Capitolo 23

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Daniel

Il pomeriggio, invece, fu molto più movimentato. Passammo quasi tre ore mezza in spiaggia, tra sole, mare e tornei di pallavolo con altri ragazzi che nel frattempo avevamo conosciuto in giornata, tra il chioschetto sul marciapiede a pochi metri rispetto a dove ci eravamo posizionati noi e qualche nuotata in acqua.
Facemmo amicizia con una decina di nostri coetanei, e il divertimento che si era formato attorno a noi fu qualcosa di irrefrenabile: musica a tutto volume e schiamazzi si estendevano per tutta la spiaggia nell'arco di decine di metri quadrati.
La gente, principalmente fra quelli della terza età, ci guardavano, lanciando sguardi seri, incapaci di comprendere la nostra voglia di vivere ogni secondo rimanente di quell'estate che a breve sarebbe terminata.

Le nuotate al mare si erano trasformate da qualcosa di assolutamente proibito dai nostri genitori e sconsigliato dal cugino di Andrea, in una sorta di sfida: come si poteva resistere a qualche tuffo in acqua? Oltretutto sapevamo nuotare tutti perfettamente. Eravami sicuri di non rischiare niente. E quel giorno ci andò di fortuna. Non oso neppure immaginare quali sarebbero potute essere le reazioni dei nostri genitori nello scoprire che i loro figli non solo avevano disobbedito alle regole evitando così di sottostare alle loro severe decisioni, ma avevano anche rischiato di annegare, per quanto poco probabile fosse.
Per non parlare delle conseguenze che avremmo dovuto subire. Ma desistere a tuffi pericolosamente improvvisati sulle spalle degli amici fu come una tortura quando provammo a rimanere immobili sul bagnasciuga a prendere il sole. E fu lì che ci scambiammo un solo sguardo. Dopodiché scattammo su come molle e corremmo verso l'acqua, come attratti da una calamita.

Quando il pomeriggio non era ancora terminato, verso le sette, dopo esserci asciugati e ricoperti di un ulteriore strato di crema, ci rivestimmo e, senza passare per casa, decidemmo di inoltrarci in città per fare un giro.
Ed anche lì, l'allegria non potè mancare.
Io e Andrea cercavamo in tutti i modi di far inciampare Tommaso con le sue infradito che, a causa delle continue corse e dei numerosi salti per il campo di pallavolo, si erano completamente sfracellate.
"Basta, io ne ne torno a casa!" ci aveva minacciati, urlando.
"Ma se non sai nemmeno dove ci troviamo!" dissi, ridendo, preso dall'euforia.

Anche lui, però, ebbe modo di vendicarsi di noi, una volta con un mega gavettone preparatoci di nascosto, a cui i nostri sguardi rimasero all'ignoto fino a che non ce lo ritrovammo davanti, altre prendendoci a ceffoni con le sue infradito distrutte sul collo, dove evidenti ustioni rosso fuoco erano comparse sulla pelle a causa di una mancata prevenzione.

"Visto? Servono ancora a qualcosa!" disse, tenendo orgoglioso tra le mani una ciabatta e camminando di conseguenza scalzo per un piede.

Per cena andammo in un ristorante. Ovviamente non prima di essere passati per casa a lasciare la nostra roba, a farci una doccia, a prendere i soldi e aver richiamato il cugino di Andrea e averlo rassicurato di essere ancora sani e salvi. Anche se sul primo aggettivo si sarebbe potuto avere molto da commentare...

Ormai si era fatto tardi, erano le nove e mezza. Ma d'estate era così, tutto si faceva sul tardi: le sveglie mattutine che suonavano non prima delle undici, i pranzi delle tre, le cene che venivano sfasate anche di un paio d'ore.
"Dove ci porti?" domandammo io e Tommaso al veterano del posto.
"In un ristorante vegetariano" disse, osservando le nostre facce incuriosite. Amavo i ristoranti come quelli. Non ero tipo da carne, al contrario di Tommaso. Ma anche lui pareva entusiasta dell'idea.

Mangiammo a non finire. Era tutto buonissimo, non ero mai stato in un ristorante così lussuoso e perfetto in tutto: il servizio, la qualità e la quantità di cibo... i camerieri erano anche di bella presenza, così come gli altri commensali. Non c'era da stupirsi se Andrea, con il suo buon gusto, lo conoscesse.

Volle offrirci lui la cena.
Io e Tommaso dovettimo insistere tanto per non farlo pagare al posto nostro, ma fu impossibile. Alla fine, l'unica cosa da fare fu rassegnarsi al suo bel gesto.

Ma la giornata non era finita qui.
Ci aspettava ancora una cosa stupenda, da fare. La più bella. La più attesa. La più inaspettata. Soprattutto da me, che non l'avevo mai vissuta.
Una nottata in spiaggia.
"Che ne dite? Mi sembra carina, come idea, per finire la giornata in bello. No?" aveva proposto Andrea.
Tommaso aveva già vissuto esperienze del genere. Io, invece, ne ero completamente ignaro. Sì, un giorno io e Sonia passammo una serata in spiaggia. Ma verso le due di notte, accompagnati da un mio cugino per di più maggiorenne, tornammo a casa. Per cui si trattò di qualcosa di davvero emozionante.
"Ma non avevi detto a tuo cugino che avremmo dormito a casa?" domandai.
"Avevo. Ma ho cambiato idea" annunciò.
"Ho fatto male?" disse, maliziosamente.
"No, no".
"Quindi vi va?" ci chiese.
" Dormiamo in tenda. Quelle della Quechua si montano con non molta logica nè tempo".
"Che meraviglia! Ci sto!" disse Tommaso.
I miei amici si voltarono a guardarmi.
Deglutii. Non volevo fare il guastafeste. Ma per quel giorno avevamo già trasgredito abbastanza.
Quindi ebbi le idee chiare su cosa rispondere. Avrei rifiutato la proposta.
"Ci sto". Mi stupii io stesso della risposta che avevo appena dato. Mi misi una mano sulla fronte. Ormai era fatta.
Non mi rimaneva che sperare che tutto andasse per il meglio per l'ennesima volta.


La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora