Capitolo 67

158 32 10
                                    

Daniel

Dal piano inferiore sentimmo suonare al citofono. Sussultai, girandomi di scatto verso la porta.
"E se..." sussurrò Andrea, interrompendo la frase. Un sussulto s'impadronì della sua voce, che si ruppe.
"E se fossero i miei genitori?" ebbe il coraggio di completarla dopo un attimo d'incertezza. Mi voltai a guardarlo.
"No. Non può essere" dissi, passandomi una mano fra i capelli.
"Vieni, andiamo di sotto a vedere chi è. Di sicuro è la vicina di casa che ha fatto cadere qualche panno sul nostro balcone nel tentativo di stenderli" dissi, cercando di rassicurarlo e di rassicurare a me stesso che nulla sarebbe andato storto. In quel momento la mia mente, già tormentata, stava dando vita a troppe paranoie, diventate ingestibili.

Scendemmo le scale, arrivando a trovarci faccia a faccia con la porta d'ingresso del piano terra. Mia madre, davanti a noi, era in procinto di aprire la porta.

Arrestai i miei passi, fermandomi di colpo. Estesi un braccio lateralmente a bloccare Andrea che si trovava a pochi centimetri da me, alle mie spalle.
Intese che dovesse rimanere lì senza muovere alcun passo.
Posai un dito sulle mie labbra, ad indicare di fare silenzio.

Spalancai la bocca, lasciando che un'intensa tachicardia si appropriasse del mio muscolo pettorale.
Deglutii osservando il portone, ormai adiagiatosi alla candida parete dell'ingresso, lasciare il posto ad una losca figura maschile.

"Dove cazzo è mio figlio?" sbraitò la voce roboante proveniente dalle sue labbra. Un uomo sulla cinquantina inoltrata, capelli brizzolati e tutt'altro che folti sul capo rugoso, urlò con sgarbo a mia madre.
Rimasi impassibile ad osservare la scena; il terrore si era impossessato di me, impedendomi di compiere qualsiasi azione in sua difesa.

"Si calmi, chi è lei?" cercó di fare chiarezza mia madre, che aveva assistito all'ingresso di quell'uomo in maniera scortese e precipitosa all'interno del nostro condominio varcandone la soglia.
"Il padre di Andrea. Lei sa chi è, il ragazzo".

Indietreggiando di qualche passo e cercando di mantenermi invisibile agli occhi dell'uomo, mi voltai di scatto per guardare Andrea, che si era fatto piccolo. Le sue labbra a cuore erano socchiuse, gli occhi puntavano sulla sua figura genitoriale.
Lo richiamai a me con lo sguardo, ma lui non rispose.
Continuó ad osservare con preoccupazione il padre, che nel frattempo aveva aperto nuovamente bocca per strepitare.
"Mi dica dov'è" obbligò mia madre a non rimanere in silenzio.
"Si calmi" ripetè lei, portando davanti a sè le mani, affusolate.

Lo sguardo dell'uomo, fino a poco prima concentrato ad analizzare la figura di mia madre, ricadde su di me. Le sue pupille, piccole, scurivano il centro di un paio di iridi celesti, dalla tonalitá slavata ed irrorata da qualche capillare rubro. Le labbra, sottili e chiare, si perdevano nel volto dai lineamenti grossolani e piuttosto rugosi. Il colorito del viso, d'un rosso acceso, pareva non essere limitato soltanto ad una momentanea reazione fisiologica allo sforzo immane a cui era stato sottoposto a causa delle suo continuo berciare. Le sopracciglia, ormai sbiadite, sovrastavano gli occhi, minuti.

Rabbrividii, rimanendo in silenzio e facendomi coraggio per non distogliere in alcun modo lo sguardo e non apparire vile, per quanto lo desiderassi.
"Tu... tu sai qualcosa" disse puntandomi contro un dito.
Spalancai gli occhi, domandandomi se avesse notato la presenza della persona da lui tanto ricercata giusto alle mie spalle. Deglutii, voltandomi per un istante. Andrea non si trovava più dietro di me. Dove si era cacciato?

"Lasci stare mio figlio!" corse in mia difesa mia madre, parandosi di fronte a me ed interrompendo lo sguardo gravante sulla mia persona.
"Lui non c'entra proprio nulla" proseguì.
"Signora, lasci perdere. Lei non sa in cosa suo figlio ha coinvolto il mio".
"Come, scusi?" domandó offesa mia madre, alzando il tono della voce.
"Suo figlio ha fatto il lavaggio del cervello a mio figlio Andrea! Ora é convinto di trovare l'amore in un ragazzo. Pazzesco, si rende conto?" sbraitó l'uomo, alzando un dito, in posiziome verticale, nell'aere. La fronte s'aggrottò, le labbra vennero strette a tal punto da diventare invisibili, sovrastate da una peluria rada e cinerea in corrispondenza del prolabio.

"Ma che cosa sta dicendo? Suo figlio non è come pensa".
"Ah no? Cosa ne sa lei? Cosa ne sapete voi?" domandò, volgendo lo sguardo su di me.
"Cosa vuole da noi?" chiese mia madre, cambiando discorso.
"Mio figlio".
"Come?".
"Sappiamo entrambi, anzi, tutti e tre, che lui si trovi qua".
"E in base a cosa ci accusa di ciò?". L'uomo attaccó a ridere in un momento in cui ci sarebbe stato solamente da disperare.
"Conosco mio figlio. Andrea gioca a fare il duro, a mostrare sicuro di sè, ad essere perennemente ribelle. Ma non ha dove andare. Dove potrá mai rifugiarsi se non a casa del suo compagniuccio con cui gioca a sperimentare la sua corretta sessualitá insoddisfatta?". Nel sentire quelle parole, sentii il sangue gelare nelle vene. Non avevo mai sentito pronunciare parole più crude di quelle. Specie da un padre nei confronti del proprio figlio.

"Come si permette! Dovrebbe avere piú rispetto per Andrea. Sa cosa sta dicendo? È suo figlio. Lei è quello pazzo" rispose mia madre, indignata. Nonostante i suoi buoni propositi per far ragionare il suo interlocutore in modo efficace, senza risultare sgarbata, era evidente che stesse perdendo colpi. Non sapeva più cos'altro inventare per contestare ad un uomo così ostile, dalla mentalitá così chiusa. D'altronde, con l'ignoranza oramai radicata in una mente non si puó pensare di combattere.

"Stia zitta, per favore. Andrea non é mio figlio se è recchione. Mio figlio non deve essere recchione!" urlò, strigendo le mani in grossi pugni, attraversati da scure e spesse vene.

La porta del corridoio, alle mie spalle, cigolò per un istante. Mi voltai di scatto, attratto spontaneamente dal suono acuto.
Andrea, con la mano appoggiata sul lato di essa, fece comparire il suo bel viso per metá, mentre l'altra parte rimase nascosta dietro al legno.
Socchiusi le labbra, incrociando il suo sguardo.

"Ah, eccoti!" sbraitò la voce di suo padre.
"Ero pronto a scommettere che tu ti trovassi qua" proseguì, in tono di scherno.
"Vedi che ti conosco bene? Sei troppo prevedibile" disse, incrociando le braccia.
"Andiamo. Non ti permettere mai più di mettere piede in questa casa" rimproverò il mio ragazzo.
"Chiaro?" domandò in modo esplicito per avere una risposta concreta da parte del diretto interessato alla questione.
Andrea, avvicinatosi con pacatezza a suo padre, guardava a terra, le braccia incrociate giacevano dietro al busto.
"Guardami" ordinò il padre. Andrea alzò lo sguardo.
"Chiaro?" ripetè insistentemente la domanda.
"Sí". Non ebbe alternative di risposta. Io e mia madre assistemmo in silenzio e sconvolti allo svolgimento della vicenda.

"E sia chiaro anche a lei" si rivolse poi a mia madre.
"Non voglio che suo figlio si avvicini più al mio. Abbiamo giá avuto abbastanza problemi in passato con queste questioni. Non ho intenzione di tirare fuori dai casini mio figlio per la seconda volta. Ne ho a sufficienza di queste ragazzate" sbottò, alzando nell'aere un braccio, alla cui estremità vi giaceva una grossa mano dalle dita tozze e arrossate, come lo era il resto del corpo, tarchiato e tutt'altro che in proporzione.

Mia madre incrociò le braccia, stringendosi fra le spalle e cercando di placare lo stupore causato da tutto ciò che era accaduto nell'arco di meno di dieci minuti.
Andrea, ormai accanto al padre, mi guardó per un istante. Poi abbassò lo sguardo, tradendomi.

Avrei tanto voluto confessargli il mio dispiacere e rassicurarlo che nulla fosse finito fra noi, nonostante le sue promesse al padre di non mettere più piede a casa mia, quelle di mia madre di tenersi a debita distanza da Andrea e dalla mia, di non avvicinarmi più al mio ragazzo.
Erano promesse frivole, che in poco tempo sarebbero state spezzate dall'amore che avrebbe avuto la meglio sull'odio e sul disprezzo causato dall'ignoranza, origine di ogni male.
Io e Andrea avremmo superato quel momento. Avevamo atteso di amarci per mesi, tradendo reciprocamente i nostri sentimenti l'uno per l'altro ogni qualvolta ci trovassimo in una situazione in cui i nostri punti deboli erano esposti e avrebbero rischiato di farci apparire vili.
Avremmo atteso ancora, ora che quei punti, i nostri sentimenti, erano diventati soltanto più forti, stabili, certi.
Io e Andrea ci amavamo. Ed il desiderio di lottare ancora una volta, uniti contro chi non ci volesse assieme, prima noi stessi, poi gli altri, era più intenso di qualsiasi altro volere.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora