuni potevano entrarne a far parte, scarti su scarti. E lui era fra quelli. Ma se lo meritava. Era intelligente e sapeva ciò che voleva. Io mi sentivo un po' in colpa. Ero entrata alla New York University dopo tanti sacrifici, e poi mi avevano sbattuto all'University of Toronto con una raccomandazione del cazzo. Non ne ero proprio fiera, ma la facoltà che avevo scelto sembrava piacermi.

Risposi ad Ethan e poi corsi in cucina. Volevo preparare una colazione per la mia famiglia. Una sorpresa, io e la colazione. Due piccioni con una fava. Mi spostai in cucina, mettendo a scaldare il latte e preparando il caffè. Ero sicura che Ben e mia madre sarebbero scesi di lì a poco, attirati dal rumore che stavo facendo. Mi venne in mente che fosse lunedì e che Carter dovesse andare a scuola.

Tornai da lui, con quello stupido vestitino ancora addosso. Non vedevo l'ora di fare una doccia e mettermi comoda. - Carter - lo chiamai scuotendolo.

I suoi occhi blu si schiusero leggermente, per lanciarmi un'occhiata assonnata. - Non devi andare a scuola? - domandai. Non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase, perché il ragazzo era già saltato in piedi. Avevo fatto bene a chiamarlo. Corse verso il bagno, lasciandomi sola. Ripiegai la coperta e la posai al suo posto, poi raccolsi i miei tacchi che erano ancora davanti la porta della cucina dalla sera precedente e li misi accanto al mobiletto dell'ingresso. Tornai in cucina per finire il mio lavoro. Scesi il pentolino dal fuoco e aspettai qualche altro minuto per il caffè.

Quel ragazzo con la chitarra in mano 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora