Cap.17

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Il giorno dopo ero ancora immersa nei miei pensieri per capire che persona potessi essere nella mia vita precedente.
« Hitler! Ecco chi ero! Altrimenti non si spiega! » urlo dando un calcio ad un pallone vicino a me.
Mio padre mi ha confermato che fra meno di una settimana andremo, io e i ragazzi, insieme a Sara, a Roma.
La vita è così ingiusta!
« Hai detto qualcosa? » la testa di un uomo, sbuca da dietro la panchina per recuperare la palla che io ho appena colpito.
« Oddio chi sei? » strillo impaurita.
« Sono Ben, tranquilla! » mi risponde lui guardandomi come se fossi vestita da banana. « Terra chiama Emily. » mi incoraggia, non vedendo segni di vita nei miei occhi.
« Scusa! » arrossisco per la figuraccia « Ma mi hai fatto prendere un infarto. » ammetto vergognandomi e abbassando lo sguardo.
« Tranquilla. » afferma con una risata « Che ti succede? » domanda cordiale.
« Sono arrabbiata! » mi lamento sbattendo i piedi sulla ghiaia del giardino. Ben mi guarda senza sapere bene cosa dire.
« Posso fare qualcosa? » gli sorrido istintivamente per via della sua gentilezza, ma faccio segno di no con la testa, così dopo avermi scrutato ancora per qualche secondo mi ha lasciata sola.
« Ho una gran voglia di spaccare il naso a qualcuno! » borbotto mentre mi avvio verso una delle due fontane.
Quando arrivo accanto alla vasca di marmo mi volto e solo in quel momento mi rendo conto della grandezza del palazzo della Warner.
Sorrido al pensiero di una bambina coi riccioli castani che gioca con il padre in giardino...
Io da piccola adoravo la pallavolo, poi...
Poi cos'è successo?
Do un colpo alla palla.
Poi mi sono resa conto che i maschi non apprezzano le ragazze sportive, così mi sono adeguata.
Liscio la mia camicia di Cavalli.
È davvero questo quello che voglio essere?
Sospiro e mi siedo sul prato.
Chiudo gli occhi e me ne sto in silenzio ad ascoltare.
Improvvisamente sento un fruscio violento, spalanco gli occhi terrorizzata e mi giro verso la mia sinistra, dove scorgo un pallone che prima non c'era.
Quando torno a guardare dritto davanti a me, i miei occhi si scontrano su a due polpacci forti e muscolosi.
Eccolo, il mio stalker.
« Mi volevi uccidere? » urlo con un filo di voce per lo spavento, mi porto teatralmente una mano sul cuore.
« Ciò che non ti uccide ti rende più forte. » commenta Fede lasciandosi andare accanto a me, sdraiato sul prato con le mani incrociate dietro la nuca.
« Grazie Seneca! » ribatto acida « Ma i medici non prescrivono un coma a settimana, sai? » commento dandogli una pacca sulla pancia, incontrando però la resistenza dei suoi addominali.
Alla faccia, commenta una vocina nella mia testa. Mi massaggio la mano, guardando i muscoli tonici di Rossi trasparire da sotto la maglia.
« Quante storie! » si lagna lui, per fortuna non può leggermi il pensiero. « Avevo preso la mira. »
« Eh certo! Volevi prendermi in testa! » lo accuso puntandogli l'indice al petto e ritrovando il senno.
« No. » nega lui, stringendo la mia mano nella sua « In faccia. » finisce lasciandomi andare e tornando alla posizione di prima.
Io sbuffo contrariata ed incrocio le braccia al petto.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, immersi nel rumore sordo della Milano di fine agosto.
« Perché sei qui? » azzardo, rompendo il silenzio che ci divide.
« Sono a riposo. » risponde presto lui, come se stesse aspettando che dicessi qualcosa « Alessandro dice che lo fa perché vuol farmi riposare la voce, ma credo che in realtà mi abbia punito perché tuo padre voglia farmela pagare per averti ha vista abbracciata a me. »
Sorrido, mio padre è sempre stato molto protettivo nei miei confronti, dopotutto sono la sua unica figlia.
« Tu? » mi giro per incontrare gli occhioni color cielo di Fede. d'istinto mi lascio andare e mi corico al suo fianco, poggiando la testa sul campo.
« Pensavo. » ammetto. Sento la mano di Fede che inizia a giocherellare con i miei capelli.
« A me? » domanda prima di ridacchiare compiaciuto.
Io sospiro di nuovo e mi allontano da lui, mettendomi di nuovo seduta.
« Sei noioso. » sentenzio.
Fede mi fa una smorfia, proprio come farebbe un bimbo piccolo, gli sorrido, ma subito il mio cervello mi dice che mi sto lasciando andare, troppo.
La sua mano sinistra fa una leggera pressione sulla mia spalla e mi ritrovo di nuovo stesa al suo fianco, con la testa appoggiata al suo avambraccio steso.
« Perché sei arrabbiata? » dopo un tempo che mi è sembrato interminabile, stavolta è lui a interrompere il nostro silenzio, io non gli rispondo, ma gli lancio un'occhiata inquisitrice.
« Ben mi ha detto che te la sei presa con un pallone. » sogghigna di nuovo, ma io non mi lascio distrarre dai suoi denti bianchissimi. « Bel modo di sfogare la rabbia. » sentenzia accostandosi a me.
Ammiro il suo profilo sperando di non essere notata.
Lui guarda il cielo con fare da poeta bohèmien.
Anche io mi avvicino di più a lui e appoggio la testa sulla sua spalla, si distacca un momento intimorito.
« Ma dai! Mica ti mangio! » mi difendo risistemandomi meglio tra il collo e la clavicola « Voglio dormire. »
« Possibile che tu dorma dappertutto tranne che nel tuo letto? » chiede maliziosamente Fede, abbassando la testa per guardarmi.
« Non mi piace dormire da sola. » dico, anche se non mi so dire se l'ho detto a Fede oppure l'ho detto alla mia testa. « Ho paura del buio. »
« E non mi chiami? » insinua l'uomo di malafede al quale sono appoggiata, beccandosi un pugno nello stomaco.
Lui tossicchia un po', perché non si aspettava il mio gancio, ma non si allontana da me.
« Smettila di picchiarmi! » mi rimprovera. « Dai, dimmi perché sei arrabbiata. » insiste poi, giocherellando con i miei capelli.
« Non sono affari tuoi. » rispondo infastidita dall'immagine di Mary nitida nei miei pensieri.
Immagine che viene presto soppiantata da un'altra nella quale ci sono lei e Fede insieme.
E un'altra dove lei si bacia con Ben.
E un'altra ancora dove lei si bacia sia con Ben che con Fede.
Oddio un threesome no! Che schifo.
« Che ne dici se, si insomma, io e te, giochiamo a pallavolo? » alla domanda, detta con molto sagacia, alzo il busto in modo da mettermi faccia a faccia con Fede, incurante della poca distanza tra i nostri volti.
« Sei un maiale! » lo sgrido dall'alto della mia posizione. « Se è uno dei tuoi modo cifrati per invitarmi a gettarmi tra le tue braccia, sappi che è proprio di cattivo gusto! » affermo allarmata.
« Ma cos'hai capito? Intendevo chiederti se volessi fare qualche palleggio o qualche battuta! » replica lui, insultato dalla mia accusa. « è mai possibile che ogni volta che parlo con te, si sfocia sempre sul sessuale? Volevo solo farti sfogare!» afferma poi prendendomi in giro e sorridendo di nuovo.
Io arrossisco, colta in fragrante, poi come ipnotizzata mi fermo a guardare la sua bocca, il suo mento, il suo viso.
Involontariamente mi avvicino al viso di Fede. Poi incontro i suoi occhi, ardenti ma chiari circondati da quelle ciglia nere e lunghe. Ho come un sussulto, mi rendo conto della prossimità delle nostre bocche e mi allontano come ustionata, ma con la coda dell'occhio lo vedo ghignare soddisfatto.
Stavo per baciarlo e non me ne sono nemmeno resa conto.
Mi ha stregata, da quando si è seduto accanto a me. Ha cominciato a tessere una tela fitta ed intricata tutt'intorno a noi, costringendomi a finire vittima della sua bellezza. Mi ha lanciato un incantesimo e io non me ne sono accorta.
Sto facendo il suo gioco.
Lui sta solo aspettando, paziente, il momento in cui cadrò tra le sue braccia, con la stessa esperienza e lungimiranza di un ragno centenario.
Mi massaggio il collo imbarazzata, poi mi lamento di avere sonno tanto per dire qualcosa visto che Fede ha di sicuro colto il mio momento di debolezza.
« Se tu accettassi di passare in camera mia.. Ti assicuro che poi dormiresti. » comincia il cantante  « Possiamo anche tenere le luci accese se vuoi. » Questa volta la sua allusione al sesso è palese, così prendo il pallone e glielo tiro in faccia, ma lui è troppo svelto e con un colpo di reni mi si butta addosso, perfetto! ora non solo sono imbarazzata e stanca, ma ho anche Federico steso sopra di me.
Ovviamente cerco di ribellarmi, così facciamo una specie di lotta. Tuttavia come si può immaginare, lui ha la meglio e mi inchioda a terra, immobilizzandomi i polsi contro il prato.
Mi guarda negli occhi, senza timidezza, sicuro di sé e del suo fascino.
« Voglio baciarti. » afferma con serenità guardandomi dritta negli occhi con la spavalderia di chi è stato rifiutato poche volte, io mi immergo in quel celeste fuso mi sembra di essere ammaliata, la mano destra traditrice, si avvicina al suo viso e gli sfioro lo zigomo. Sorride.
Gira lievemente il capo e mi bacia il dito. Gli sorrido.
Per fortuna il mio cervello lancia l'allarme.
Sento nella testa una sirena, tipo quella delle ambulanze che dice " no no no" con tanto di luci lampeggianti.
« Tu cosa? » strepito scandalizzata strisciando via da sotto il suo corpo « Non ci devi nemmeno provare. » lo minaccio allontanandomi di qualche passo. Faccio persino finta di pulirmi il dito contro la camicia.
Ciò nonostante purtroppo dentro di me, lo volevo, quel tocco.
« Cosa vuoi che sia un bacio? » protesta lui alzandosi e andando a prendere il pallone, poi mi si avvicina giocherellando con la palla, facendo qualche palleggio di controllo.
« Non ti voglio baciare! » dico con alterigia, non sapendo bene cosa dire e andando contro il vero desiderio del mio corpo.
« Ah, no? » mi risponde sotto forma di domanda, ma dal tono capisco che la sua è più una questione retorica, di sicuro è consapevole del suo fascino.
E chi non lo è?
Apro la bocca per rispondere, ma non so cosa dire, mentire sarebbe inutile, ma non voglio nemmeno ammettere che non sono del tutto indifferente al suo, gran, charme.
Mi ravvivo i capelli, distogliendo lo sguardo.
Fortunatamente è lo stesso Fede che cambia discorso, liberandomi dall'impiccio.
« Vuoi solo farti desiderare. » dice sicuro di sé « Ma alla fine sei sempre la prima a cedere. » dice sfoderando il suo sorriso sghembo, quello che mi fa rammollire come se le mie gambe fossero fatte di gelatina.
Tuttavia, stavolta non cedo, il mio orgoglio di donna ha il sopravvento, voglio sentirmi desiderata io questa volta.
Voglio che sia lui quello ad implorarmi.
Sono sempre stata io a comandare gli uomini.

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