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Tommaso

Erano trascorsi ormai molteplici giorni da che non sentivo Daniel. Non rispondeva mai alle chiamate, nè ai messaggi; avevo passato intere mezz'ore a cercare di interagire, invano, con lui. Ma vedendo che virtualmente non riuscivo a raggiungere il mio obiettivo, decisi di voler tentare personalmente.

Non sarebbe però stato facilissimo. A danza, prima dell'inizio dell'allenamento, non ci davamo più appuntamento come in passato. Ci vedevamo solo più a lezione, allo scoccare della quindicesima ora. E nemmeno lì avevamo l'occasione di parlarci. Annalisa era talmente esigente per quanto riguardava il silenzio a lezione che anche avessi voluto non avrei potuto proferire parola.

Cosí, senza avvicinarmi a lui, muovevo una mano accanto alla coscia e lo salutavo. Lui a malapena rispondeva. Con lo sguardo osservava il mio palmo agitarsi, ma non lasciava che anche il suo si libras se nell'aere. Era bizzarro. Di solito stava a quegli stupidi giochetti.

In quel periodo aveva un non so che di inspiegabile apaticitá, freddezza, serietà che non riuscivo proprio a concepire. Ogni volta che provavo a domandargli che cosa avesse, la risposta, da parte sua, era sempre la medesima:" Nulla. Cosa dovrei avere? Cos'ho, di diverso?" mi domandava, come se non si rendesse conto che non mi rivolgeva praticamente più il saluto.
Chissà. Forse non aveva nulla sul serio. Forse non si rendeva conto di come e quanto fosse cambiato. Se solo avesse avuto uno specchio per vedersi, di sicuro avrebbe notato anche lui qualcosa di differente non solamente negli atteggiamenti, ma anche nelle abitudini.

A lezione arrivava di continuo piuttosto in ritardo. Finivamo sempre per fare un sacco di allenamenti, a causa sua; Annalisa non ce ne risparmiava nemmeno uno. E come se il fatto che ciò non fosse da lui non fosse abbastanza, quando i nostri compagni, gli amici di Fabio, si ribellavano alle decisioni di Annalisa di farci allenare per punizione, insultandolo, lui non reagiva. Abbassava lo sguardo. Deglutiva. Vedevo che caricava sulle proprie spalle ogni incursione. Era evidente che non avesse nè la voglia, nè la forza di fare nè dire nulla. E anche quella cosa non era da lui. Appena gli veniva mossa un'accusa contro, Daniel era sempre stato pronto a rispondere alle ingiustizie. Ma non in quello stranissimo periodo durante cui non ero stato l'unico a notare le differenze nel suo modo di comportarsi.
Lo notarono anche mio fratello, addirittura Fabio, che di Daniel sapeva relativamente poco.

"Ma hai provato a chiedergli se gli è successo qualcosa?" mi aveva chiesto un giorno, prendendomi in disparte in un angolo dello spogliatoio.
"Certamente" risposi in maniera affermativa, piegando in due la maglietta sudaticcia che aveva coperto il mio busto durante quella sessione di allenamento piuttosto intensa.
"E ti ha detto qualcosa?".
"Macchè" dissi, aprendo il mio zaino, in cui trovai qualcosa di non mia appartenenza. La borraccia di Daniel.
"Vuoi che provi io?" aveva cortesemente proposto Fabio. Ero sorpreso dalla sua gentilezza.
"Figurati" risposi, domandando intanto cosa avrei dovuto fare con quel barattolo di plastica. Consegnarlo al proprietario col rischio di non essere degnato nemmeno di uno sguardo o continuare a tenermelo?

"Ti pare che se non ne parla a me, che sono il suo migliore amico, lo vada a dire a te, con il quale avrebbe battibecchi giorno e notte?".
"Ah, be'. È colpa sua che è permaloso" si difese Fabio, incrociando le braccia.
"Daniel non è permaloso. Affatto" chiarii.
"È un tipo super paziente. Sei tu che lo stuzzichi. E sai essere davvero pesante" gli confessai.
"Se continuiamo così, però, mi sa tanto che non andremo da nessuna parte" disse, ad un certo punto, forse per scampare alla situazione.
"Hai ragione".
"Allora? Che possiamo fare?".
"Non ne ho la più pallida idea. Ciò di cui sono certo è che so che Daniel crede in me. E so che se ne ha davvero bisogno, mi parlerà dei suoi problemi".
"E perché non lo fa?". Fabio mi osservava estrarre e inserire la borraccia del mio amico più e più volte, nervosamente.

"Cosa stai facendo?" mi domandò poi, indicando il mio zaino col mento.
"Eh ? Niente" mi affrettati a rispondere. Poi tornai sul discorso saliente.
"Forse non è poi così grave, quello gli sta succedendo, e non me lo dice per non farmi preoccupare".
"Non è così grave? Ma lo hai visto bene? Guarda in che condizioni è". Me lo indicò, sollevando rapidamente una mano.

Daniel se ne stava nello spogliatoio, sotto le docce, con l'acqua ghiacciata a fargli venire la pelle d'oca. Deglutii. Sentii gelare il sangue nelle vene. Mi faceva così pena e la cosa strana era che fu la prima volta che provai compassione per lui. Per me era sempre stato un modello da seguire, una persona forte che, talmente era perspicace, faceva stare zitti tutti quelli che avevano da dire contro di lui senza usare la violenza, ma l'intelligenza delle parole dosate con grande maestria. E invece, in quel momento, capii che la sua forza era svanita all'improvviso, le spalle curve, piegate sotto al rumore insistente dell'acqua scrosciante. Era diventato così fragile, lo si capiva se ci si ferma a guardarlo per qualche istante...

La voce di Fabio mi fece tornare alla realtà, impedendomi di rimanere immerso nelle mie riflessioni.
"E secondo me, è il contrario di quello che pensi. Lui non parla non perché non sia una cosa rilevante. Tutt'altro. Perché è una cosa talmente importante che non vuole farti preoccupate sul serio. Se fosse una schiocchezza, perché non dirtela apertamente?".

Non potei che dargli ragione. Senza conoscere Daniel, Fabio stava giungendo a conclusioni molto più sensate delle mie.
"Prova ad insistere, Tommaso" mi consigliò.
"No. c'è da dire un'altra cosa. Daniel è molto, molto riservato. Non ama dire i fatti suoi in giro. Se si vuole sapere qualcosa di lui, bisogna proprio andare ad estrapolare informazioni".
"Ma come, vi vedo sempre chiaccherare di tutto e di più, voi due".
"Certo. Ma perché è lui a parlarmene. Se io domandassi delle cose su di lui di cui non vuole parlarmene, stai pure certo che non aprirebbe bocca".
"È strano" disse Fabio, facendo spallucce. I suoi occhi analizzarono il mio zaino, semi aperto.
"Non è strano. È riservato. E va bene così" cercai di prendere le sue difese.
"Se lo dici tu...".
"Poi vedremo. Penseremo ad una soluzione".

Ci lasciammo così, non prima di aver ricevuto un ennesimo buon consiglio.
"Restituisci la borraccia a Daniel. Avrai modo di attaccare bottone con lui e chiedergli cosa stia succedendo".
Peccato che Daniel fosse ancora sotto la doccia e mia madre, in perenne anticipo, aveva appena chiamato mio fratello per avvisare che ci stava aspettando fuori dalla palestra per accompagnarci a casa. Fuori stava diluviando.

Nel frattempo, mi dedicai a qualcos'altro in modo da non focalizzarmi troppo su Daniel.
Ero certo che, se avessi continuato così, non ci avrei dormito la notte.
Ero seriamente preoccupato. E avrei finito per torturarmi. In fondo si trattava del mio migliore amico ed era così brutto non sapere come intervenire quando gridava di essere aiutato senza farsi sentire.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora