La serata spensierata, che avrei dovuto passare in compagnia delle mie amiche, si è trasformata in un completo fallimento. Di spensieratezza non ne ho neppure più un briciolo, mentre quello che mi resta tra le mani è solo un insopportabile senso di sconfitta. Sconfitta per non far parte di quella straordinaria categoria di donne che riescono a provare, semplicemente, indifferenza. Un po' di pura e sana indifferenza. Perché sappiamo tutti che il vero distacco emotivo da una qualsiasi sensazione lo si raggiunge attraverso il più totale agnosticismo. E io l'unico agnosticismo provato l'ho manifestato al suono del nome "Nicole". Affiancato alla frase "Non riesce a restare incinta".
Per quanto riguarda il resto, ho fatto un gigantesco buco nell'acqua, in primis accettando di scendere dall'auto e restare ad ascoltare quello stronzo patentato ben oltre il tempo di una sigaretta.
Come dovrei sentirmi ora, mentre esco dal bagno per andare a infilarmi sotto le coperte accanto a Flavio?
La risposta è: una vera schifezza.
Raggiungo in silenzio il letto, sposto delicatamente le coperte e mi allungo sopra le lenzuola a primo impatto troppo fredde. Flavio si muove, sento due mani afferrarmi i fianchi e un corpo caldo avvicinarsi al mio, mentre il senso di colpa per aver parlato ancora una volta con Gabriel corrode, pezzo dopo pezzo, quella che ho sempre considerato essere la mia più grande dote nei confronti dell'uomo che amo: la lealtà.
Chiudo gli occhi e cerco di addormentarmi, Flavio continua a muoversi impedendomi il sonno, di colpo si siede e accende l'abatjour.
«Che ore sono?» mormora con la voce roca.
«Le due, credo.»
Si stropiccia gli occhi e afferra l'orologio sul comodino. «Hai fatto più tardi del solito...»
Mai fatto più tardi dell'una, generalmente. E altrettanto generalmente, al mio ritorno Flavio è nel letto che dorme profondamente. Stanotte no. Ovvio, anche il risveglio del tutto casuale di Flavio deve riuscire a farmi sentire un verme per aver barattato ristoratrici ore di sonno con quell'assurda chiacchierata in compagnia dell'Irresistibile Canaglia.
«Non riesco a dormire. Devo parlarti, Giù. Devo farlo subito» dice.
Per un attimo smetto di respirare e ricomincio solo dopo aver scrutato con molta attenzione gli occhi assonnati di Flavio. Grazie a questa brevissima e attenta analisi comprendo il motivo di tutta la sua improvvisa ansietà: il dottorato di ricerca. E a giudicare dall'espressione che ha assunto, non ci sono buone notizie in vista.
«Ho deciso. Accetto il dottorato» pronuncia tutto d'un fiato.
Ha l'aria tormentata, non posso negarlo. Resta il fatto che la decisione è sua, solo sua. Non ha incluso me, non ha implicato il mio punto di vista. Ma io lo sapevo senza che lui mi dicesse nulla, ho sempre saputo che avrebbe accettato; eppure c'era, almeno fino a un attimo fa, la vaga speranza che potessi sbagliarmi, che Flavio potesse stupirmi.
«Va bene, Flavio.» Lo assecondo, imponendomi di sorridere, uno di quei sorrisi che vorrebbero trasferire dolcezza e comprensione. Chissà se ci sono riuscita davvero, chissà se Flavio ha creduto al mio bluff. Il mio sorriso è una farsa.
Mi sdraio volgendogli le spalle, resto a fissare la finestra finché Flavio spegne la luce. Ora di quel freddo telaio adornato da graziose tendine non resta altro che una macchia scura, come tutto intorno a me, del resto. Non saprei spiegare perché, ma il senso di colpa che stanotte ha appesantito le mie spalle lungo la strada di casa sembra essersi alleggerito. Probabilmente domani, al mio risveglio, sarà sparito del tutto.
***
Le giornate successive a quella notte trascorrono più in fretta del dovuto. Flavio rincasa prima del previsto ogni sera, a volte anche prima di me. Prepara la cena cercando di compensare, con elaborati manicaretti, la certezza che da lì a poche settimane rimarrò sola. Da sola. A consumare pasti davanti a un tavolo senza nessuna compagnia, senza la sua compagnia. A sedermi sul divano facendo zapping, consapevole che Flavio non rientrerà dalla porta di casa.
Venti giorni volano veloci come il vento e più si avvicina la data della sua partenza, più l'ansia si ingigantisce costringendomi a trovare dei diversivi, delle occupazioni che dovranno impegnare totalmente le mie giornate pur di non soffrire per quell'assenza.
***
La valigia è aperta sul pavimento, un trolley semirigido molto più grande di quello che generalmente io e Flavio utilizziamo per i nostri viaggi last minute. Il letto è pieno delle sue cose: maglioncini piegati, pantaloni impilati uno sull'altro e poi calzini, boxer e magliette di cotone. Io mi trovo raggomitolata ben oltre la distesa di panni, in un angolo del letto, con le gambe piegate sul petto e circondate dalle mie braccia. Osservo la scena con lo sguardo assente e il cuore che pulsa più velocemente di quanto dovrebbe.
«Secondo te sto dimenticando qualcosa?» chiede lui.
Flavio ha l'aria così tranquilla, come se non stesse accadendo nulla, come se questa partenza non rappresentasse null'altro che un brevissimo viaggio. Peccato che durerà settimane intere, interminabili mesi.
Faccio spallucce. Non ho voglia di partecipare ai suoi preparativi, anzi, in cuor mio spero che dimentichi qualcosa, qualcosa di così importante da costringerlo a tornare indietro. Non credo di essere mai stata tanto egoista in tutta la mia vita.
«Amore? Amore mio» mi richiama all'attenzione quasi canticchiando. «Ehi, perché sei così triste, Giù.» Si siede accanto a me, mi avvolge con le sue braccia e mi rimpinza di baci tra i capelli, sulla fronte, sopra la guancia.
Forse sto per piangere. Tiro su col naso mentre lui mi stringe il viso tra le mani. «Non sto mica partendo per la guerra!»
Ah, che bella consolazione. Dovrebbe farmi sentire meglio questa frase?
Abbasso lo sguardo affranta, non saprei proprio cosa rispondere. Allora Flavio cerca le mie labbra con le sue, quel bacio è irruento, come solo lui sa renderlo tale. All'inizio non mi lascio andare, cerco appiglio alla mia ferrea volontà di non assecondare la sua improvvisa passione. Vorrei punirlo in qualche modo. Ma dopo che la sua lingua cerca la mia in maniera tanto avventata, mi arrendo. I suoi sospiri mi rincuorano, dimostrandomi che lo attraggo ancora molto, che mi desidera come se i nostri corpi si toccassero per la prima volta.
Mi costringe a stendermi sul letto e sotto la pressione delle sue mani sul mio petto, mi sdraio e mi lascio spogliare come fossi un fiore al quale il vento sfila via i petali, mostrando al mondo lo stelo e il pistillo, ormai spogli di qualsiasi protezione. Mi sento senza protezione anche io al pensiero che lui non ci sarà. Mi sento improvvisamente fragile, abbandonata e vulnerabile.
Lascia scivolare le mani sopra il seno, sulla pancia e il mio vello cutaneo si solleva sotto il tocco di Flavio. Abbasso la zip della sua felpa, gli sfilo la maglia e lo costringo a prendere il mio posto sul letto. A cavalcioni su di lui finisco di spogliarlo, lo accarezzo, lo bacio in ogni angolo, assorbo il profumo della sua pelle cercando di memorizzarlo con i sensi in qualche parte di me, in modo tale che, quando la sera sentirò la sua mancanza, potrò recuperare il ricordo del suo odore e respirarlo ancora.
Ci amiamo in maniera così violenta da temere che tanta passione sia presagio di brutte notizie.
Ci amiamo come se questa fosse l'ultima volta a noi concessa.
Quando i nostri corpi si incastrano, quando ci ritroviamo l'uno dentro l'altra, dai miei occhi sfugge una lacrima. Una sola, che, solitaria, raggiunge la sua spalla.
«Ti amo, Flavio» sussurro con la voce che trema.
«Ti amo, Giù.»
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L'attesa
RomanceTerzo romanzo della serie -Il paradigma dell'amore- Sono passati quattro anni, Giuditta è una specializzanda nella facoltà di genetica medica ora. Trascorre le sue giornate divisa tra il laboratorio, i turni ospedalieri e la convivenza con F...