VICOLO DEI LAVANDAI

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dedicato a @misciagnarosa


Siamo fatti di sogni. Siamo fatti di teneri fragili e vacui sogni. Sogni che abbiamo pensato di poter stringere tra le mani, sogni nei quali abbiamo concentrato tutte le nostre energie. Ma i sogni non hanno né anima né consistenza e ci confondono, ci illudono, ci seducono come il canto di una sirena.

«Gaia, ti andrebbe di uscire per un aperitivo, una sbronza o quello che ti pare? Devo parlarti di una cosa.»

«Giù, accidenti perché non mi hai avvisata prima?»

«Hai già un altro impegno?»

«Non è un impegno, è una gigantesca rottura di palle» sussurra, suppongo per non farsi sentire.

In lontananza la voce di Tommaso tuona minacciosa e chiede a Gaia chi sia al telefono.

«È Giuditta!» urla. «Ho una noiosissima cena con la famiglia di Tommaso. Sai che gioia!» continua lei sbuffando.

«Ah. Be', allora non fa niente» mormoro affranta.

Le avrei voluto raccontare di Gabriel e iniziare ad ammettere che ho un problema, piuttosto grande anche. Avrei usato questa serata per disintossicarmi, un po' come si fa nelle comunità di recupero per tossicodipendenti: si condividono le esperienze, specialmente quelle sbagliate, quelle che mai avremmo il coraggio di ammettere senza vergognarcene.

«Tu non immagini quanto avrei preferito uscire con te. Ma non posso proprio.»

La saluto con l'ultimo briciolo di speranza a me rimasta.

Due settimane sono poche per chi le guarda dell'esterno, due settimane equivalgono a quattordici giorni e quattordici sembra un numero piccolo, ma posso giurare che non è così. Quattordici giorni sono un tempo talmente dilatato da sembrare infinito. Non è solo la consapevolezza che Flavio è lontano, no. È la certezza che io e lui non stiamo pagando lo stesso prezzo per questo distacco improvviso. Lui sembra sempre sereno, impegnato e collaudato a tollerare un tale sforzo, mentre io appaio come una fidanzata quasi gelosa, a tratti snervante e priva di spina dorsale.

Ma che male c'è a esprimere il proprio malessere?

Che male c'è ad ammettere i propri limiti?

E se non dovessi farcela? Se qualcosa tra di noi si rompesse? Se Flavio si svegliasse una mattina e capisse che quella vita gli aggrada più di questa con me?

Le paranoie sono una brutta bestia, specialmente al calar della sera.

Provo a chiamare Arianna, mi accontenterei anche di una serata passata da lei a parlare mentre Leonardo gattona senza sosta sul pavimento.

Nessuna risposta.

«Ce l'avete tutti con me? Che cosa ho fatto di tanto sbagliato per meritare questa solitudine!» urlo come un'isterica rivolgendomi al freddo soffitto sopra la mia testa.

Mi infilo sotto la doccia. Scelgo qualcosa da indossare senza perdere tempo in accostamenti sofisticati, mi trucco quel tanto che basta per non apparire smorta come uno zombie, ed esco. Da sola. Non so bene dove sono diretta, ma di certo so che non resterò chiusa in casa ad autoflagellarmi.

Faccio un paio di giri intorno al mio quartiere, solo il tempo di decidere dove andare a buttare questa mia carcassa vuota. Poi la direzione da prendere mi appare dinanzi come un richiamo irresistibile.


***


Non osservo i Navigli così attentamente da tempo immemore. Ora, però, ho l'intera notte per poterlo fare. Le strade ai lati del canale sono ancora sufficientemente vuote per godere della giusta dose di tranquillità. Sopra il Naviglio pendono fili di luci colorate e il cielo sembra di poterlo vedere al contrario, rovesciato sotto i piedi. Le minuscole sfere luminose sembrano ricreare sull'acqua immobile le splendenti costellazioni dell'universo.

L'attesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora