Capitolo 52

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'Quel bacio è stata la cosa più sincera che io abbia mai dato'.

Daniel

Andrea. Quale aspetto poteva avere la felicità? Era, tale aspetto, lontanamente paragonabile a questi?
Aveva le sue sembianze?
I suoi occhi verdi?
Le sue labbra carnose?
La voglia a cuore sul collo?
Era, Andrea, la mia reale percezione della felicità?
Sarebbe mai potuto esserlo?
O forse ero solo io, quello a desiderare fortemente che lui potesse esserlo?
Magari non lo era.
Ma il mio volerlo contrastava, addirittura sovrastando, qualsiasi pensiero negativo.
Andrea poteva essere la mia felicità.
Io pretendevo fosse lui, a rappresentarla.
A qualsiasi costo.

Venerdì. I raggi del sole sbucavano luminescenti attraverso le vaporose nuvole bianche che, nel firmamento celeste, si muovevano rapidamente sopra gli alti palazzi della periferia torinese.
Un vento persistente soffiava sulla cittá da ormai un paio d'ore; si trattava di cosa rara.
L'odore di benzina dei mezzi di trasporto si mescolavano al profumo dei fiori, inebriante e persistente ne pressi di qualche pianta che, con il clima più mite, aveva dato vita a nuovi boccioli.

Finalmente la giornata, più precisamente la settimana scolastica, era giunta al termine. Non vedevo l'ora di tornare a casa, rilassarmi e dedicarmi a qualche attività piacevole.
Ma prima avrei avuto altro di cui occuparmi. Andrea.

Una volta fuori da scuola, incastrato fra la folla schiamazzante e qualche albero del cortile, iniziai a cercare con gli occhi Andrea. Dovevo assolutamente parlare con lui. Per l'ennesima volta. Dovevo chiarire un sacco di questioni rimaste irrisolte, nonostante i tentativi di mettere una pietra sopra non fossero stati così pochi da poter essere contati sulle dita di una mano. E sarebbe stato impossibile rimandare ancora una volta

Scrutai attentamente le persone attorno a me per trovarlo, lo zaino nero con un inconfondibile taglio sulla tasca laterale, la postura sempre eretta, mostrante la sua sicurezza di sè.

Alla fine, dopo un'analisi accurata di numerosi volti, ci riuscii. La sua persona si trovava già fuori rispetto al cancello d'ingresso della scuola. Si stava avviando a passo svelto, come sempre, verso la fermata del pullman che lo avrebbe portato, dopo un lungo tragitto, nella sua splendida villetta extraurbana.
Lo raggiunsi correndo, il pullman stava per arrivare e non potevo permettermi di perdere tempo.

"Andrea! Andrea" gridai con tutta la voce che avevo in petto, incurante degli sguardi della gente che si erano puntati su di me nell'arco di pochi secondi.
Lui non potè non sentire la mia voce, echeggiante per quel vicolo stretto che stava rapidamente percorrendo. Ma non osò girarsi.

Lo raggiunsi, il fiatone opprimeva la mia voglia di parlare. Gli toccai una spalla, prendendola saldamente con la mano e lo feci ruotare, obbligandolo a voltarsi. Reagì bruscamente, scuotendo il braccio. I suoi occhi, pericolosi, incontrarono i miei.
"Che cosa vuoi?!" sbottò, aggrottando le sopracciglia.
"Ande...". Avvicinai una mano alla sua persona.
"Ande un cavolo. Per te sono Andrea". Scostó bruscamente la mia mano con la sua. Osservai la scena, deglutendo. Lasciai che il silenzio parlasse al posto mio.

"Ti prego, ascoltami".
"Perchè dovrei farlo?".
"Devo parlarti". Indietreggiò, guardandomi nelle pupille.
"Parlare. Non baciare. Non avvicinarti a me. Non voglio avere alcun contatto fisico con te". Misi le mani davanti a me, in segno di rassegna. Lui incrociò le braccia, facendomi intendere che sarebbe rimasto ad ascoltarmi.
"Mi dispiace per ieri" cominciai a parlare.
"Ci sono stati così tanti malintesi. Non volevo feriti, davvero. Quel bacio è stata la cosa più sincera che io abbia mai dato. Sai, sono stato così contento che finalmente tu abbia deciso di baciarmi, ieri. Io..  io aspettavo quello. Attendevo di baciarti".
"E tu per tutto questo tempo hai atteso me? Hai atteso che fossi io ad agire?" domandò, con tono di disprezzo, storcendo la bocca.
"Sì". Abbassai lo sguardo, sentendomi umiliato.
"E perché? Eri tu, quello che avrebbe dovuto fare qualcosa, dannazione. Eri tu, che a settembre mi dissi che non eri pronto ad avere una relazione. Ed io come uno stupido a farmi notare da te per cercare di farti cambiare idea" fece spallucce, volgendo lateralmente lo sguardo, serio e disgustato.
"Cambiare idea su cosa? Io ho avuto sempre le idee chiare su di te. Non è con il passare dei mesi, che io ho mutato il mio pensiero su di te. È sempre stato lo stesso. Ho sempre saputo che tu fossi una persona adatta a me. E non ti era stato richiesto tutto quel lavoro che hai deciso tu stesso di fare per non so quale ragione" chiarii.
"Adesso non dare la colpa a me. Io non ti ho mai chiesto di venirmi dietro e di fare il carino in modo di, non so, magari accelerare questo processo per modificare il 'al momento non sono pronto per una relazione' " aggiunsi.
"Se non ero pronto era perché non ero pronto. Non riguardava una possibile altra persona. Quindi anche fossi stato innamorato di te sin da subito, avrei rifiutato di stare in una relazione. Non mi sentivo pronto e punto. Non era necessario che tu ti rendessi ancora più eccezionale di quanto tu giá fossi ai miei occhi".

Andrea rimase senza dire nulla per un paio di secondi. La lingua scorse rapidamente sulle labbra carnose, inumidendole. Poi, attendendo, seppe cosa dire, continuando il discorso.
"Peró ammettilo, ti piaceva che io ti venissi dietro. O sbaglio?". Guardai in basso.
"Andrea, non hai capito nulla. Non è che se io ti rivolgessi un sorriso quando mi passavi gli appunti di chimica era perché mi piaceva che tu mi facessi i favori. Era per gentilezza. Mi piace essere cortese con tutti. Non solo con te".
"E allora quando ero sempre io a chiamarti? Quello non era farsi desiderare?". Sorrisi, mordendomi un labbro. Le sue domande mi facevano impazzire.
"Andrea, io non chiamo mai nessuno. Nemmeno Tommaso, con cui ho ancora più legato. Pensa che non chiamavo nemmeno mai la mia ragazza. Era sempre Sonia a farlo. Ma non per cattiveria. È che non ho quasi mai il tempo di farlo. E oltretutto, sempre non per cattiveria, mi dimentico. Non perché per me voi non siate importanti. Ma perché alla fine, cosa serve cercarsi per chiamata quando è così bello parlarsi e raccontarsi tutto di persona quando ci si vede?". Lo vidi guardarsi attorno, le braccia incrociate, le mani strette in saldi pugni.

"Okay. Ti credo" sussurrò.
"Perché non dovresti?".
"Infatti. Ma voglio andare al punto". Mi fissò. La sua espressione, da distaccata innervosita quale era stata per parecchio tempo si affievolì, diventando più mite e rassicurante.
"Io e te siamo ancora amici?" domandò senza peli sulla lingua. Lo guardai negli occhi.
"Certo" risposi senza nemmeno pensar su per un secondo alla risposta da dare.
"Bene" si limitò a dire. Accennò un sorriso. Ricambiai.
Battè le mani sulle gambe, riproducendo sul suo volto un'espressione compiaciuta, segno della sua evidente tensione. Io, invece, ero così a mio agio...
"Meno male" dissi, senza forse sapere più che pesci pigliare. Di cos'altro avrei dovuto parlare? Quello che volevo lo avevo ottenuto. Andrea ed io avevamo fatto pace.
"Già" risposi.
"Allora a domani" troncò il discorso, lasciandomi una sensazione di amarezza in bocca.
"Ciao". Lo guardai allontanarsi, davanti a me. Il pullman stava giungendo alla fermata, percorrendo rapidamente l'asfalto sotto alle ruote.

Tra noi non ci fu il minimo contatto fisico. Nè un abbraccio, nè una stretta di mano. Fu strano. Sembrammo semplici conoscenti, più che quasi migliori amici. Mi incamminai anche io verso casa a passo più lento del suo, con le cuffiette nelle orecchie a riprodurre le mie canzoni preferite. Speravo che almeno la musica potesse trasmettere emozioni più serene.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora