Capitolo 25

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La maggior parte delle volte, per sistemare qualcosa, bisogna ricominciare da capo. Ristabilire un nuovo equilibrio, pensare in un altro modo. Tutte cose che in quel momento non riuscivo a fare. Non riuscivo a mettermi degli obbiettivi, come quello di smettere di piangere. O meglio, cercavo di farlo, ma la mia mente non eseguiva i miei ordini.

In fondo, che colpa potevo darmi? Piangere era una cosa normale, ero umana come tutti gli altri. Aspettavo solo che anche la mia riserva di lacrime si esaurisse.

E in effetti, il mio desiderio fu esaudito, anche se con eccessivo ritardo. Poco meno di ventiquattrore dopo, quando Morfeo mi strappò dal mondo reale per portarmi con sé. E gliene fui estremamente grata, così come a Vicky, che stette tutta la giornata lontana dalla nostra camera. Mi aveva dato il tempo di sfogarmi, di piangere e di riflettere.

La voce era arrivata anche ai Baker, ovviamente. Mia madre aveva iniziato a telefonarmi all'alba del giovedì, più che preoccupata. Poi, dopo che avevamo avuto un breve dialogo, alla fine del quale l'avevo liquidata, aveva mandato Ben a prendermi. L'uomo aveva dovuto chiedere un permesso per assentarsi dal lavoro, ma avrebbe fatto di tutto. Sia per sua moglie che per me. Era un brav'uomo e amava mia madre. Del resto non mi importava più di tanto.

Le strade erano parecchio trafficate quella mattina, ma nonostante il lungo periodo trascorso in auto, non aprii bocca. Semplicemente stavo programmando la mia giornata. Avevo messo degli obbiettivi che avrei raggiunto. Uno di questi era andare da Kate ed offrirle un po' di tutto ciò di positivo che potevo darle.

Ero così immersa nei miei pensieri che non mi accorsi nemmeno che eravamo già davanti casa. Fui sollevata di vedere quel posto. Forse stavo iniziando a sentirmi davvero a casa mia. Ben scese dal veicolo, sgranchiendosi le gambe. Lo imitai per poi dirigersi verso casa. Il sole era alto nel cielo, caldo e luminoso. E per un attimo quel piccolo gesto mi fece sentire bene. Forse le cose potevano sistemarsi.

Il sole riusciva sempre a splendere, anche dopo una tempesta, no?

Suonai il campanello, attendendo che qualcuno venisse ad aprirmi, ma la voce di Ben rieccheggiò per il giardino. - Tua madre è alla pasticceria, ha preferito prendersi il pomeriggio per stare con te - mi spiegò, inserendo le chiavi nella serratura. - Ah - fu l'unica cosa che riuscii a dire, ma all'uomo non dispiacque.

- Io tra un'ora inizio il mio turno. Se hai fame, troverai sicuramente qualcosa. Tua madre esige sempre una dispensa piena. Per il resto non ho nulla da dirti, tesoro. È casa tua questa. Ho capito che ti senti un po' fuori luogo ma non dovresti - disse, dopo aver richiuso la porta, con un sorriso compiaciuto. Proprio uno di quelli che un padre rivolge ad una figlia. Un tipo di sorriso che nella mia vita non avevo mai ricevuto.

- Grazie, Ben - mormorai, accennando un sorriso, piccolo ma sincero.

L'uomo mi diede un tenero buffetto sulla guancia, prima di superarmi e salire al primo piano. Recuperati il mio cellulare dalla tasca. Volevo chiamare Ethan. Dopo tutto quel casino non ci eravamo sentiti. Dovevamo parlare riguardo alla sua venuta. Luke sarebbe arrivato l'indomani, ma con il mio ragazzo non avevo ancora affrontato quel discorso in modo serio.

Trovai proprio due chiamate da parte sua. Sicuramente mia madre aveva chiamato Luke e lui aveva raccontato tutto ad Ethan. Bastava che una persona sapesse qualcosa dopodiché la venivano a sapere altre dieci.

Lo richiamai. Sicuramente era preoccupato per me. Mi portai il telefono all'orecchio attendendo di udire la sua voce. Anche quella mi mancava...

- Amore. Perché non mi hai risposto? Stai bene? - si allarmò. Sospirai, spostandomi verso il salotto. - Sì, credo -.

Quel ragazzo con la chitarra in mano 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora