DEBOLEZZE (parte seconda)

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Una volta arrivata a destinazione realizzo quanto sia stata avventata la mia decisione, ma ormai sto superando le porte scorrevoli della caffetteria universitaria e non avrebbe più alcun senso tornare indietro, soprattutto perché, appena i miei piedi oltrepassano la soglia d'entrata, lui mi vede.

Gabriel alza gli occhi come se la mia entrata − poco trionfale − fosse riuscito a percepirla attraverso un'invisibile scia di elettricità propagatasi da me a lui.

L'ansia aumenta smisuratamente.

L'Irresistibile Canaglia accenna un sorriso a primo impatto tenero, quasi innocente, e per un attimo smetto di pensare al mio morale avvilito. Pochi passi dopo lo vedo che con la mano mi invita ad avvicinarmi a lui.

C'era da aspettarselo. Voglio dire, cosa posso dimostrare a me stessa, o a lui, venendo in questa caffetteria durante la pausa pranzo?

Milano pullula di posti dove poter mangiare un boccone, non serviva neppure che io prendessi la macchina, accanto al laboratorio ci sono almeno un paio di tavole calde.

Sono venuta qui di proposito.

Perché?

Perché sono una donna molto stupida, molto debole e con una leggera vena autodistruttiva. Forse sto cercando una parola di conforto, o magari la presenza di un essere umano dotato di testosterone in grado di stimolare la produzione di nuova autostima.

Anche se Gabriel non è propriamente il genere di uomo più adatto a generare autostima ex novo dal mio ormai fragile animo.

Lentamente avanzo, accorciando inesorabilmente la distanza che mi separa dal suo tavolino posizionato in un angolo del bar. Quella è la postazione preferita di Gabriel, è sempre lì che andava a sedersi nel lontano periodo in cui la mia esistenza e la sua erano legate da un rapporto classificabile come superficiale frequentazione piuttosto che amore, almeno da parte sua.

«Ciao», dice. E nei suoi occhi leggo una vaga vena di compiacimento.

Sposto la sedia e mi accomodo di fronte al suo bel faccino da schiaffi, mi viene quasi da sorridere al pensiero che una sberla sono davvero riuscita a stampargliela su quella guancia.

Arriva il cameriere con in mano una porzione di insalata di cereali.

«Posso offrirti il pranzo?» mi chiede Gabriel.

Annuisco e ordino anche io una porzione di insalata di cereali e una bottiglietta d'acqua.

«Ero convinto che non saresti mai venuta.»

«È un puro caso che io sia capitata da queste parti» mento spudoratamente.

«Dormito male stanotte?»

Capisco che si sta riferendo alla pessima cera che ho sul viso. Cerco di rilassare lo sguardo per stendere l'eventuale ruga in mezzo alla fronte sulla quale si era tanto accanito la sera dello schiaffo.

«Un po' di allergia, tutto qui.»

Ma so per certo che non si è bevuto la mia menzogna.

«Accidenti, devi avere proprio una brutta allergia per giustificare quegli occhi tanto rossi e gonfi. Un antistaminico ti aiuterebbe.»

La sua provocazione è per me una stilettata nel petto.

«Non ti ricordavo così divertente. Cos'è, hai fatto un corso di educazione al sarcasmo?» Lo stuzzico stranamente divertita.

«È l'aria di Roma che ha risvegliato certe naturali inclinazioni. Qui a Milano ero diventato troppo simile a un freddo uomo del nord, soffocando il mio innato e solare atteggiamento da terrone.»

L'attesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora