Cap.46

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Il rumore delle fronde degli alberi scosse dal vento mi risveglia. Apro gli occhi lentamente ma il sole è appena sorto,cosicchè i miei occhi non ci mettono molto ad abituarsi all'atmosfera poco illuminata della stanza.
Sbatto le palpebre un paio di volte perchè, ancora intontita dal sonno, non riconosco la camera e non capisco dove sono. Poi il braccio stretto intorno alla mia vita mi fa ricordare. Sono nella camera da letto di Federico e ho fatto sesso con lui. Dietro di me, sulla mia nuca, sento il suo respiro caldo e rassicurante. Anche se non lo posso vedere immagino che abbia la testa immersa tra i miei capelli. Il suo braccio mi stringe come in una dolce prigione di miele.
Non mi spiego perchè, ma la sua pelle emana sempre un calore che riesce a scaldare anche a me. Ok, ora che sono tranquilla è tempo di dare inizio alla solita routine del 'dopo-sesso' mi alzo, mi vesto e me ne vado. Questa volta più di ogni altri non intendo parlare con Federico. Mai. La nostra gara è finita, ho perso e non ho di certo intenzione di stare qui a sentire un cantante arrogante vantarsi delle sue conquiste.
Mi alzo cercando di fare il meno rumore possibile, scivolo via dalle braccia di Fede, di malavoglia devo ammettere, e comincio a cercare i miei vestiti. Questa è una parte che adoro, mi piace cercare gli indumenti che io e il tipo di turno ci siamo strappati di dosso, ho come una specie di classifica, più i vestiti sono sparsi più è stato bello, difatti, sorrido quando vedo che Fede ha lanciato i miei slip dall'altra parte della camera. Prima di uscire do un'ultima occhiata alla sagoma del ragazzo che dorme beato, con il braccio ancora steso verso la mia parte del letto, me ne vado prima di cambiare idea. Nel corridoio trovo le mie scarpe e nella sala da pranzo i pantaloni se ne stanno abbandonati accanto alla colonna, ma porca vacca non so dove sia finita la mia maglia.
«Cavolo.» borbotto tra me e me mentre ispeziono il salotto di Federico con occhi di falco, ma della mia t-shirt nemmeno l'ombra.
«Dove diavolo... oh.» non ci credo, mi strofino gli occhi perchè non c'è una spiegazione logica per quello che vedo: la maglietta è sulla terrazza.
«Quello è così agitato che butta i vestiti fuori dalle finestre!» dico mentre apro la porta scorrevole per potermi riappropriare di ciò che è mio, ma ovviamente qualcosa succede.
Avete presente la legge di Murphy? "Se qualcosa può andare male lo farà?" ecco, diciamo che io sono la pecora Dolly della legge di Murphy. Nel mio caso se qualcosa può andare male va peggio!
La porta scorrevole di chiude dietro di me con un click soffocato e ovviamente da fuori è impossibile aprirla, quindi...sono rimasta chiusa fuori.
In mutande.
Mi metto le mani nei capelli e chiudo gli occhi convincendomi che quando li riaprirò sarò di nuovo a Roma, ma purtroppo per me la brezza dell'alba milanese mi tiene con i piedi ben saldi per terra. Mi guardo intorno e mi mordo il labbro nervosa e adesso cosa faccio? Cerco una porta,una finestra per poter entrare, ma non trovo niente e non ho nemmeno il cellulare per chiamare Federico e chiedergli di venirmi ad aprire.
All'improvviso sento un rumore dietro di me e il mio cuore perde un battito. Il mio pensiero corre subito a Cris e sento il sangue cominciare a scorrere più forte dentro le mie vene provocandomi un formicolio alle braccia. In un angolo non troppo remoto nella mia testa l'immagine di Cristian appare nitida e fluorescente nella mia mente facendomi rabbrividire.
Prendo un lunghissimo respiro e deglutisco a vuoto un paio di volte prima di trovare il coraggio per voltarmi e trovarmi faccia a faccia con il mio peggiore incubo. Quando mi giro i miei occhi però non si posano sulla figura alta e slanciata di Cris. A dire il vero all'inizio i miei occhi non si posano proprio su niente, solo quando li abbasso e mi ritrovo a guardare una palla di peli che mi tende la zampa e sbava sulla mia maglia capisco che il rumore era stato provocato da niente poco di meno che dal cagnolino di Rico.
«Ci mancava solo questa!» sbuffo anche se sono a dir poco rincuorata dalla presenza del mio nuovo amico a quattro zampe. Il cane mi guarda con fare giocoso, scondinzolando un poco, il problema è che il suo bel culetto si trova proprio sulla mia maglia.
«Da bravo.» dico allungando una mano verso l'indumento (che ovviamente non ho la minima intenzione di indossare) tengo un contatto visivo con il cucciolo il quale purtroppo fraintende la mia prudenza con un invito a giocare.
Con uno scatto il beagle torna in piedi e prende tra le sue fauci bavose un lato della mia maglia, mentre io stringo l'altro capo.
«No, non fare così. Lascia.» ordino cercando di sembrare credibile, ma purtroppo non mi so fare rispettare nemmeno da un cane, infatti, il cucciolo comincia a tirare la mia t-shirt come se stessimo usando uno dei suoi giochi preferiti.
Terrorizzata all'idea di vedere la mia maglia di Versace ridotta a brandelli, fingo di lanciare qualcosa con la mano rimasta libera e nonostante non ci avessi veramente creduto nemmeno io, il piccolo ammasso di bava e peli coglie il mio movimento e si fionda nella direzione dove crede che io abbia tirato qualcosa. Ovviamente mi approfitto della stupidità del cane (che è di Federico e che quindi non potrà mai essere molto intelligente) per riappropriarmi di ciò che mi spetta, ma quando il cane torna indietro palesemente contrariato dal mio finto lancio e scopre che l'ho derubato anche del suo gioco, decide di iniziare ad abbaiare come se fosse la peggiore dei ladri.
«Shhhhhhh!. Buono, no!» cerco di calmarlo però sembra molto divertito dalla situazione e comincia a saltellare qua e la con quella specie di coda che si muove freneticamente.
Quando finalmente credo di essere riuscita a zittira il cane, dietro di me si accendono le luci all'interno della casa e il passo pesante di Federico che scende le scale mezzo addormentato rimbomba per la casa.
« Otis, che succede?» farfuglia strofinandosi gli occhi e cercando di distinguere la mia figura fuori dalla vetrata.
Quando ci riesce il cantante sbuffa e apre la porta.
«Ma tu non dormi mai?» chiede scocciato spostandosi, mentre si lega i pantaloni della tuta, per fare entrare sia me che il cane.
«Otis cosa ti ha fatto quella romana brutta e cattiva?» questiona inchinandosi all'altezza del cane che scondinzola felice di poter leccare le mani del suo padrone.
« Il tuo cane ha rovinato la mia maglia!» puntualizzo mostrandogli quello che resta della mia t-shirt. Fede sorride e sono quasi certa di averlo sentito mentre si congratulava col cane che ne se va nella sua cuccia trotterellando. Mentre roteo gli occhi al cielo, mi lancia addosso qualcosa oscurandomi per qualche attimo la vista fino a quando non mi tiro via la sua felpa dalla testa.
«Tieni, ma non farmi più svegliare così. Sono un uomo ansioso io.» dice tornando di nuovo verso le scale a petto nudo.
Mi infilo la maglia che ovviamente mi è larghissima, le maniche mi coprono completamente le mani, ma mi piace la sensazione di calore che mi da. Sperando di non essere notata inspiro a fondo dal tessuto intorno al collo per sentire il profumo di Federico, fino a che non mi rendo conto che ormai anche io ho addosso il suo odore ed arrossisco nell'ombra della casa.
«Sono un uomo ansioso io.» lo sbeffeggio imitandolo.
Quando salgo al piano di sopra vedo che sta tornando verso la sua camera da letto. I miei piedi lo stavano seguendo senza pensarci, ma all'improvviso il mio cervello ha fatto partire l'allarme. Non si rimane mai a dormire a casa dell'uomo di turno. Tentenno nel mezzo del corridoio, mentre lui sparisce da dietro la porta. Non ho la minima intenzione di tornare a casa mia da sola, ma non posso di certo andare a dormire con lui come se fossimo una coppia di innamorati. Inoltre, potrebbe dargli fastidio dormire con me. Indecisa sul da farsi rimango ancora per qualche secondo immobile a mordere nervosamente una pellicina sul mio indice. Poi concludo che la soluzione migliore sia rimanere qui, ma andare a dormire nella camera che Angela mi ha preparato. Mi guardo intorno rincuorata dalla mia saggia decisione, ma la mia idea viene presto a scontrarsi con un nuovo ostacolo. Quale sarà la camera che Angela mi ha preparato? Mi guardo intorno confusa e quando sento Federico chiamare il mio nome dalla sua camera sussulto. La sua testa sbuca da dietro la porta della sua camera.
«Vieni a letto?» domanda con gli occhi socchiusi per via della luce. Lo guardo senza sapere bene cosa fare, non voglio andare contro le regole che mi sono imposta.
«Mi dici qual è la mia camera?-»domando timidamente, mentre lui si gratta la testa confuso.
Quando sembra capire viene verso di me, mi supera e apre una delle prime porte che danno verso le scale. Dopodichè torna al mio fianco e studia la mia espressione.
«Perchè non vuoi dormire con me?» domanda con curiosità genuina. Mi guardo intorno per evitare il suo sguardo, sono sicura che se gli spiegassi delle mie regole me riderebbe dietro e mi darebbe della bambina e sinceramente non sono in vena di farmi prendere in giro. Mi limito ad un'alzata di spalle.
«Preferisco.» rispondo.
Federico mi guarda strano, poi lancia un'occhiata verso la porta della camera che Angela ha preparato per me.
«Non hai paura a dormire da sola? Sai Cristian...» dice con tono interrogativo, ma al tempo stesso molto vago.
Io mi ritrovo a deglutire rumorosamente, la mia testa nega in modo automatico, ma ora che mi ci ha fatto pensare l'idea di dormire da sola non mi affascina più come prima. Federico mi passa accanto, dirigendosi verso la sua camera senza altri convenevoli, mentre io entro nella mia un po' timorosa. Mi guardo intorno e come immaginavo la camera è come una di quelle dei cataloghi di giornale, bella, ma sterile. Decido di non soffermarmi a studiare l'arredamento visto che sono molto stanca, ma di mettermi subito a letto sperando di addormentarmi senza problemi.
Mi corico su un fianco e chiudo gli occhi, tirandomi le coperte fin sulle orecchie. Sento il vento soffiare impetuoso fuori dalla finestra ed il rumore del traffico piacentino in lontananza. Come succede ogni volta che si ha un po' di paura, il mio udito sembra diventato più fine di quello di un cieco e coglie ogni rumore della casa e non. Purtroppo lo stesso non si può dire del mio cervello, il quale viene informato dei rumori, ma non è in grado di fornire spiegazioni plausibili alla metà dei suoni che sento.
Dopo cinque minuti immobile sotto il piumone sono uscita dalla mia camera e ho mandato al diavolo le mie stupide regole. Ho paura, troppa paura. Arrivo davanti alla porta della camera di Federico e mi fermo indecisa se bussare o meno, ma prima che io prenda una decisione, la porta si apre lentamente, mostrandomi il modenese appoggiato allo stipite che mi fa segno di entrare. Colgo al volo la trappola che mi ha teso poco fa.
«Manipolatore.» lo accuso prima di entrare e vederlo sorridere sghembo.

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