PROLOGO

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JOSEPHINE

La luce che penetra dalle finestre della mia camera mi costringe a malincuore ad aprire gli occhi. Mi stiracchio un po' per poi rivolgere lo sguardo verso il vetro, dalla quale ho una splendida vista di Seattle: la città nella quale vivo ormai da più di tre anni.

Mi sono trasferita qui quando avevo vent'anni. All'epoca vivevo a Santa Monica, nello stato della California. Ovviamente vivevo lì con i miei genitori. Abitavo in una casa proprio davanti alla spiaggia, inutile dire che era fantastico.
Adesso invece sono da sola, totalmente indipendente. Ho la mia casa, il mio lavoro... ho tutto ciò che mi serve qua, o quasi.

Mi alzo dal letto e sposto le tende dalla parete in vetro, così da far illuminare la stanza. Oggi è proprio una bella giornata, penso sorridendo.

Con i soldi che guadagno lavorando, sono riuscita a prendere in affitto un appartamento, situato in uno dei tanti grattacieli di Seattle.

Sono un'impiegata in una piccola caffetteria, una tavola calda. Lavoro lì come cameriera da quando sono arrivata e, ormai, considero i miei colleghi e il mio capo una seconda famiglia. So che posso contare su di loro e loro sanno di poter  sempre contare su di me. È per questo che per loro sono come una figlia o una sorella minore da proteggere. Sono la più piccola là dentro.

Nonostante tutte le difficoltà che ho dovuto superare nel corso degli ultimi tre anni, mi reputo una persona fortunata. Da quando sono arrivata in questa città ho trovato solo persone fantastiche che sono state fin da subito disponibili con me, aiutandomi in tutto.

Un rumore, proveniente dalla cucina, mi fa sobbalzare. Mentre i peggio scenari si insinuano nella mia mente, mi precipito in cucina.
Arrivo sulla soglia della cucina e mi fermo ad osservare la situazione. Vi è solamente Theo, in piedi su una sedia. Subito mi tranquillizzo vedendolo sorridere.

<<Buongiorno.>> Si siede sul piano della cucina guardandomi con i suoi grandi occhioni azzurri.

<<Theo stai bene? Che stavi facendo??>> Dico frettolosamente per poi prenderlo in braccio e stringerlo tra le mie braccia.

<<Stavo prendendo i biscotti.>> Dice con la sua vocina infantile, mentre con la mano mi indica il pacco di biscotti, finito per terra.

<<Lo sai che non devi salire sugli scaffali da solo, devi sempre chiamare mamma.>>

Con tutti i disastri che combina mi farà prendere un infarto prima o poi. Però questo bambino è tutto ciò che ho. E' tutta la mia vita. Nonostante io lo abbia avuto in un'età troppo giovane e in un contesto fin troppo sbagliato, non l'ho mai definito un errore. Lo amo più di quanto abbia mai amato nessun'altro. Mi venderei anche l'anima per vedere quel piccolo sorriso spuntare sul suo volto.
Lui è stato il motivo principale per il quale adesso mi ritrovo in questa città da sola, ma non rimpiango niente, la mia vita è perfetta così. Amo svegliarmi la mattina con mio figlio accanto, quando ci mettiamo sotto le coperte a farci le coccole, e amo quando attacca a chiacchierare e non la finisce più. Amo tutto di lui.
Adesso ha tre anni, compiuti esattamente un mese fa, ed è un gran pasticcione... e anche un chiacchierone, proprio come me.

Visto che quando vado a lavoro non ho nessuno a cui lasciarlo, i proprietari del bar mi hanno sempre permesso di portarlo con me. Il problema è che combina un sacco di guai uscendosene poi con un <<oops..>> abbassando la testa e nascondendo le manine dietro la sua schiena.
I miei colleghi però lo adorano, lo riempiono di coccole, ed ogni volta che combina qualcosa la prendono sul ridere. Sono davvero delle persone straordinarie.

<<Ma io volevo farti una sorpresa.>> Sussurra dispiaciuto iniziando a giocherellare con i miei capelli.

Faccio per ribattere quando il microonde emette uno strano suono e una puzza di bruciato pervade la stanza.

<<Hai messo qualcosa nel microonde??>> Lo guardo preoccupata mentre lui sorridendo annuisce.

<<Forse è pronto, mamma.>>

Lo metto con i piedi per terra ed apro subito il microonde, dentro al quale trovo una tazzina con del latte, ormai bruciato.

<<E tu da quando sai usare un microonde?>> Mi meraviglio delle capacità di mio figlio a volte.

<<Ho visto te.>> Sorride beffardo.

Tiro fuori la tazza di latte e la metto nel lavandino. Solo allora mi accorgo che sul piano della cucina è cosparso un bel po' di latte.

Sposto i capelli dalla mia fronte e mi abbasso fino da arrivare alla sua altezza. <<Amore, grazie tante per aver pensato a me, però non devi mai cucinare senza mamma, okay?>>

<<Va bene...>> Gli stampo un bacio sulla sua guancia paffutta e provvedo subito a rimettere in ordine la cucina. Naturalmente il mio piccolo ometto non può fare a meno di aiutarmi: <<tieni mamma>> dice passandomi il pacco di biscotti.

Dopo aver sistemato tutto quel disastro dico: <<Theo li vuoi i pancakes?>>

Il golosone annuisce ed io inizio a preparare l'impasto, mentre lui si arrampica - letteralmente - sulla sedia.

Nel frattempo che io e il mio bambino ci stiamo godendo la magnifica colazione, preparata dalla sottoscritta, il mio campanello suona.

<<Chi sarà mai a quest'ora?">> Penso ad alta voce.

Apro la porta di casa e mi trovo davanti le due persone che credevo non avrei mai più rivisto. Le persone che mi hanno cresciuta e dalla quale sono scappata: mia madre e mio padre.

<<Josephine.>> Sussurra la donna davanti a me mentre delle lacrime rigano il suo volto, facendo emozionare anche me.

<<Mamma.>> Dico mentre le sue braccia avvolgono il mio corpo, facendomi sentire maledettamente in colpa per essere sparita da un giorno all'altro, per tutto questo tempo.

<<Finalmente ti abbiamo trovata. Non ci speravamo più.>> L'uomo che mi ha messo al mondo mi abbraccia ed io lo stringo a me.

Quando sono scappata ho cambiato anche il numero di telefono, così da non poter essere rintracciata. Avevo lasciato loro soltanto una lettera. Una stupida lettera nella quale dicevo semplicemente di non voler essere cercata e che stavo bene. Ogni tanto però sentivo il bisogno di ascoltare la loro voce, così un giorno li ho chiamati con lo sconosciuto, dicendogli che stavo bene, avevo un lavoro e anche una casa, almeno da lasciarli vivere tranquilli. E da quel giorno li ho sempre chiamati, rassicurandoli sulla mia condizione. Non abbiamo mai perso definitivamente il contatto tra noi, tranne che in quei due-tre mesi prima della mia chiamata. Però non ho mai detto loro dove vivo attualmente, e ovviamente non ho mai voluto confessare alla mia famiglia il motivo di questa mia fuga, l'ho sempre giustificata con la voglia di evadere un po' dalla monotonia delle giornate e con il voler essere dipendente. Ma così non è. La realtà è che non volevo dare loro alcuna delusione, so che non sarebbero stati fieri di me sapendo che ero incinta. Anche se il problema fondamentale non era la gravidanza, quanto più il padre del bambino che portavo in grambo. Nessuno sa chi è il padre di Theo, ho sempre voluto nascondere la realtà, un po' per vergogna ed un po' per privacy. Ho sempre pensato che se qualcuno ne fosse venuto a conoscenza sarebbe stato tutto un gran casino, e non solo per me. Fatto sta che loro non hanno la più pallida idea che io abbia un bellissimo bambino di tre anni. Non ho mai avuto il coraggio e la forza di dirlo, sapevo che avrei procurato soltanto una delusione, non solo nei loro confronti. Così ho deciso di affrontare da sola tutto questo, ho tenuto tutto dentro di me, le mie ansie, le mie paure, tutto. Questo perché sono fatta così, tendo a proteggere le persone che amo ancor prima di me stessa. E quindi ho deciso di proteggere lui piuttosto che me. Ho deciso che volevo vederlo felice, e non m'importava se era con me o meno, m'importava solo della sua felicità e della sua tranquillità. D'altronde ho sempre saputo che la nostra storia non sarebbe potuta durare poi così allungo, era un amore piuttosto impossibile, seppur pienamente corrisposto.

<<Mamma, chi è?>> La voce del mio piccolo principe risuona in tutta la stanza, mentre il silenzio cala.

STILL IN LOVE ||Justin BieberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora