L'AMORE PERDUTO

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È maggio quando, guardandomi allo specchio, mi accorgo che il mio corpo rivendica un po' di attività fisica. Io ero una runner tanto tempo fa. Anche lo scorso anno, prima della mia disfatta affettiva, avevo ricominciato a rincorrere la mia ombra sull'asfalto nei momenti di tempo libero. Poi lo slancio si è assopito.

Ora, però, il sole del mattino e l'odore proveniente dal mare hanno dato nuova linfa alle mie energie. Allora ho ripreso le mie scarpe, un po' consumate ma ancora in grado di svolgere il proprio compito, ho tirato fuori dal cassetto i leggings in microfibra, il cardiofrequenzimetro e le cuffiette.

A maggio comincia ad albeggiare intorno alle sei del mattino, all'inizio il colore dominante è il blu cobalto che poi sfuma assorbendo i flebili, argentei raggi solari e trasformando il cielo in una corolla di sfumature aranciate e indaco. A mano a mano, attraverso le stecche della persiana, quei fasci luminosi, ancora deboli, entrano nella stanza appoggiandosi alla specchiera posta di fronte alla finestra e sfiorando le stoffe degli indumenti posati sopra la sedia imbottita.

Da quel punto, la luminosa scia di luce si espande, arrampicandosi lungo la candida parete e raggiungendo me. All'inizio le mie palpebre stanche si oppongono e restano chiuse, non appena il pizzicore del riverbero diventa intenso, esse si schiudono e danno il benvenuto a una nuova giornata.

Lentamente il mio corpo anchilosato si risveglia, stiracchiandosi come fanno i gatti. È bello destarsi con la crescente luce dell'alba, il suo tocco brillante è meno fastidioso del suono di una sveglia.

Quando riesco a mettermi seduta sul letto, intorno a me la luce è esplosa in un bianco cangiante che raggiunge ogni angolo della stanza. Allora mi alzo e apro la finestra respirando a fondo l'aria frizzante carica di iodio. Infilo i miei leggings, la maglia, una vecchia felpa, le mie scarpette da running ed esco.

Corro sul lungomare di Cefalù tutti i giorni, alle sei e un quarto del mattino, per cinquanta minuti. Le strade non sono deserte come uno si aspetta, e ci sono altre persone che, come me, hanno bisogno di sgranchire le gambe e tonificare lo spirito. Qui dalla primavera in poi l'anima del paese sembra sbocciare come fanno i fiori.

Lascio che i miei muscoli si contraggano energicamente, cercando di regolare l'intensità del respiro non appena lo sento diventare affannato. Brevi e profonde inspirazioni. Il cuore si contrae vigorosamente, chiudo gli occhi ed espiro, poi inspiro ancora e butto fuori l'aria seguendo un ritmo costante, finché non sono in grado di dominare lo sforzo. A quel punto continuo spedita, lasciandomi distrarre dal luccichio del mare, dalle palme che incorniciano la passerella del lungomare. Raggiungo il porto, spingendomi fin sulla punta del molo e lì mi fermo.

Piego il busto poggiando le mani sopra le ginocchia, quando rialzo la testa davanti a me ho solo un'infinita distesa di acqua blu. Respiro più a fondo fino a sentire lo zefiro entrarmi dentro e scavare in profondità.

Sono viva.

Sono cronicamente malinconica, ma viva. Questo, per ora, è ciò che conta. Ci sarà tempo per recuperare la felicità autentica e incondizionata. Per adesso mi accontento dell'equilibrio che sono riuscita a cucirmi addosso e che mi fa apparire come una donna normale che, dopotutto, è andata a cercarsela l'infelicità.

Faccio retromarcia e, passo dopo passo, ritorno a correre, invertendo la direzione. Il sudore mi imperla il viso e le gambe iniziano a dolermi, ciononostante mi sforzo, mi concentro per non mollare. Non si può mollare a un passo dal traguardo e io, il mio traguardo di serenità posso quasi vederlo. È ancora un tantino lontano, ma se stringo gli occhi e vinco la miopia causata da una distanza tanto dilatata, riesco a scorgerla quella serenità. Mi sta aspettando e io non devo cedere. Non devo arrendermi e rischiare di regredire.

L'attesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora