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Daniel

L'unica cosa che ebbi voglia di fare, nei giorni successivi, fu quella di abbandonare qualsiasi attività per pensare. Da un lato perché non avrei potuto concentrarmi su nient'altro. I pensieri si erano accumulati nella mia mente e avevo la necessità di smaltirli. Dall'altro lato, era giusto mi perdessi in profonde riflessioni dopo quello che era accaduto. Se non l'avessi fatto, avrei avuto rimorsi immensi e incontrollabili. Tanto valeva stare male subito.

Volevo pensare. Ma farlo sul serio. Volevo pensare a quel ragazzo che per tutti quei mesi era riuscito a tener nascosta, se non addirittura segreta, la sua doppia identitá. Come accidenti aveva fatto?

Certe cose non si riescono proprio a spiegare. E di sicuro, lui, in quella situazione si sarà trovato proprio a non riuscire a trovare le parole piú adatte per giustificare il suo comportamento.

È incredibile fino a che punto si possa arrivare a cambiare ciò che la gente pensi di te, cosí come fossero delle carte in tavola. L'uomo è dotato di capacitá ed abilitá che sorprendono.

Cosí, desideroso di un po' di nullafacenza, passai entrambi i pomeriggi del weekend in camera mia sdraiato sul letto. Mi era passata la voglia di uscire. Oltretutto a chi avrei domandato? Stavo iniziando a perdere la fiducia nella gente. Decisi, in quel preciso periodo, che avrei dovuto imparare a fidarmi di me stesso e basta.

La prima ad accorgersi del mutamento del mio comportamento fu sicuramente mia madre che mi chiese come mai non avessi voglia di fare nulla.
In realtà la voglia, a me, non mancava. Il problema era un altro. E cioè che la causa della mia apatia fossero gli altri. Mi stancava dover dedicarmi a qualcuno che non fosse me stesso.
Cosa uscivo a fare con gli amici se poi scoprivo, per puro caso, che quelli mi avevano mentito?

A mia madre, però, mentii dicendo che fossero tutti via in montagna, in quel weekend, o che avessero troppi debiti da recuperare per poter andare a fare un giro.
La prese bene, fino a quando non mi propose di uscire con la vicina di casa. Avrebbe avuto urgente bisogno di fare la spesa. A quel punto, fui costretto ad inventarmi qualcosa di sana pianta.

"Devo studiare anche io" dissi.
"Ma come. Poco fa avevi detto di non avere nulla da fare, per la scuola. Non è periodo di verifiche per chi ha materie insufficienti?".
"Lo so. Ma mi sono ricordato che sono stato scelto per fare dei manifesti per un'attività extrascolastica. Quindi adesso devo proprio mettermi a disegnare, altrimenti non ce la farò mai". Fu la scusa più ingeniosa che avessi trovato per non uscire con la vicina di casa. E dire che, nell'arco di cinque anni, ossia dal momento in cui avevo iniziato a inventare scuse per non fare ciò che mia madre mi suggerisse, la cosa mi fece sorprendere molto.
Mia madre abboccò. Ed ebbi campo libero.

Chiusi la porta della mia stanza, dove ormai stavo da ore, con delicatezza. Mi sedetti alla scrivania stufo di giacere sul letto come un morto, ed iniziai a pensare a cosa potessi fare. Dormire non era cosa da me. Odiavo dormire al pomeriggio, fare la tanto amata da tutti, in famiglia, siesta. Lo trovavo uno spreco di tempo. Dormire, più in generale era, secondo me, una perdita di tempo. E pensare che noi umani passiamo un terzo della nostra vita dormendo...

Non volevo sprecare ulteriormente delle ore a pensare ad Andrea. O Fernando. O chiunque lui dicesse di essere.

Accesi la televisione. Al sabato, di pomeriggio, non trasmettevano mai niente di interessante. Poco male. Avrei usato la pubblicità per farmi da sottofondo mentre disegnavo.
Idea. Potevo davvero disegnare. Era da un sacco di tempo che non lo facevo e quella sarebbe potuta essere l'occasione giusta per riprendere in mano una matita.

Tornando in camera, notai Miele dormire in mezzo al corridoio.
"Cosa fai qui ?" gli domandai come se potesse rispondere.
Lui, osservando i con i suoi occhi tondi e color cioccolato, scodinzolò appena.
"Inizia a fare caldo anche per te, non è vero?" tornai a chiedere, chinandomi per accarezzare la sua nuca, dal pelo scolorito.
Dall'altra parte del corridoio, Zedge arrivò in tutta la sua magnificenza. Il pelo nero e lucidissimo mostrava il suo stato di salute. Ma d'altronde era ancora un cucciolo. A breve avrebbe compiuto un anno.
"E tu? Non hai caldo, con tutto quel pelo da Terranova che ti ritrovi?" posi un quesito anche a lui, accarezzandolo.
"Manca solo il Jack Russell" pensai fra me e me.
"Sará di sicuro in giardino a scavare buche, quella peste".
Avere tre cani in casa era davvero faticoso, delle volte. La fortuna era avere un ampio giardino sul retro, anche se l'unico a usufruirne era il più piccolo fra i tre. Miele era troppo anziani per spostarsi e, per di più, rimanere al sole. Zedge, probabilmente rimaneva in casa per le temperature.

Entrato in camera scortato dal ficcanaso di Zedge, iniziai a cercare il blocco dei fogli A4 tra i cassetti del mobilio e dopo qualche minuto di ricerca, potei iniziare.
Presi un foglio dal mio blocco di cartoncini, il mio set di matite, la gomma pane, lo sfumino. E iniziai a disegnare.

Inizialmente non sapevo ció che la mia mano stesse producendo. Lasciavo che disegnasse qualcosa senza un vero motivo. E intanto, pensavo a qualcosa di valido.

Alla televisione trasmettevano un programma sugli animali. Era un documentario sui leoni doppiato in italiano a partire da un programma inglese.

Ebbi una prima ispirazione. Disegnai uno dei miei gatti. Era lì, accanto a me, nella sua cuccia, a guardarmi mentre accennava qualche fusa leggera, di cui si percepiva appena il suono.

Amavo disegnare gli animali. Mi rilassava. Era molto più gratificante che disegnare qualsiasi altra cosa.
Anche i ritratti non mi dispiacevano. Erano così complessi e pieni di dettagli, che se venivano bene, si rivelavano essere la cosa più soddisfacente di tutte.

Dopo aver rappresentato il mio gatto guardai l'ora. Era prestissimo, era passata solo un'ora. Ma avevo ancora voglia di disegnare, dunque seppi come passare la successiva.
Così pensai ad un altro disegno da mettere in pratica.

Decisi di intraprendere la raffigurazione di un volto.
Pensai a quale scegliere, ma a dire il vero non avevo voglia di disegnare nessuno in particolare. Nè i miei genitori, nè mia sorella, che mi sembrava banale, nè i miei amici. Ma anche inventarne uno senza nemmeno averne mai immaginato le caratteristiche diventava difficile.

Provai a disegnare degli occhi. Era da lì che di solito partivo per i miei disegni.
Piano piano che prendevano forma, mi accorsi della loro somiglianza con una persona che conoscevo molto bene: Sonia.
Ecco, Sonia. Avrei disegnato lei.

Quanto mi mancava. Il poterla disegnare mi faceva sentire come se potessi averla più vicina a me.
Proseguii con le sopracciglia, sottili, il naso leggermente all'insù e le labbra carnose e chiare. Continuai poi, con i lineamenti ancora da bambina, i capelli a caschetto lievemente mossi.
Non mi distraetti nemmeno per un secondo. Ero così concentrato su ciò che stavo facendo, per farlo il meglio possibile, che non mi resi conto di ciò che stavano trasmettendo alla televisione.
Era iniziato il telegiornale delle cinque.

Le notizie scorrevano di fretta tra i sottotitoli e le parole corrispondenti al labiale pronunciate rapidamente dalla presentatrice. Fino a quando non annunciò che la notizia principale di quell'edizione sarebbe stata dedicata ad un incidente avvenuto qualche mese prima in Lombardia, presso Milano.

"L'aereo precipitó il due aprile di quest'anno. Viaggiava da Varsavia in direzione di Caselle, ma arrivato in territorio italiano furono avvertite delle anomalie nell'aereomobile che portarono all'inevitabile caduta di quest'ultimo, provocando la morte di tutti i passeggeri. Tra di esse viaggiavano anche una ragazza, tredicenne, con la madre incinta all'ottavo mese e il padre. I corpi sono stati rinvenuti. Tra le braccia della ragazza è stato inoltre ritrovato un diario. Ecco qui le immagini".
Nel sentire pronunciare quelle parole, mi sembrò surreale parlassero di qualcosa che mi riguardava. Lacrime di nostalgia cominciarono a cadere incessanti sul mio viso.

Il servizio mandó in onda delle immagini del diario di Sonia e del suo contenuto. Ed ua voce narrava le parole scritte in alcune pagine di esso, piene di speranza e fiducia, ottimismo.
Una pagina dopo l'altra, potei vedere quanto, di quel diario, fosse dedicato a me. Era pieno di disegni di noi due. Di frasi che mi aveva detto prima della partenza.
Di sogni che desiderava realizzare con me.
Molti paragrafi parlavano anche della sua famiglia. Raccontava di quanto fosse entusiasta dell'imminente nascita di sua sorella.
E parlava anche di sè. Di come si sentiva. Di come, nonostante la lontananza dall'Italia si fosse abituata a vedere il buono delle cose.
Di quanto le mancasse la persona per lei più importante. E fu straziante scoprire che parlasse di me, Dane.

La cosa più sorprendente fu sapere che nulla andó perduto. Potei avere fra le mani l'ultimo oggetto tenuto in mano da Sonia, il suo diario. Fu incredibile, per me, possederlo. Era l'oggetto più di inestimabile valore che potessi mai avere.
Leggerlo, mi fece capire quanto la vita, a volte, potesse essere ingiusta, ma allo stesso tempo sorprendente.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora