MILLETRECENTOCINQUE CHILOMETRI

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Sabato diciotto marzo.

L'aereo di Flavio parte tra un'ora. Ha già consegnato il bagaglio ed effettuato il check-in online per guadagnare tempo e poter stare più a lungo con me. Chi ci guarda dall'esterno probabilmente penserà che siamo una coppia davvero male assortita: lui che non tradisce emozione e ha gli occhi che brillano di eccitazione per questa nuova avventura, io che al contrario sembro l'ombra di me stessa e mi trascino appesa al suo braccio. Forse appaio patetica e infantile, ma la realtà è che sono sull'orlo di una crisi di pianto inconsolabile.

«Ti va un caffè?» mi chiede Flavio dirigendosi verso uno dei bar interni all'aeroporto.

«No» mormoro depressa.

«Giù, puoi cercare di sorridere almeno una volta. Una sola.»

Mi guarda e mi scatta una foto con il cellulare.

«Smettila. Non sei divertente!» blatero infastidita dalla sua inopportuna ironia.

Mi abbraccia. Lo stringo forte, talmente forte da credere di non essere in grado di scioglierlo questo abbraccio. Mi mancheranno le sue mani, le sue labbra e i suoi splendidi occhi.

«Cercherò di tornare spesso, così non avvertirai per niente la mia mancanza.»

Parla bene lui che a Londra avrà tante di quelle novità con cui consolarsi che la mia assenza passerà in secondo piano.

Quella che resta qui sono io.

Quella che dovrà riempire le giornate con una nuova routine sarò sempre e solo io.

«Non ti mancherò neanche un po'...» gli sussurro mentre mi allungo sulla punta dei piedi per baciarlo.

Flavio mi prende il viso tra le mani. Provo a colmare tutto il vuoto che sento dentro con il luccichio delle sue iridi, provo a rubarlo quel bagliore e a riporlo in un angolo dentro di me.

«Mi mancherai molto più di quanto io mancherò a te. Promettimi di comportarti bene e non fare cazzate.»

Abbozzo un sorriso, ma ne esce fuori solo una smorfia strana.

«Promettimi che ti ricorderai di mettere in ordine le bollette nel faldone quando arriveranno per posta? E che non dimenticherai lo scaldino acceso in bagno?»

È sempre il solito precisino.

«E poi non ammucchiare l'umido in balcone, altrimenti quando tornerò saremo invasi dalle larve...»

Mi solletica le labbra con la lingua. Mordo il suo mento provocandogli un mugolio di dolore. Vorrei potergli lasciare un timbro addosso che non permetta a nessuna donna di avvicinarsi a lui, perché Flavio è bello, è intelligente, è tante cose straordinarie messe insieme.

Ci baciamo e abbandoniamo definitivamente l'idea del caffè. Ci baciamo fino a che non arriva l'ora della separazione, allora il mio stomaco si contorce, la nausea fa capolino e la mia bocca assume una piega che preannuncia commozione.

«Non ci provare» mi rimprovera puntandomi l'indice contro. Ora riconosco il suo rigido timbro di voce. Lo sta facendo per spronarmi, probabilmente preferirebbe farsi odiare da me piuttosto che vedermi soffrire.

Io preferirei semplicemente non dovermi separare da lui.

«Ciao, amore» mi dice.

Resto in silenzio, con le lacrime che mi sfocano la vista, alzo il braccio e faccio ciao con la mano. È più semplice chiudermi in un disperato silenzio, anziché salutarlo con la voce che trema e l'evidente impossibilità di contenere tutta la mia sconfinata tristezza.

L'attesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora