Capitolo 61

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Certe cose non era proprio possibile spiegarle a parole. L'amicizia prima fra tutte.

Daniel

La chiacchierata con mia madre duró quasi un'ora e mezza. Fu bellissimo parlare con lei di queste cose che potevano sembrare così ovvie, così scontate, ma che alla fine non si raccontavano mai per bene, fino alla fine. Tutto ciò pensavo di saperlo bene. Ma in realtà c'erano ancora così tante cose da scoprire...
Come la presenza di quella ragazza nella sua vita. Mi sorprese.
Scoprii che il suo nome era Anabelle. Aveva origini Canadesi, del Quebec. E i suoi genitori avevano deciso di darle un nome tipicamente francese.
Chissà che tipo di amicizia fosse la loro. Per quanto mia madre avesse cercato di raccontarmi il più possibile, certe cose non era proprio possibile spiegarle a parole. L'amicizia prima fra tutte.
E riflettendo su ciò, pensavo ad Andrea. Chissà se anche lui avesse avuto, almeno una volta, la fortuna di sentire la storia della vita dei suoi genitori. Cosa facessero da piccoli. Dove vivessero. Dove studiassero. Cosa facessero durante le vacanze. Come si fossero conosciuti. Come e quando lo avessero avuto. Riflettendo bene, ricordai che Andrea mi avesse detto che i suoi genitori, prima di scoprire del suo orientamento sessuale, si fossero comportati in modo sempre normale, nei suoi confronti, trattandolo egregiamente ed essendo orgogliosi di lui come nessun altro genitore potesse fare. Avevano proprio un bel rapporto, diceva.
Chissà se, durante quel periodo, durato fino ad un paio di anni prima, lui avesse avuto la fortuna di sentir narrare quegli splendidi racconti che rievocassero il passato di due delle persone più importanti della propria vita( almeno per quanto mi riguardasse): i genitori.
Ma mi limitai a domandarmelo fra me e me, senza mai chiederlo esplicitamente a lui. Essendo a conoscenza di come si fossero inaspriti i rapporti negli ultimi anni fra di loro, sembrava quasi farlo apposta, toccare il tasto dolente.

Con mia madre avevo sempre avuto il rapporto che conservavo nel corso degli anni. Lo stesso fatto di complicità, fiducia e rispetto reciproco. Adoravo questa cosa. Era difficile che ciò accadesse, alla mia età, momento della vita in cui i migliori consiglieri di noi stessi potevamo essere soltanto noi, abbandonati a noi stessi, senza più avere l'interesse di porre fiducia nei genitori che paiono pensarla 'all'antica'; nemmeno più negli amici, che paiono costringere la propria voglia di riflettere e di non essere lasciati andare a se stessi, a spingere sull'acceleratore e a compiere azioni sulle quali avremmo avuto ancora molto su cui pensare e prendere tempo.

Sapevo benissimo quale fosse il rapporto fra un ragazzo della mia età e la propria madre perché conoscevo persone che, non come Andrea che aveva iniziato a soffrire solo in un ultimo periodo, ma altre come Sonia che, da quando erano nate, spportavano la durezza e l'ignoranza dei propri genitori che non riuscivano ad intendere che la loro figlia avesse delle passioni, una propria privacy e la propria riservatezza.
Quanto mi dispiacque per lei sapere che non avesse un bel legame con i suoi, venire a conoscenza di tutto il suo mondo senza che lei lo avesse mai condiviso con nessun altro, nemmeno con la madre.
Non se lo meritava proprio. Era vero, allora, che la fortuna non bussasse alla porta di tutti, non era un privilegio esteso ad ogni persona di questo mondo, ma soltanto fatalitá. Alcuni, senza volerlo, si ritrovavano a possedere tutto. Altri, invece, per quanto lo potessero meritare, vivevano una vita più difficile.
E Sonia, nonostante lo nascondesse al massimo e s'impegnasse a non farlo pesare a nessuno, nemmeno ai suoi genitori mi raccontava, di sua spontanea volontà, qualche episodio della sua vita. Ed ogni volta rimanevo allibito. Come poteva non ascoltare la musica o leggere un libro per paura che i suoi genitori le dicessero qualcosa? Come poteva non dedicarsi ad alcuno sport perché i genitori dicevano di non avere abbastanza tempo per lei? Quale genitore è tale se non ha tempo per dedicarsi ai propri figli? Credevo proprio che a volte scherzasse.
Inizialmente lei si arrabbiava quando le dicevo che non le credessi, sorvolando sui discorsi surreali che faceva frequentemente. Ma invece non era così, non scherzava.
Ed io, che vivevo una situazione praticamente opposta alla sua, con mille agi e persone a volermi bene, all'inizio non la comprendevo. Poi capii che non era lei, ad essere sfortunata. Ero io, che nella vita avevo avuto davvero tutto ciò che si potesse desiderare. Quanto avrei voluto dividere a metá i miei beni per fargliene avere un po'. Non per farle l'elemosina. Ma perchè volevo renderla felice con la solaritá dei miei genitori, nettamente contrastante con l'eccessiva serietà dei suoi, l'amore di una sorella minore, del quale non avrei mai potuto fare a meno non essendo nato figlio unico come lei.

Solo dopo aver riflettuto capii il motivo del suo forte desiderio di avere un fratello o una sorella. Almeno avrebbe potuto vivere dedicandosi a qualcosa. O meglio, a qualcuno. Senza badare troppo ai suoi, avrebbe avuto una distrazione che le permetesse di non vivere da sola quella situazione disastrata.
Suo padre, poi, avevo compreso quale uomo contorto fosse. Per quanto sua madre fosse fra le nuvole e le vietasse praticamente anche di respirare, suo padre era di una tale tristezza... mai un sorriso, mai un momento di felicitá. Nemmeno nel presentarsi un momento gaio.
Neppure nei confronti della figlia, che per lui sarebbe dovuto essere un vero e proprio orgoglio, per quanto fosse buona e speciale.

Con mio padre, io, avevo sempre avuto un buon rapporto. Non come con mia madre, ma mai nulla di lontanamente comparabile con la crudezza di quello di Sonia.
Mio padre era un tipo serio. Ma non col valore di persona poco sorridente. No, era solare ed un pezzo di pane. Però voleva mostrarsi per l'uomo che era, responsabile e con la testa sulle spalle, uno che non perdesse tempo dietro a smancerie e complimenti. Nonostante ciò, sono certo di ricordare che non si sia mai vietato di farmi una carezza o di darmi un bacio quando fossi stato più piccolo.
Ovviamente, diventando più grande, crescendo, diventava difficile che lui mi mostrasse con gesti fisici il suo affetto. Ma me lo dimostrava in altro modo, essendo sempre presente e disponibile nei miei confronti.

Con mio padre avevo un rapporto di rispetto. Con con mia madre ero abituato a ridere e scherzare, a confidarmi, a chiedere consigli e a scambiare opinioni. Mio padre invece, mi avrebbe voluto vedere più composto, sempre pronto ad accrescere il mio livello di maturità periodicamente. Non lo diceva perché il suo obiettivo fosse quello di mostrarsi come uomo ostile. Piuttosto oserei dire che lo facesse per il mio bene e per abituarmi alla frenetica, incurante, vita adulta.

Oltretutto si dice che i maschi vadano più d'accordo con le madri. Non potevo dire con certezza che fosse così. Però nel mio caso si trattava di una cosa veritiera. A mia madre raccontavo ogni cosa, liberamente, senza alcun timore. A mio padre no, non era esattamente lo stesso. Certo, parlavo della mia quotidianitá. Ma se si fosse trattato di condividere narrazioni riguardanti le mie amicizie, la mia ragazza o ragazzo, ci avrei riflettuto un po'.
Trovare le parole con mia madre, non ce n'era mai stato bisogno. Con lui, invece, avrei dovuto pensare prima di parlare.
Forse per via della condizione che fossimo due maschi. Forse tra un maschio ed una femmina, per quanto a pensarlo fosse difficile, poteva risultare più facile.
E un'altra dimostrazione era mia sorella, che invece preferiva nostro padre.
Forse perché ai suoi occhi, la mamma risultava pettegola e impicciona, come per tutte le ragazze, in fondo. E mia madre, quando sentiva che avevamo nuove amicizie o cotte, non ci pensava due volte a punzecchiarci con domande private escogitate appositamente per farci sputare il rospo e renderla partecipe di ogni cosa ci accadesse.
Mia sorella se la prendeva, non capendo che nostra madre avesse le migliori intenzioni nei nostri confronti. In fondo, era stata anche lei giovane, non molto tempo prima.
Mentre per lei, papà, era come un eroe. Un super eroe. Era evidente anche come lui, in sua presenza, mostrasse la dolcezza che con me aveva esposto solo quando ero piccolo. Ma non aveva importanza.
Era bellissimo vedere come Vanesa, bussando alla porta dello studio in cui mio padre studiasse, si facesse aprire da lui il quale non posticipava mai il momento in cui riempirla di baci. Lo vedevo sempre col sorriso sulle labbra, quando c'era Vanesa. E ciò era fantastico.
Perché non era gelosia, la mia. Era ammirazione. Ammirazione per il bellissimo rapporto che avevamo noi come famiglia.
Io e Vanesa come fratelli, prima di tutti.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora