L'ATTESA

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Siete tutte autorizzate a piangere...



Caro papà,

ti scrivo questa lettera perché non saprei come altro stabilire un contatto con te. Fino ad ora ho sempre ridotto la morte alla fine di un percorso, al passaggio del corpo da uno stato all'altro, senza mai soffermarmi a pensare che, forse, per l'anima esiste un luogo lontano che sopravvive oltre ogni esperienza terrena. La dipartita, secondo i miei rigidi schemi mentali, significava la morte di un individuo e la nascita di un altro in qualche parte del mondo, nello stesso istante nel quale un essere spirava, un altro emetteva il primo vagito.

Caro papà, non sono più così certa di questo e, probabilmente, se sto affidando a questa lettera il compito di raggiungerti, il senso profondo del mio agnosticismo sta acquistando una nuova consapevolezza.

Questa figlia, che sta macchiando d'inchiostro una pagina bianca, vuole chiederti scusa. Reclama il tuo perdono perché, ovunque si trovi ora la tua anima, sa di averti arrecato il più grande dei dolori: la delusione. Sai papà, mi sono chiesta tante volte cosa sarebbe accaduto se tu ci fossi stato quando mi sono sentita abbandonata e sola, dopo la partenza dell'unico uomo che ho amato e amo, non smetto di pensare che, magari, le cose sarebbero andate diversamente. Ho provato ad immaginare infinite volte un'ipotetica chiacchierata con te, e ho cercato di trovare con pazienza le parole che, probabilmente, mi avresti detto.

La ricordo con nitidezza quella frase pronunciata sulla Punta Spartivento prima del tuo addio al mondo: «Non fartelo sfuggire, siate complici, bisticciate quando serve, ma non smettete mai di amarvi».

Ebbene papà, io sono riuscita a farmelo sfuggire, sono stata in grado di farmi scivolare Flavio tra le dita come quando si affondano le mani nella sabbia e poi si tirano su. L'ho trattato come non avrei mai voluto, come nessuno dovrebbe mai trattare la persona che si ama. Flavio ha solo una colpa: non aver rinunciato al suo sogno per me. Ma io ho una colpa molto più grande: ho rinunciato a lui per non ottenere nient'altro che un misero, fugace, impalpabile ricordo d'amore. Non hai mai conosciuto Gabriel, e sono certa che non ti sarebbe piaciuto, mentre Flavio, oh, Flavio era perfetto.

Però ho imparato una cosa, papà, ho imparato che le parole del mio professore di storia del liceo erano vere: "La storia dell'umanità è intrisa di errori dai quali l'uomo non impara nulla." E aveva ragione.

Io non ho imparato nulla dal mio vissuto con Gabriel, non ho imparato a diffidare di lui e a non cedere alle tentazioni delle quali lui è, da sempre, un abile manipolatore.

Flavio non ha imparato nulla dalla sua storia con Viola, non ha capito che l'amore va coltivato, va innaffiato ogni giorno e no va mai dato per scontato.

Ho imparato anche un'altra cosa, papà. Ho imparato che cos'è l'amore. L'amore è fiducia, senso di appartenenza oltre ogni ostacolo, è dedizione, è pazienza e passione, l'amore è un esame al quale ci si sottopone quotidianamente e se si sbaglia, spesso, non ci è concesso ridarlo.

Caro papà, ho fallito. Ho fallito miseramente come un'ingenua, ma tu sai che io sono sempre stata ingenua, impulsiva e, a volte, indomabile.

Ora non mi resta che l'attesa. L'attesa che questo vuoto dentro me venga colmato, l'attesa che questa tristezza scompaia, l'attesa che i pezzi della mia vita tornino al loro posto, anche se Flavio resterà la mia più grande perdita dopo di te. E la sua attesa credo durerà per sempre.

Vorrei che tu mi dicessi che tutto andrà in ordine, vorrei che tu mi dicessi che un giorno riuscirò a non sentire più dentro di me il peso dei miei errori, vorrei che tu mi assicurassi che la mia vita avrà comunque un senso, nonostante tutto.

Ora sono qui, papà, davanti ai due rami del lago, sulla Punta Spartivento, dove alcuni anni fa Flavio ti promise di sposarmi. Sono certa che una parte di te fluttui su queste acque che tanto amavi contemplare, sono convinta che lasciando trasportare questo foglio sopra il lago le mie parole possano raggiungerti, sono convinta che una parte di te riesca a leggermi dentro, e comprenda quanto la natura dell'uomo sia instabile, sia fragile e talvolta incomprensibile. Non si tradisce solo spinti dall' immoralità, papà. A volte, semplicemente, si tradisce per qualcosa di più incostante che non è amore, ma sembra simile ad esso e ci si può confondere. Questa è l'ultima cosa che ho imparato, forse è la più stupida di tutte ma è comunque un insegnamento, e come tale tu lo avresti approvato.

Ti voglio bene, papà.

Tua figlia, Giuditta.

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