Capitolo 55

200 29 13
                                    

                          Andrea

L'attesa si faceva troppo lunga per poter aspettare il suo termine e fargliela avere vinta su ciò che avrei voluto fare nell'immediato.
Finii per torturarmi, pensando che ciò che desideravo sarebbe stato posticipato come l'arrivo, fino a poco prima imminente, di un treno che a tutta velocitá correva senza interruzione alcuna sulle rotaie.
Il rumore ripetitivo dei metalli a contatto reciproco diventava così monotono da non poter più essere considerato un suono di troppo nell'atmosfera non più definibile silenziosa dall'inizio del viaggio.

Il mezzo scorreva sfrecciando attraverso il paesaggio, irrompendo fra le piante che, mosse dalla corrente d'aria provocata dai vagoni, numerosi l'uno in fila all'altro, allungavano i rami in direzione di essi. Come fossero braccia che si sporgano per salutare una persona che velocemente s'allontana, le foglie cadute a terra, come le dita di una mano che si piegano infrante dal dolore dell'addio a cui si è dato vita con un gesto del polso.
E ad un certo punto, le nuvole grigie paiono poter galoppare assieme a quel treno, sovrastandolo alte nel firmamento, in quel momento coperto da quei batuffoli dalle scolorite tonalità cineree.
Poi, un imprevisto.
I freni stridono sulle rotaie, qualche scintilla del colore del sole viene sputata ai lati di esse, un rumore acre e persistente perfora l'aere.
Il treno arresta la sua corsa, senza motivo alcuno.
Ed il panico irrompe nelle cabine. Le persone si domandano, ignare del pericolo, cosa stia accadendo.
Una voce d'uomo si leva nel silenzio calato dopo l'arresto del mezzo.
"Tutti fuori! Presto, uscite!".
E nel caos totale, si fugge senza sapere dove andare, abbandonando ciò che avrebbe dovuto portare verso una nuova, agognata destinazione.

Daniel, per me, era come quel treno. Con inarrestabile rapiditá era riuscito a trasportarmi verso una destinazione novizia, un luogo che io stesso avevo deciso di voler visitare almeno una volta nella mia vita.
Ma non sapevo che, in agguato, qualcosa di ostile sarebbe stato pronto ad ostacolare il mio arrivo in maniera brusca, raccapricciante, tormentosa.
E quel qualcosa, era la paura di amare. La paura di sbagliare ad amare.

Quanto era brutto attendere quando si doveva portare a termine qualcosa dall'importanza fondamentale. Avevo vissuto molte volte un'esperienza del genere. Avevo passato la mia intera vita ad aspettare.
Aspettare di crescere quando, da piccolo, vedevo sfrecciare qualche ragazzo su un motorino ed io, ginocchia sbucciate e lacrime a rigarmi il viso, pedalavo sul mio cigolante triciclo dal manubrio arrugginito.

Aspettare che la serenitá bussasse nuovamente alla porta di casa quando i miei genitori, sul punto di divorziare, avevano reso l'atmosfera domiciliare difficile irrespirabile.

Aspettare alla fermata dell'autobus l'arrivo dell pullman sotto un'incessante pioggia, l'acqua a penetrare nelle scarpe di tela, mie compagne di lunghe passeggiate da una vita.

Aspettare di poter entrare a casa quando mia madre lavava i pavimenti dopo che, appena trasferitici nella nuova casa, eravamo stati invasi dagli scoiattoli.

Aspettare di poter tornare ad avere il sorriso sulle labbra dopo la morte di entrambi i miei nonni in una sola settimana.

Aspettare di poter parlare del mio dolore ai reni e farmi credere da mia madre, seduta sul letto a parlare d'infanzia con una collega, tazza di tè in una mano, biscotti al cioccolato nell'altra, dopo che l'attesa mi avrebbe potuto portare alla perdita di uno di essi.

Aspettare di poter cambiare scuola dopo che ero stato insultato dai miei compagni per mesi per via della mia condizione sessuale.

Aspettare di innamorarmi di una ragazza vedendo che ciò non accadesse. E capire, cercando d'impormi il contrario per via dei miei genitori, che questo succedesse nei confronti di coloro che, dalla nascita, condividono il mio stesso sesso.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora