Capitolo 54

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Avrei vissuto, ma senza più vivere.

Daniel

Sofferenza. Era tutto ciò che poteva unificare l'immensa massa di emozioni negative che in quel momento scuotevano il mio animo. Apatia, a tratti paranoia, la svogliatezza si univa ad un senso di smarrimento, come se gli obiettivi della mia vita, fino a quel momento accumulatisi nel corso del tempo per via della mia voglia irrefrenabile d'intraprendere e sperimentare fino a diventare incontabili, fossero svaniti.

Ed io mi ritrovavo senza più nulla in cui cimentarmi, senza la voglia di iniziare a vivere qualcosa di nuovo.

Avevo avuto, in progetto, di passare un pomeriggio a pattinare, cosa che ormai non facevo più da quando la frequentazione delle medie si sostituirono alle elementari, nell'intero quinquennio prive di qualsiasi forma di studio.
Oppure trascorrere una serata in discoteca. Odiavo quel tipo di ambiente, invaso da colori, odori, suoni a me tutt'altro che familiari.
L'odore acre di alcool avrebbero invaso le mie narici, impedendomi di respirare.
Le luci, pulsanti ritrmicamente avrebbero stordito un amante della quiete visiva.
L'essere circondato da persone danzanti che al ritmo di musiche aggressive scuotevano i loro corpi con selvaggitá mi faceva sentire come se ció potesse arrivare a coinvolgere il sottoscritto, trasformandomi in uno zombie delle serate a tematica trasgressiva.

Magari avrei sperimentato una serata sul tetto di casa. Proprio come quelle che i miei coetanei, nelle serie televisive per ragazzi, si ritrovavano a vivere all'oscuro degli sguardi dei loro genitori.

La serata si prospettava serena, con un cielo limpido, di un blu talmente scuro da poter essere confuso con una tonalitá corvina, le stelle in netto contrasto con esso, la Luna tonda e di un giallo pallido, macchiata in superficie da chiazze più scure, si illuminava nell'immensità del firmamento nitido.

Qualsiasi buon proposito andó scemando non appena quel pensiero si ripresentava invadendo la mia mente con prepotenza, sovrastando i miei buoni propositi, fortemente desiderati e sognati ad occhi aperti.

Ed il sorriso svaniva dalle labbra che si socchiudevano, nascondendo la curva del viso come a punire l'espressione facciale di aver mostrato una felicità frivola, inutile.
Perché con quel pensiero, la felicità non poteva essere presente. Si sarebbe trattato di un contrasto così netto da farlo stonare con qualsiasi attimo gaio facesse capolino nella mente.
Erano quegli istanti che essa si dedicava per distogliere la concentrazione dedicata ad un pensiero complesso, elaborato, per riposare e fantasticare, almeno per un istante, su qualcosa di più gratificante.

'Ma no, non devi pensare a nulla, Daniel'  mi punivo mentalmente.
O almeno, si trattava di ciò non che avrei dovuto fare. Se lo avessi fatto, mi sarei sentito come se il mio unico interesse, nonostante contro la mia vera volontà, fosse quello di fuggire dai problemi. Non che per risolverli bastasse dedicare il solo impiego del cervello. Sapevo che avrei dovuto passare a dei fatti concreti. Ma iniziare con il dedicare le mie riflessioni a ciò, mi faceva sentire meno inane

Quindi era bene pensare?
O era meglio ancora evitare di farlo?
Mi sentivo inutile.

Tanto, ormai, ero diventato inutile.
Ogni buon proposito era stato frainteso.
Ogni buona azione, respinta.
Ogni bella parola, diventava un'offesa.
Ogni carezza, uno schiaffo.

'Che cosa siamo, noi, Andrea?
Io e te...
Sì, proprio noi due.
Che cosa sono io, per te?
Te lo sei mai chiesto?
Ti sei domandato quanto io stia soffrendo?
Non soffri solo tu.
Non sei solo.
Non sei solo nella sofferenza.
Non sei solo.
Ci sono io.
Ma dimmi,  quale tipo di legame ci tiene così uniti dopo mille litigi, incomprensioni, bugie, silenzi?
Te lo sei mai chiesto?
Perché, io e te, siamo ancora qualcosa?
È destino che lo siamo.
Ma cosa siamo?
Tu lo sai?
Tu lo sai.
Ed io devo sapere.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora