SE UN GIORNO TU TORNASSI DA ME parte seconda

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Sto decisamente scrivendo più del previsto...

Buona lettura.


Gabriel è immobile davanti a me, con addosso un montgomery sbottonato che gli regala un'aria decisamente più seria di quanto non abbia mai dimostrato di avere, e il suo sorriso sornione ne è la prova.

«Ci incontriamo di nuovo...»

La sua voce è un terremoto che demolisce ogni mia singola certezza, dura un minuto quella sensazione, un interminabile minuto. Lui è un abile smantellatore delle mie sicurezze e io lo so bene, perché proprio sulla mia pelle sentii, cinque anni fa, ogni singola scheggia di quell'amore colpirmi e spingersi ben oltre lo strato di mantide religiosa che mi aveva sempre ricoperto.

Giuditta, è solo una maledetta suggestione del tuo cervello, dei tuoi ricordi, del tuo vissuto, ripete una parte di me, quella parte che ho dimenticato di avere, perché quando la vita ti regala la possibilità di essere serena non c'è più alcun motivo di usare il proprio alter ego come strumento di difesa.

«Già» gli rispondo con una sottile ma palpabile vena di acidità.

«Aspetti qualcuno?»

Non rispondergli, Giuditta, ignoralo o se ne approfitterà. Ti ricordi quello che hai passato a causa sua? Ti ricordi delle lacrime che hai versato, della dignità che hai perso e dell'amore che hai provato? Ecco, non rispondergli, perché il destino vi avrà pur fatto rincontrare casualmente, ma di certo non c'è nulla di casuale in quello che fa lui.

Vorrei che esistesse un pulsante off nella mente per scongiurare la pazzia.

Decido di rispondergli, perché mai dovrei mentire?

Lui rappresenta il passato e non può in alcun modo influenzare il mio presente, mi ripeto, cercando di soffocare l'altra me, quella spaventata, quella che annaspa alla disperata ricerca del più elementare controllo mentale.

«Sì, aspetto qualcuno.»

Gabriel aggrotta la fronte e riconosco in quello sguardo falsamente accigliato l'Irresistibile Canaglia che ho amato.

«Non guardarmi in quel modo, Giù. Non voglio mica mangiarti.» Sposta la sedia di fronte a me e si siede, senza neppure chiedermi se mi faccia piacere la sua presenza.

Accenno un sorriso forzato e rispondo alla sua provocazione. «Non ti sto guardando in nessun modo.»

«Invece sì, e stai toccando i tuoi capelli. Non voglio renderti nervosa.»

Si è accorto di tutto, Gabriel è in grado di leggere in ogni piccolo movimento le mie paure. La sua vanità e il suo egocentrismo gli hanno sempre permesso di stare un passo avanti a me.

Riprendo il controllo del mio corpo e della mia mente, convincendomi che il linguaggio dei gesti, se tenuto sotto controllo, è in grado di nascondere ciò che l'animo vorrebbe urlare. Allento la presa sui capelli, poso le mani sopra il bordo del tavolo, apro le spalle e inclino il busto verso di lui, avvicinandomi più di quanto l'istinto di autoconservazione mi consentirebbe. Indosso la maschera più appropriata al caso, quella della sicurezza e dell'imperturbabilità.

«Sta arrivando il cameriere con il mio Bellini, vuoi ordinare qualcosa?» propongo, celando l'inquietudine.

«Volentieri. Un bicchiere di speranza con qualche goccia di opportunità.» Inclina la testa di lato e allunga impercettibilmente le labbra. «Può portare un altro Bellini?» chiede non appena il cameriere ci raggiunge con la mia ordinazione accompagnata a una misera ciotola di nachos. Incasso silenziosamente la sua battuta inopportuna, seppur apprezzando quella vaga intenzione di mostrarsi pentito degli errori passati. Forse, però, il pentimento me lo sto solo immaginando e, inevitabilmente, mi sembra assurda l'idea di provare a esternare un atteggiamento di eccessiva disponibilità e gentilezza nei suoi confronti. Benché siano passati degli anni, un bicchiere di speranza con qualche goccia di opportunità mi appare davvero una concessione troppo generosa.

L'attesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora