Capitolo 47

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Numb, David Archuleta

Mi scuso per il capitolo che di sicuro avrà ripetizioni, ma non l'ho riletto ( confesso!).
L'ho dovuto scrivere con tanta pazienza per cercare di esprimermi al meglio e non ho avuto tempo di correggere eventuali errori.
Se volete, fatemi sapere se trovate Orrori.
Il fatto è che mi sono accorta che il capitolo 46 e il 48 ( il prossimo) non hanno un collegamento. Così ho infilato questo in mezzo. Spero piaccia comunque e che abbia saputo esprimermi bene.

Buona lettura.

Daniel

La pioggia precipitava violentemente sulla ringhiera nera del balcone, ticchettando violentemente e ritmica. Assieme al tuonare del temporale, luminoso nel cielo al far comparire nel buio del firmamento i lampi, poteva parere la base di una canzone.

La ringhiera, bagnatasi a macchia d'olio sulla sua superficie, lasciava il formarsi di chiazze che si scurivano man mano che l'acqua cadesse su di esse.
A tratti, essa aveva perso la luciditá dell'intonaco, di un nero intenso e scuro, scrostandosi e lasciando che si potesse intravedere il colore originale della ringhiera, in parte di una tonalitá simile alla ruggine.

Il balcone, nei centimetri più esposti in avanti, era bagnato da piccole gocce d'acqua che, nonostante s'asciugassero in fretta, non lasciavano che questo facesse altrettanto. Perché dopo pochi secondi ne cadevano delle altre, incuranti del fatto che sarebbe toccato a me, pulire, una volta che quel nubifragio cessasse di allagare le piastrelle del ballatoio.

Appoggiato alla balaustra umida, incurante della pioggia che precipitava sul mio viso, sulle mani, sui capelli quasi sempre spettinati, osservavo l'ambiente attorno a me, mosso dal vento che scuoteva gli alberi, ancora completamente spogli dalle foglie, in quel periodo. Quell'aria violenta sembrava percuotere anche le case in lontananza che, se le si osservava con un po' di fantasia, parevano ondeggiare a destra e a sinistra.

Gli uccellini cercavano frettolosamente gli ultimi ripari all'interno delle siepi del giardino, cinguettando animatamente.

I corvi volavano alti nel cielo, gracchiando rumorosamente. Poi, sotto ai tetti, nascondevano le piume corvine per evitare che, a contatto con l'acqua, potessero appesantirle impedendo loro il volo.

Ed ecco un'altro potente rombo. Il temporale si fece vivo, tuonando con forza nel cielo. Alzai gli occhi verso le nuvole, cineree e minacciose, attendendo impaziente la comparsa del lampo, candido e fulmineo.

Avevo sempre amato il temporale. Non ne conoscevo la vera ragione. Sapevo solo che, sin dalla prima infanzia, quel periodo della vita in cui ogni scoperta è susseguita da una miriade di perché, avevo sempre atteso il temporale. Il suono del suo esplodere nel cielo, per poi ricomparire sotto forma di luce, chiara e sfolgorante in un momento tanto inaspettato quanto desiderato.

Riflessi. Una ragione, forse, c'era.
Forse il motivo che mi facesse apprezzare tanto quella condizione meterologica era il fatto che la vedessi un po' come una rinascita in un momento buio.
Il bagliore emanato da un lampo era come la luce che irrompe violenta e improvvisa nell'oscurità, facendo diventare ciò che era buio, triste, senza vita, un qualcosa pieno di speranza, di chiarore, di rinascita.
E poi, poi scompariva di nuovo, lasciando il posto alle tenebre nell'immensità del cielo, quell'immensità a cui ciascuno di noi apparteneva e di cui faceva parte.
Forse era per quello che dopo si percepiva un senso di smarrimento, di vuoto. Tornava l'oscuro, l'inconscio, il timore. E il lampo era la sola speranza di poter affrontare, per un attimo, tutto ciò.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora