Capitolo 21

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                         Daniel

Sei e venti. La sveglia iniziò a bombardare insistente e ripetitiva le mie orecchie.
Mi sporsi mal volentieri dal letto emettendo un verso di disappunto per spegnerla. Tastai a vuoto la superficie del comodinp, in basso a destra, fino a cliccare efficacemente il bottone per lo spegnimento. A volte maledicevo il mio telefono che raramente sopravviveva alla notte, spegnendosi in chissá quale ora mattutina.

I primi istanti dall'inizio della diffusione del suono furono terrificanti. Un senso di indomabile svogliatezza mi assalì, impedendomi di alzarmi e facendomi sprofondare il viso sul cuscino, la cui federa era stata lavata giusto il pomeriggio precedente, rendendo quell'istante di pacifismo ancora più duraturo e allontanando la poca volontá che avrei avuto, forse, di staccarmi da esso.
Poco dopo, però, realizzai cosa mi avrebbe aspettato.
Avrei vissuto una grandiosa giornata con i miei amici. E bastó quello a darmi lo sprint di non rimanere lì, nella bambagia.
Tirai lateralmente le lenzuola con un movimento brusco, saltai giù dal letto a castello, incurante di aver pestato le pantofole non so perchè, contenenti gli ossi rumorosi di Miele che avevano emesso un suono acuto. Mia sorella dormiva. Non me ne ero reso conto. Per fortuna non si accorse di nulla. Mi stiracchiai sbadigliando, dandole le spalle.

Iniziai a prepararmi, con calma. L'appuntamento era per le otto, ed io avevo già preparato la valigia il giorno prima. Non mi rimaneva che inserirvi le ultime cose, come spazzolino, dentifricio e pettine. Per il resto, potei dedicarmi con calma alla sistemazione della stanza, che avevo lasciato in disordine la sera prima.
Decisi però che non l'avrei fatto. Avrei svegliato tutti. Poco male. Avevo una scusa per fuggire di casa senza dovermi preoccupare di mettere a posto.

Ricevetti una chiamata da Tommaso mentre cercavo ansiosamente il tappo del dentifricio che, cadendo, era finito chissá dove. Sentii squillare il telefono rumorosante. La vibrazione s'intensificó a contatto con la superficie della mensola su cui l'avevo poggiato. Feci un movimento brusco per alzarmi dalla posizione accucciata nella quale mi ero messo alla ricerca del minuscolo oggetto e sbattei la testa contro il marmo. Mi accasciai a terra, esausto.
Il telefono smise di suonare. Beato silenzio. Steso a terra, chiusi gli occhi. Avevo preso una bella botta.
Decisi di rialzarmi, capendo che in quea posizione non avrei risolto granché.
Mi avvicinai alla mensola e presi saldamente il cellulare, digitando il numero del mio amico. Ma lui fu piú veloce di me e mi precedette.
"Pronto!" esordii, quasi urlando.
"Daniel...Daniel, non trovo il costume da bagno!" disse, spudoratamente, senza nemmeno salutare.
"Ciao, eh..." glielo feci notare.
"Dai, non è il momento di scherzare" mi rimprovero.
"Scherzare? Ti ho rivolto un saluto!" precisai.
"E comunque cosa ci posso fare, io?".
"Ne hai due, tu?".
"Anche tre, se per questo" risposi.
"Ti prego, me ne presti uno?".
"Cosa?! No!" esclamai.
"Perché?" domandò.
"Che schifo!" esclamai.
"Ma guarda che poi lo porto a casa e lo lavo".
"Non ci penso nemmeno".
"Dai, Daniel. Cerca di capire. Non potrò fare il bagno, sennó".
"Mi dispiace. Ma non mi va che tu usi la mia roba. Soprattutto se si tratta di mutande".
"Ma guarda che non devi mica indossarle dopo, eh! Ovviamente mia madre le rilava, prima di dartele" cercó di convincermi.
"Ah, cosa mi tocca fare!" sussurrai, mettendomi una mano sulla fronte.
Mi faceva proprio schifo l'idea. Anche se fosse stato possibile farle bollire e poi immergerle in un disinfettante.
"Come ti è venuto in mente di chiedermi una cosa così?".
"Non lo so. Siamo amici. E gli amici si aiutano".
"Sì, ma fino ad un certo punto..." dissi.
"Ti adoro. Grazie, Dane".
"Prego, prego".
"A dopo".
"Ciao". Chiuse la chiamata, rapidamente.
Rimasi stupito anche dopo, mentre mi dirigevo in camera mia per estrarre dall'armadio un altro costume per il mio amico, dalla richiesta che mi aveva appena fatto. Decisi di non rifletterci troppo. Erano solo le sette meno dieci. Era presto, e non avevo testa per pensare. Andai in camera mia e, munito di una mini torcia, cercai nella cassettiera un costume da bagno per Tommaso.
Giurai a me stesso che il favore che mi stava chiedendo non l'avrei fatto a gratis.
Ormai avevo detto di sì. Ma ciò non significava che gli avrei dato un costume normale.
Estraetti un costume che ormai non mi andava più bene. Era verde scuro a pois gialli, piuttosto ridicolo. Io, il costume, glielo avrei prestato. Ma lui si sarebbe dovuto accontentare di andare in giro con quello straccio. Poi avrei voluto vedere se avrebbe ancora avuto il coraggio di chiedermi cose così personali in prestito.

Il punto d'incontro era davanti alla palestra dove Tommaso ed io facevamo il corso di danza. Era un punto comodo per tutti. Più o meno. Ciò che rendeva la cosa semplice era che tutti sapevamo a memoria la strada.
L'orario d'incontro fu per le otto.
Cercai di sbrigarmi per non fare tardi, anche se sapevo giá che sarei arrivato per primo.
Mi elettrizzava il dover tornare a prendere il pullman di nuovo, come ero solito fare per tutto l'anno da settembre a giugno.
Era ovviamente pieno. Anche in una domenica qualsiasi. L'aria fresca era frizzante e faceva rizzare i pochi peli biondi che avevo sulle braccia e suoi polpacci, scoperti da un paio di bermuda neri.
Il cielo, di un celeste pallido, limpido, senza alcuna nuvola, immenso. Mi persi per qualche secondo a guardarlo.
Uno dei miei più grandi sogni, un giorno, era di poter sdraiarmi su un prato, di sera, ed osservare il cielo nella sua completezza, da un orizzonte all'altro, senza interruzioni da parte di alberi o palazzi, cosa molto comune in città che rendeva difficoltosa la vista di qualsiasi bel cielo.
Quanto mi sarebbe piaciuto.
E chissà quanto lontano sarei doluto andare per ottenere quello che volevo.

Scesi dal pullman elettrizzato. Erano le otto meno dieci. Ci avevo messo pochissimo ad arrivare, nemmeno venti minuti. L'autista aveva deciso di attraversare le strade nonostante i quattro semafori rossi che si erano presentati come validi ostacoli ad un percorso scorrevole e senza interruzioni.
Mancava davvero poco alla partenza.
Da lontano vidi due ragazzi, appoggiati ad un'auto vecchia e nera, una station vagon, uno in piedi di fronte all'auto, l'altro seduto sul cofano anteriore, con una gamba stesa e l'altra piegata sulla ruota sinistra e le mani in tasca.
Non poteva che trattarsi di Andrea. L'altro doveva essere di sicuro suo cugino.
E Tommaso? Era in ritardo.
No...Me lo ritrovai dietro le spalle, intento a farmi uno scherzo.
"Hey!" esclamai, porgendogli una mano che strinse.
"Ciao, Dane". Sorrise.
"Cosa volevi farmi?" domandai, sorridendo.
"Nulla...nulla".
"Andiamo? Andrea ed il cugino sono laggiù" glieli indicai.
"Certo".
"Tutto pronto?".
"Sì" mi mostrò il suo borsone.
"Bene".
"Mi hai portato il costume, vero?" mi chiese, in tono supplichevole e pieno di speranza.
"Ma dai, ma che domande fai? Non ti fidi me?".
"No, no. Era per sapere".
"Ok".
"Allora?".
"No".
"Come?!" disse, sconvolto.
"Vedi?! Ho fatto bene a domandartelo
E adesso!? Adesso cosa farò?". Scoppiai a ridere.
"Scherzavo. Calmati". Tirò un sospiro di sollievo.
"Sennò come fanno le ragazze a notarmi, se sto vestito?".
"Tranquillo, ti noteranno di sicuro" dissi, sghignazzando, pensando ai colori sgargianti del costume che avevo riservato alla sua persona.
"Eh? Che intendi dire?" domandò, dubbioso.
"Nulla. Che sei così figo che...ti pare non ti notino?!" dissi, sorprendomi della mia prontezza nel dare risposte credibili in ogni occasione.
Sorrise, contento del complimento che gli avevo appena fatto.

Raggiungemmo Andrea, che appena ci vide, ci salutò calorosamente.
"Pronti?" ci domandò. Io e Tommaso ci guardammo, sorridendo.
"Sì" annunciammo in coro.
"Bene". Aprì le portiere posteriori.
"Prego". Ci accomodammo non prima di aver posato nel bagagliaio le valigie. Andrea fece lo stesso, entrando per ultimo in macchina accanto al fratello che si era già messo in posizione di guida.

"Si parte!" annunciò Andrea, elettrizzato forse più di tutti. Non rimeneva che godersi il viaggio ed aspettare con ansia di arrivare a destinazione.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora