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Daniel

Sonia. Fu il mio unico pensiero per un sacco di tempo dalla sua scomparsa.

La sua morte aveva provocato in me una voglia di smettere di fare qualsiasi cosa, di dedicarmi a qualsiasi attività, quasi fossi un vegetale. Le uniche cose in cui dimostravo interesse a fare erano diventate solo tre: piangere, pensare e stare da solo.

Non volevo vedere nessuno. Non volevo sentire nessuno. Volevo rimanere nel silenzio della mia camera, senza alcun rumore. Avrei ammesso solo il battito del mio cuore che, scosso da ondate d'ansia, aveva aumentato inevitabilmente i suoi ritmi.
Il rumore delle ciglia contro la federa del cuscino.
Il singhiozzare continuo. Il respiro affannoso. Il deglutire saliva amara. Il battere dei denti per via del freddo che sentivo lungo il corpo per via della mia staticità prolungata. Il tirare su col naso. Perché soffiarlo ogni minuto diventava inutile, talmente erano le lacrime che producevo. L'orologio che ad ogni ticchettio della lancetta scandiva il passare incessante dei secondi. Il fruscio delle mani contro la federa del cuscino nel girarmi continuamente alla ricerca di una posizione pacifica.

Mia madre sapeva bene in che condizione mi trovassi. Fu lei stessa a preferire di non invadere la mia privacy. Sapeva che, se avessi voluto, sarei uscito da quella buia stanza in cui ormai avevo deciso di immergermi, e in cui l'aria era diventata satura. La cambiavo solo la sera, prima di conciliare il sonno. Sempre che di sonno si potesse parlare. Se chiudevo occhio per un paio d'ore potevo dirmi soddisfatto.

L'unico colore che vedevo era il nero. Attraverso le persiane entrava qualche spiraglio di luce che andava ad illuminare gli spigoli dei mobili, permettendomi di distinguere qualche forma.
Riuscivo a vedere le lancette fosforescenti del mio orologio a polso appoggiato il giorno prima sul comodino accanto al letto di mia sorella, in basso.

Vanesa dormiva in soggiorno. Per qualche giorno avrei preferito rimanere completamente da solo, senza vedere nessuno. Nemmeno lei. Volevo restare soltanto con me stesso. E con i miei pensieri, in modo che nessuno potesse interrompere le mie riflessioni.

Non sapevo in che condizioni si trovasse mia sorella. Il divano era sempre stato più un pezzo da esposizione che da conciliazione del sonno. Mia madre le aveva di sicuro raccomandato le cose più improbabili: di non sbavare per evitare che la pelle si potesse rovinare, di non tirare calci al bordo del divano, di non dormire avvinghiata ai braccioli, soffici e concilianti.

Ma, per quanto lei potesse essere devastata dagli ordini inverosimili di María Inés, oltre che dallo shock per la morte di Sonia, io difficilmente mi sarei potuto riprendere.
Per me si trattò dell'ultima cosa che avrei desiderato. Mai mi sarei aspettato potesse accadere. Mai avrei creduto che potesse succedere a lei, per di più in quel momento. Proprio in quelle settimane in cui ci eravamo riconciliati. In modo così inaspettato, e poco naturale.

Ogni lacrima che versavo mi faceva venire in mente ogni singolo momento che avevamo passato assieme. E nella mia mente si andavano a formare pensieri su quanti altri istanti avevo creduto di poter passare con lei. Quanti erano i progetti che avevo pensato per noi. E che erano andati in frantumi come un fragilissimo cristallo.

Ricordo di un giorno in cui, entrati in confidenza, si toccò banalmente l'argomento della morte. Eravamo piuttosto piccoli.
"A che età pensi di morire?" mi aveva chiesto un giorno, cogliendomi di sorpresa con la sua domanda inaspettata. Sonia era così. Quanto meno ce lo si aspettava, se ne usciva con questioni complesse quasi quanto le ragioni per cui le sovvenissero alla mente.

"Non ne ho idea. Non ci penso proprio. Sono ancora lontano dalla morte" avevo risposto, scioccamente. E avevo avuto la conferma della mia superficialità dalla sua risposta. Silenzio.

La morte non è mai lontana. La morte è soltanto inaspettata. Siamo noi a pensare che ci sia un'età giusta per morire.
No, sono solo stereotipi.
È vero, ci sono morti naturali e dovute alla vecchiaia, o a malattie. Ma ciò non vuol dire che tutti siamo destinati a terminare la nostra esistenza per queste cause.
Anzi.
Quante vite spente per altri motivi.
Impensabili.
Inutili.
Ingiusti.
E questo fu il caso di Sonia.

La nostra esistenza è scandita anche da fortune, sfortune, coincidenze.
Basti pensare che se quell'aereo non avesse avuto un guasto, l'incidente non sarebbe accaduto.
Ma anche ci fosse stato qualche guisguido, avrebbe potuto non provocare morti.
O se ci fossero stati, lei sarebbe potuta essere salva.
Se quell'aereo non fosse mai partito, nemmeno ci sarebbero stati feriti.
Se non fossimo così lontani non avrebbe nemmeno preso l'aereo e rischiato di subire incidenti.
Se solo il nostro rapporto non fosse stato così intenso, lei non avrebbe nemmeno mai pensato di venire a trovarmi così spesso.
Se i suoi genitori non avessero deciso di trasferirsi, lei sarebbe rimasta in Italia, con me.

Quante coincidenze sfortunate ci furono per far sì che andasse come andò.
Se solo una di queste cose fosse andata in modo diverso, probabilmente lei sarebbe ancora viva.
Ma anche fossero andate tutte per il verso giusto, potevo essere sicuro che nessun altro e nient'altro me l'avrebbe portata via? E che se tutto fosse andato per il verso sbagliato, come appunto accadde, dovesse finire per forza così?
A volte si comprende quanto delle coincidenze possano condizionare la nostra vita. Talvolta per sempre.

Bisogna imparare ad apprezzare le piccole casualità a nostro favore, riflettendo sul fatto che, se fossero andate solo diversamente, anche una piccola situazione sarebbe potuta venire mutata completamente e in maniera inaspettata.
La cosa più terribile è che per le cose per cui avevamo previsto una fine diversa, bisogna farsene una ragione.
Nulla si può contro il destino anche se, ostile, lo si vorrebbe modificare.

L'unica cosa che mi rimaneva da fare era sopportare il dolore che una morte può provocare. E non diventare schiavo delle sofferenze.
Bisognava che andassi oltre senza dimenticare il passato. Ma affrontare il dolore che questo poteva portare al futuro ed era quello che avrei dovuto fare anch'io. Ma come sopportare di proseguire senza di lei, che era letteralmente diventata mia vita?

Chissà quanto tempo avrei impiegato per dimenticare.
L'avrei potuto calcolare come inversamente proporzionale alla velocità con cui mi ero innamorato di lei la prima volta in cui l'avevo vista.
Se solo potessi cancellare tutto il dolore con la stessa rapiditá con cui lei, con la sua dolcezza e spontaneità, mi aveva rapito...

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora