Vi chiedo scusa per non essere riuscita a pubblicare prima di oggi, quella appena passata è stata una settimana complicata. Spero che il capitolo vi piaccia.
A presto.
Un medico attraversa tre distinguibili fasi nel suo lungo processo di trasformazione da studente a dottore. La prima è quella della confusione, ed è tipica dei primi due anni di università, quando ogni aspetto della nuova vita da matricola ci sembra davvero troppo complicata. Le domande che frullano in mente sono molte e le risposte, a volte, impiegano un intero semestre prima di palesarsi; in quei sei mesi molti degli iscritti si dimettono dal corso di studi, e quell'improvviso dimezzamento non fa che aumentare l'ansia di chi resta.
Superati i primi due anni si entra nel meraviglioso mondo delle prime, fugaci partecipazioni in reparto, e qui si precipita nella seconda fase: quella della fierezza, la fase più lunga che accompagnerà lo studente per i prossimi quattro anni. Ci si sente straordinariamente e indiscutibilmente intelligenti, perché si è stati capaci di arrivare fin lì e, per un attimo, si ha la sensazione di poter essere già pronti per partire in missione con Medici senza frontiere e mettere in pratica tutte le nozioni imparate in ben tre lunghissimi anni.
La terza fase è l'ultima, ed è quella che mette in discussione tutte le altre: la rassegnazione. È tipica degli anni della specialistica. Ci si rassegna all'idea che non si può più tornare indietro, ci si rassegna dinanzi al quotidiano contatto con la malattia, con il dolore e con la morte. Il medico non salva soltanto, il medico vede la sofferenza e tocca con mano la morte e, sebbene sembri un essere imperturbabile, in realtà non lo è. Si cerca il distacco emotivo e lo si raggiunge attraverso la rassegnazione; non sempre si può vincere, e quando si perde, a scapito di una vita, la rassegnazione è l'unico aspetto che permette a un medico di perseverare.
***
Attraverso il corridoio principale del blocco nord ospedaliero, conosco quel labirinto di corsie come fossero casa mia: il pavimento di un bianco sporco interrotto in alcuni punti da spesse linee grigio scuro; i cartelloni sospesi in aria con le lettere dei vari settori del polo ospedaliero e le panchine sparse regolarmente lungo il perimetro. Saluto distrattamente qualche faccia conosciuta, i corridoi iniziano a liberarsi del caratteristico via vai delle ore mattutine e pomeridiane, alzo la testa verso l'alto e scruto, oltre la copertura in vetro del soffitto, il cielo torbido che preannuncia l'arrivo della pioggia. Sono a pochi metri dall'uscita quando li vedo. Riconosco subito lui, con lo stesso montgomery della sera in cui l'ho incontrato al bistrot, poi gli occhi si fermano su di lei: una donna molto diversa da come la ricordavo. Il suo viso angelico, sempre scrupolosamente truccato, ora è arrossato dal pianto; le sue invidiabili gambe sono nascoste sotto un pantalone che scivola morbido fin sopra la caviglia e che nasconde delle curve appesantite da qualche chilo di troppo; i suoi capelli biondi e setosi restano l'unica cosa rimasta immutata nel tempo. Sono seduti sull'ultima panchina prima dell'uscita, Nicole raccoglie la testa tra le mani mentre Gabriel le circonda le spalle con un braccio e la stringe a sé. Mi soffermo a guardare la scena per una manciata di secondi, e nel breve istante che intercorre Gabriel alza gli occhi e intercetta il mio sguardo, allora sposto l'attenzione sul pavimento sotto di me e proseguo dritta in direzione della porta, senza fermarmi, senza mai più voltarmi nella loro direzione, rallentando il ritmo del respiro pur di non fare rumore in quel corridoio tanto silenzioso.
Quando finalmente raggiungo l'uscita provo un sollievo incredibile, torno a inspirare ed espirare normalmente, il fiato caldo che esce dalla mia bocca si disperde in una nuvola bianca e l'aria gelida di fine gennaio mi intirizzisce le membra. Durante il viaggio in auto i pensieri non fanno altro che indugiare sulla figura di Nicole. Provo un sottile appagamento nell'averla vista tanto cambiata, non più impeccabile nel suo involucro esterno, ma normale e incredibilmente imperfetta. Imperfetta nella sua fisicità, imperfetta nel suo viso arrossato e soprattutto umana nel vederla piangere.
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L'attesa
RomanceTerzo romanzo della serie -Il paradigma dell'amore- Sono passati quattro anni, Giuditta è una specializzanda nella facoltà di genetica medica ora. Trascorre le sue giornate divisa tra il laboratorio, i turni ospedalieri e la convivenza con F...