TUTTI I GIORNI TI AMO E TI ODIO IRRIMEDIABILMENTE

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FLAVIO

Da dove comincio?

Ho appena detto a Giuditta di aver bisogno di un confronto leale, sincero, onesto. Senza filtri, senza censure. E ora che ce l'ho davanti, che ha acconsentito a questa confessione, ho timore di non riuscire a incassare il colpo. La prima domanda che voglio farle è di sicuro la più importante, quella per la quale non ho dormito notti intere, quella per la quale ho sentito crescere dentro di me un istinto omicida nei confronti dell'uomo che ha tentato di portarmela via.

Giuditta è seduta di fronte a me, ha le gambe incrociate e la fronte corrucciata da pensieri che, forse, sono molto simili ai miei.

Che cosa ne è stato di te, Giù, in questo lungo anno?

Chi era lui?

Che cosa ti ha offerto che io non avrei potuto darti?

Non resisto a lungo senza toccarla. Poso la mano sopra la sua, lei alza gli occhi.

Vorrei leggere dentro di te, Giù, e comprendere i tuoi turbamenti e le paure che ti attraversano la mente. Tutte le paure che vedo condensarsi nei tuoi occhi ogni volta che mi guardi.

«Giù, chi era lui

Credo di aver avvertito un sussulto nella sua mano, una breve scarica elettrica che l'ha fatta tremare per un istante. Quel tremolio mi fa una paura immensa.

Di chi si tratta, Giù?

Di un collega?

Di una persona che conosco?

Di uno sconosciuto incontrato al bar?

Di un vecchio amico?

Abbassa il viso, stacca le sue mani dalle mie e inizia a giocare con un lembo di stoffa del vestito. Lo arrotola su sé stesso, lo spiegazza, lo stringe tra le piccole dita della mano, le nocche si sbiancano.

Aspetto in silenzio mentre l'ansia diventa una montagna che non so se riuscirò a gestire.

«Ho paura che mi odierai di più» sussurra fiacca, stremata.

«Non posso odiarti. Non più di quanto io odi già me stesso per averti lasciato sola tanto a lungo.»

A combattere una guerra che non avresti dovuto affrontare in solitudine, vorrei aggiungere. Ma non lo faccio. Gli occhi sono fissi su una ciocca dei capelli che le ricade scomposta davanti al viso, fin quasi a coprirlo. L'afferro, la strofino sulle dita e proprio nell'istante prima che io inizi ad accarezzarle la guancia, pronuncia l'esecrabile nome: «Gabriel».

Gabriel.

Quel maledetto Gabriel.

L'attesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora