@HaichiDKudo ♡
Daniel
Alle sette e quarantasette lo chiamai, dopo essere rimasto quasi mezz'ora a contemplarlo con i miei occhi.
"Andrea..." sussurrai.
"Andrea, svegliati. È tardi" pronunciai.
"Mh...". Aprì gli occhi. Vedere comparire le sue iridi verde scuro fu un'immensa gioia per me. Sentii il cuore prendere a battere rapidamente.
"Buongiorno".
"Cosa...che ci fai qua?". Si voltò verso il mio letto.
"Ho dormito accanto a te". Si giro verso di me.
"Di notte hai avuto freddo, così ho pensato di metterti una coperta" dissi, indicandogliela.
"E tu come...".
"Sono stato sotto la stessa coperta, prendendone un lembo". Lo sentii respirare profondamente. Richiuse gli occhi.
"Ande...dai".
"Arrivo". Non si alzava. Decisi di usare un metodo drastico. Appoggiai una mano, gelata, sulla sua guancia. Nemmeno a quello reagì, però.
Così sollevai un lembo della coperta e gli toccai bruscamente il ventre, caldo. A quel punto saltò in aria.
"Brr, che freddo! Sei pazzo?" disse, passandosi una mano dove prima l'avevo passata io.
"Mi hai fatto venire i brividi, Daniel!".
Risi.
"Ti prego. Non chiamarmi Daniel". Ci guardammo, io inginocchiato accanto a lui, lui con una mano sul ventre, scoperto come il resto del busto.
Ad un certo punto si avvicinò a me.
Misi le mani in avanti, istintivamente. Sorrise. Lo guardai serio. Poi lui scoppiò a ridere. Non capivo.
Si lanciò su di me, iniziando a farmi il solletico.
"No!" urlai.
"Mh...scopriamo dove lo soffri!" esclamò iniziando a tastarmi tutto il corpo con i suoi polpastrelli.
Scoppiai a ridere, contraendomi.
"Ti prego. Smettila!". Mi ritrovai sdraiato a terra, supino, con le gambe divaricate che ogni tanto si contraevano, quasi ad ogni scossa provocatami dal solletico.
"Oh, vedo che ai fianchi è il tuo punto fatale..." disse, soddisfatto di aver scoperto la parte debole di me.
"Andrea, Andrea...." ripetevo. Ma lui non sembrava voler in alcun modo cessare.
Ad un certo punto; quando lui fu troppo vicino a me, ribaltai la situazione. Lo afferrai per le braccia e lo buttai a terra, con le spalle contro il parquet. Lo immobilizzai. Poi lui mi spinse in avanti e caddi sulla sua persona.
I nostri visi non erano mai stati così vicini, fino a quel momento.
Osservai Andrea. Lui, sotto di me, bloccato dalla forte stretta delle mie mani attorno ai suoi bicipiti che piano piano andò affievolendosi, mi guardava con occhi vispi. Le labbra, socchiuse, rimanevano in silenzio. Sentivo il suo respiro che, nonostante fosse affaticato per via della posizione in cui avevo costretto il mio amico, non si faceva udire troppo.
Quell'istante, per me e credo anche per lui, fu lunghissimo.
Deglutii, senza muovermi. Non sapevo cosa fare. Non volevo togliermi. Ma nemmeno andare oltre. Ad un certo punto, gli sorrisi. Lui contraccambiò il sorriso.
"Allora andiamo?" domandai.
"Sì" rispose, tirandosi su con tutta la forza che aveva nelle braccia, piuttosto muscolose, scaraventandomi indietro, senza però farmi male.
"Però, hai messo su un bel po' di roba" dissi, complimentandomi. Mi sorrise, passandosi con delicatezza una mano sull'addome.
"Che ore sono?" domandai.
"Le otto e cinque".
"Oddio...ma è tardissimo!" dissi.
"Lo so" rispose banalmente Andrea, guardandomi. Mi voltai per osservarlo.
"Sai cosa si fa in questi casi?" disse, sorridendo maliziosamente.
"No".
"Una gara". Silenzio.
"Tre...".
"No...".
"Due..."
"No!" urlai.
"UNO!".
"ANDREA!". Corse verso l'armadio per prendersi i suoi vestiti, non prima di aver gettato i miei su uno scaffale in alto.
"Ma cosa fai?" domandai, allibito.
"Prendili!". Saltai per andarli a recuperare mentre lui era a buon punto con l'abbigliarsi.
Successivamente si sporse per prendermi lo zaino e rovesciarne il contenuto a terra.
"Andrea!" esclamai di nuovo.
Lo guardai scioccato.
"Vieni qua, brutto bastardo!" urlai, inseguendolo per tutta la casa, immensa.
"Qua dove?". Iniziò a scappare.
"Da me. Fermati!".
"Mai". Tornai in camera, alla ricerca di qualche dispetto da fargli.
Poi presi le sue scarpe e gliele nascosi. Andai a rifare lo zaino, mi abbottonai i pantaloni per i quali non avevo ancora avuto tempo da dedicare, misi il cappotto e feci per uscire.
Il telefono!
Tornai in camera di Andrea per prenderlo.
"Cavolo. Dove l'ho lasciato?" mi domandai mentalmente, non trovandolo sulla scrivania.
"Intendi questo?" mi chiese Andrea, tenendolo fra le mani.
Spalancai gli occhi e ridendo.
"Ti prego. Dammelo" lo supplicai, allungando le mani verso di lui.
"Che cosa?" fece finta di non capire. Ruotai la testa lateralmente, spalancando gli occhi.
"Il cellulare!" urlai.
"Mh..." prese tempo.
"Per favore. Non scherzare. Costa un sacco di soldi. I miei mi ammazzeranno se..." cercai di velocizzare il processo. Ero certo sarebbe andata per le lunghe.
Vidi Andrea continuare a giocherellarci.
Mi sporsi verso di lui.
"Andrea!" mi lamentai.
"No...". Lo retrasse, ridacchiando malizioso.
"Perché?".
"Dimmi dove hai messo le mie scarpe, prima" mi ordinò, serio. Alzai gli occhi al cielo, obbligato ad accettare la sua richiesta. O meglio, il sui ricatto.
"Uff, come vuoi. Sono in bagno vicino al cesso".
"Daniel...!" si lamentò.
Mi lanciò il telefono, che presi al volo.
"Sei matto? Se mi fosse caduto?!" gli urlai contro. Scappò via, verso il bagno.
Poi mi misi il giubbotto e mi precipitai fuori da casa sua, mettendomi lo zaino in spalla.
"Daniel! Daniel, aspettami!".
"No!" dissi, richiudendo la porta dietro di me, soddisfatto di essere riuscito a precederlo.
"Dove sono le mie scarpe?" lo sentii domandarmi.
"Qua non ci sono!" urlò. Risi, poi scesi le scale senza curarmi di ciò che stava dicendomi."Daniel! Se ti prento, vedi cosa succede!" sentii urlare la voce di Andrea, appena uscito da casa.
Io ero a una trentina di metri da lui, ma riuscii comunque a sentirlo sbraitare mostrandosi in tutta la sua ira.Correvo. Correvo più in fretta che potevo. Sapevo che non mi avrebbe raggiunto facilmente.
Il marciapiede scivolava rapido sotto i miei piedi, le mie All Stars percorrevano rapidamente i metri, trasformandoli in un percorso da lasciare alle spalle."DANIEL!" urlò con tutta la voce che aveva in petto.
Ogni tanto mi giravo per vedere a che punto fosse, senza smettere di corricchiare. Il freddo penetrava attraverso la giacca, la gola iniziava a bruciare, le labbra si erano ormai strappate al vento, cominciando a sanguinare.Andrea riuscii a recuperare terreno una volta che arrivai davanti al semaforo rosso del corso.
"Dannazione!" dissi a denti stretti, serrando i pugni.
Provai ad attraversare, ma una miriade di auto si susseguivano senza interruzione sull'asfalto, suonandomi per avvertirmi di rimanere a debita distanza.
Mi voltai praticamente ogni paio di secondi indietro per vedere quanto gli mancasse al mio raggiungimento.
Ancora poco e sarei stato preso."Eccoti!" esclamò, saltandomi addosso. Ero di spalle, non me ne accorsi nemmeno. Per poco non caddi in avanti, gettando il mio cellulare in prossimità di un tombino, perdipiù aperto.
Mi fece sporgere così tanto in avanti e un'auto dovette deviare il suo percorso per evitare di tirarci sotto. Eravamo sul ciglio della strada.
Un clacson si udì allontanarsi.
Rabbrividii."Sei scemo?!" urlai, cercando di scrollarmelo da dosso. Lui avvinghiò le braccia attorno al mio collo.
"Vai, cavallino!" disse, tirandomi un calcio sulla natica.
"ANDREA!" mi lamentai, scuotendomi a destra e a manca. Scoppiò a ridere. Non sapevo se essere visibilmente arrabbiato oppure scoppiare in una fragorosa risata. Alla fine non resistetti e scelsi la seconda.Il semaforo si fece verde.
Attraversai il corso sulle strisce pedonali con Andrea sulla schiena, mentre lui urlava selvaggiamente con un braccio attorno al mio collo e l'altro trionfante in aria, il pugno stretto e la bocca ululante.Una volta arrivati sul marciapiede lo posai grossolanamente a terra, facendolo atterrare malamente. Ridemmo. La gente, attorno a noi, ci guardava in malo modo, esterrefatta dai nostri atteggiamenti spavaldi e del tutto inappropriati.
"Ti posso chiedere dove hai trovato le scarpe e dopo quanto tempo?" domandai, incrociando le braccia.
"Be', era ovvio che le mettessi sotto il letto". Fece soallucce.
'Casa mia non la conosci abbastanza" disse poi, guardandomi negli occhi.
"Trovarle è stato semplice, se non banale. Ci avrò messo si e no trenta secondi a capirlo". Risi, stringendomi fra le spalle.
"Bene, allora adesso è tutto okay?" domandai, scompigliandogli i capelli.
"Sì sì" rispose, sottraendosi al mio gesto. Risi di nuovo.
"Tu sei folle..." dissi, sciogliendo le braccia per sollevarle in aria.
"Tu dici?" domandò mettendosi una mano sotto al mento
"Sì". Fece spallucce.
"Tu lo stesso".
"Perché dici così?" domandai, incamminandomi verso la fermata del pullman, seguito a ruota dai suoi passi. O almeno così pensavo.
"Cosa fai lì?" gli chiesi, voltandomi e vedendolo rimanere fermo al punto dove lo avevo lasciato. S'incamminò per raggiungermi.
I nostro sguardi s'incrociarono di nuovo, pieni di vita nelle pupille, di speranza nelle iridi verdi.
"Ora rispondimi alla domanda di prima" lo invitai.
"Quale domanda?" chiese, fingendo di non capire.
"Perché dici che anche io sono pazzo?". Sorrise, incrociando le braccia.
"Perché ci va follia a seguire un folle".
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La storia d'amore ha inizio
RomanceContinuano le vicende del protagonista Daniel. Tra i banchi di scuola, le amicizie rafforzate sono ciò che consentono alle sue giornate di essere sempre frizzanti, mentre le lezioni di danza non danno mai un attimo di tregua a una vita sufficienteme...