Capitolo 70

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"E tu cosa volevi?".
"Essere amato per quello che sono veramente e non per quello che gli altri volevano io fossi".

Daniel

"In quel giorno, Fabio mi aspettava a casa sua per..." Andrea stoppò il racconto, inserendo le mani fre le gambe, congiunte in evidente segno d'imbarazzo.
"Per?" lo spronai a parlare.
"Fare l'amore" concluse la frase timoroso, stringendosi fra le spalle e rivolgendomi uno sguardo d'ovvietà.
"Si trovava sul letto di camera sua, quando scese per venire ad aprirmi. Era in mutande. La cosa in un primo momento mi aveva fatto ridere. Pensavo fosse un tipo stravagante che girasse per casa in boxer o qualcosa del genere. Insomma, come sai, anche io sono una persona stravagante e l'idea di avere un ragazzo che facesse cose insolite, non mi dispiaceva. Ma non avevo capito che dietro a quel gesto ci fosse solo malizia".
"E?".
"E nulla. Gli domandai il motivo per il quale fosse conciato a quel modo. La risposta che ricevetti fu un bacio sulla guancia, poi spostatosi al collo. Le sue labbra facevano pressione su di esso, i suoi denti graffiavano la mia pelle. Le sue mani cercavano di levarmi la maglietta dal busto, una sbottonava i due bottoni dei miei pantaloni. A quel punto non sapevo come sarebbe andata a finire. Indietreggiai. Lui si scostò da me, spingendomi indietro e facendomi cadere rovinosamente a terra. Sbattei i palmi delle mani sul pavimento gelido. Gli domandai cosa ci fosse che non andava, spaventato dalla sua brusca e inaspettata reazione. Mi rispose che ero un codardo". Rimasi in silenzio, osservando un sorriso originarsi sulle labbra del mio ragazzo.
"Lo ricordo perfettamente. Come fosse ieri. Mi disse che ero un codardo. Io, mezzo nudo sul pavimento di casa sua, avevo assistito ad una prima violenza fisica da parte di Fabio. Ancora non riuscivo a capacitarmene. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Ma soprattutto, come avevo potuto lasciare che cio accadesse?". Rimasi senza nulla da dire.
"Me ne stavo coricato sulle piastrelle fredde con i pantaloni sbottonati, la maglietta a terra accanto alle mie mani, graffiatesi per lo sfregamento contro lo spigolo di un mobile. Guardavo, dal basso della mia posizione, Fabio urlarmi contro. Diceva che gli facevo schifo, che non avrei dovuto comportarmi come stavo facendo. Che era normale che lo facessimo. Insomma, stavamo assieme da un anno e passa. Lui, generalmente, lo faceva con i tipi con i quali stava dopo solo un paio di mesi. Ed aveva atteso troppo per me. Non poteva aspettare ancora". Sentii Andrea ridere.
"Perché ridi?" chiesi stupito dalla sua reazione.
"Perché sono stato uno stupido. Mi sono rovinato i miei tredici, quattordici, quindici anni dietro a lui".
"Perché, cosa successe dopo?".
"Dopo ci lasciammo. O meglio, Fabio provò a scaricarmi, ma fui io a dirgli esplicitamente che non mi andava di stare con uno come lui. Ma dopo. Molto dopo, rispetto a lui".
"In che senso?".
"Ora ti spiego". Annuì.

"Dopo essere stato scaricato, lui sembrò essersi fatto una sua vita. Aveva un suo ragazzo, trovato dall'uovo di Pasqua dopo una sola settimana rispetto al nostro litigio. Io lo incontravo ancora alla fermata, ma ovviamente non gli parlavo più. Ci comportavamo come se fossimo perfetti sconosciuti. Però...".
"Però?".
"Un giorno, avvicinandosi a me, mani in tasca e sguardo avvilito, mi disse che gli mancavo, che volesse tornare assieme a me. Che desiderasse solo me".
"E tu?".
"E secondo te?" mi domandò, storcendo il capo.
"Boh. Non so. Hai rifiutato?".
"Ti pare, Daniel? Lo sai che hai un fidanzato stupido!" esclamò, alzando gli occhi al cielo e gesticolando con una mano. Poi accavallò le gambe.
"Mi lasciai coinvolgere dalle sue parole e in quattro e quattr'otto tornammo assieme".
"E poi?".
"Daniel, smetti di interrompere sempre! Lasciami parlare".
"Scusa".
"Eravamo di nuovo fidanzati. Lì avevo oramai compiuto quindici anni da un pezzo. Era l'autunno della seconda superiore. In quel periodo, io e te ci eravamo visti per la prima volta. Ricordi?".
"Sì, certo". Lasciai che un sorriso spuntasse sulle mie labbra.
"Ecco. Non so se ti ricordi di un giorno, al parco, poco prima di Natale...".
"No".
"Tu eri al parco, camminavi di fretta. Io, correndo e sbraitando come una preda spelacchiata inseguita da una belva..." lo interruppi.
"Ma che paragoni fai? Dio mio, che fantasia!" esclamai, mettendomi una mano sugli occhi. Rise.
"Era ironico". Si aggiunse alla mia risata.
"Va beh. Stavo dicendo..." ricominciò a parlare, gesticolando con le mani e accavallando l'altra gamba.
"Ricordi quel giorno in cui correndo ti venni a sbattere contro e tu scivolasti a terra? E che poi un ragazzo, che dopo ti racconterò chi fosse, cercò di darmele ma tu intervenni in mia difesa? E poi, una volta andatosene, tu mi domandasti se fosse tutto okay ed io asserii, poi scoppiando a piangere e fiondandomi fra le tua braccia? E tu mi abbracciasti come se mi conoscessi da chissà quanto, mentre era la prima volta che mi vedevi?".
"Mmmh... ah, sì! Dio, quanto tempo è passato!" esclamai, mettendomi le mani sulle guance in segno di evidente stupore.
"Ecco. Sai chi era quel ragazzo?".
"No".
"Te lo svelo".
"Evviva. Finalmente lo scopro dopo anni". Mi sfregai le mani, sorridendo. Rise.
"Era il fidanzato di Fabio".
"Come? Che...C-cosa?!" squittii sorpreso.
"Giá".
"Davvero?!".
"Sì. Fabio mi aveva mentito. Stava ancora con quel ragazzo, quello che mi aveva detto di stare alla larga da lui, di non presentarmi sotto a casa sua. Ed io non ne sapevo nulla.
Quel giorno, per l'appunto, ero andato a trovarlo sotto casa. Ci eravamo dati appuntamento lí. Evidentemente Fabio aveva calcolato male gli impegni perché assieme a me, davanti al portone esterno del suo condominio, c'era anche un altro ragazzo. Iniziammo a parlare e lui mi chiese chi fossi. Gli dissi chi cercassi, cioè Fabio, e lui rispose lo stesso. Disse che era il suo fidanzato. Io risposi lo stesso. A quel punto si incavolò come una bestia e divenne così aggressivo che iniziò a tirarmi dei cazzotti a destra e a manca, offeso dalla dichiarazione che avevo appena fatto. Io, dal mio canto, avevo cercato di difendermi fuggendo, ma lui era stato così veloce da inseguirmi per dei chilometri, raggiungermi e fare ciò che poi è successo, ossia farmi scontrare con te".
"Beh, devo ringraziarlo tanto, allora". Rise, coprendosi la bocca con una mano.
"Ah, ricordi anche che in quel giorno ti dissi che avevo l'ingente bisogno di raccontare una cosa ad una persona sconosciuta?".
"Sì, ora ricordo! Ti prego, dimmi di cosa si trattasse. Se lo ricordi, ovviamente".
"Certo. Che avevo paura. Avevo paura di stare con Fabio. Io volevo qualcuno che mi rendesse felice. Volevo un consiglio su cosa fare. Ma poi tu mi dicesti che dovevi andare dalla tua ragazza. Avevi fretta, lei ti aveva telefonato. E allora ti lasciai andare".
"Lo ricordo. Perfettamente". Andrea rise abbassando lo sguardo.
"Che momenti" dissi.
"Di merda". Lo guardai.
"Ma come? Hanno dato vita al nostro rapporto! Sono stati momenti un po' così, però ora si ricordano con una risata. No?".
"Non proprio. A me fa male. Fa male pensare che nonostante Fabio stesse continuando a tradirmi, io continuassi ad andargli dietro come un cane. Ricorderai di quando, come uno stupido, lo andavo a prendere a scuola, non molto distante dalla sua. E lui veniva a prendere me, una volta in confronto alle mie diecimila. O di quando lo aspettavo fuori dalla palestra dopo che lui finiva il corso con un regalo e lui si incazzava perché mi presentassi in pubblico come suo palese fidanzato".
"Aspetta. Ho una domanda da farti" lo interruppi.
"Spara".
"Eri tu, l'Andrea del corso di danza, vero? Quello che poi si era ritirato? Cioè, non ho mai avuto una conferma da parte tua. È passato così tanto tempo che nemmeno ricordo più nulla. Eri tu?".
"Esattamente".
"Come mai lo facesti?".
"Allora, Dane. La storia è sempre la stessa, complicata storia. A me è sempre piaciuto ballare, sin da quando ero piccolo. Quell'anno, nell'estate fra la prima e la seconda superiore, avrei voluto intraprendere un corso in manoera decisiva. Volevo apprendere. Così iniziai a cercare su internet delle associazioni che organizzassero delle attività di danza. Trovai subito quella a cui ti iscrivesti anche tu, senza sapere che anche Fabio si fosse iscritto. Ah, per la cronaca. Io e Fabio ci eravamo lasciati da un paio di mesi, prima del mio quindicesimo compleanno. Quindi l'idea di dovermelo trovare nel corso non mi attirava per nulla. Così scelsi di ritirarmi".
"E ti iscrivesti altrove?".
"No, alla fine no. Per me era stato come un segno del destino. Il fatto di non essermi iscritto lì significava che l'unica attività a cui mi sarei dovuto dedicare sarebbe stato il pianoforte. E così è stato". Sorrisi.
"Che storia...".
"Giá, solo a me potevano capitare certe cose". Gli accarezzai una mano, appoggiata sulla sua gamba.
"Ci sono altri misteri irrisolti da chiarire?" domandò.
"Non penso. Non credo proprio".
"Ah, ti parlerò magari del rapporto con i miei genitori, un giorno" disse.
"Cosa ne pensi?" chiese, guardandomi.
"Non lo so. Vorrei che fossi tu a sentirti di farlo".
"Certamente. Lo farò. Perché voglio condividere con te tutto ciò che non ho mai condiviso con nessuno".

Sorrisi. Poi lui si sporse verso di me, inserendo le dita della sua mano fra le mie costole. Mi contrassi.
"Ah... patisco!" mi lamentai, spostandomi verso il senso opposto rispetto al quale mi stesse solleticando.
"Lo so" disse, guardandomi.
"No..." sussurrai avendo giá compreso le sue intenzioni.
"Sì".
"No!" mi imposi. Provó a solleticarmi. Allontanai bruscamente la sua mano.
"Hey, Dane!" si lamentó del mio gesto lui.
"Perché non posso toccarti?".
"Non è che non puoi toccarmi" risposi.
"Ma non voglio il solletico".
"E cosa vuoi?" domandò. Un silenzio imbarazzante calò fra di noi. La domanda echeggió nel silenzio, facendo sprofondare in imbarazzanti allusioni piuttosto fuoriluogo in quell'istante.
"Andrea..." rimproverai il mio ragazzo.
"Io?! Cos'ho fatto? Sei tu che mi hai guardato in modo strano".
"Ah, adesso la colpa di quella frase è mia" dissi, indicandomi il petto con le dita delle mani, di cui avevo congiunto tutti i polpastrelli.
"Quale frase?".
" 'Cosa vuoi' ".
"E beh? È una domanda normale. Se tu sei un pervertito non so cosa dirti".
"Andrea, ma cosa stai dicendo? Sappiamo entrambi benissimo, benissimo quanto poco pervertito sia io. Sei tu, quello malizioso fra noi".
"Malizioso non è sinonimo di pervertito".
"Insomma...".
"Senti, finiamola qua. Non hanno senso questi discorsi" sbottò.
"Appunto" risposi.
"Bene" disse, incrociando le braccia.
Rimanemmo in silenzio, ognuno fissava un punto indefinito davanti alla propria persona. Eravamo entrambi offesi per colpe che nessuno aveva.
Ad un certo punto, Andrea si sporse verso di me. Ruotai la testa per guardarlo.

"Cosa...". Sussultai.
"Oh, andiamo..." sussurrò, alzando gli occhi al cielo. Si avvicinò a me, poi le sue labbra si scontrarono con violenza con le mie. Aprii la bocca per farle aderire, chiusi gli occhi e mi sporsi verso di lui.

"Era troppo tempo che non ti baciavo" disse, separandosi da me di pochi millimetri, poi riprese a baciarmi senza smettere di strofinare le sue labbra contro le mie neppure per un attimo.

"Giá". La sua mano, tiepida, si appoggió al mio collo, cingendolo.
"Mh..." gemetti.
"Aspetta" dissi, separandomi da lui. Mi guardò negli occhi.
"Cosa c'è?" domandó inquieto.
"Non vorrei ci vedesse qualcuno" dissi, guardandomi attorno.
"Ma Daniel, siamo a scuola!" esclamò ridendo.
"Non lo so. Ho paura che quella spia possa seguirci anche al liceo".
Scoppiò in una sonora risata .
"Ma cosa stai dicendo! Figurati!". Provò a rasserenarmi con un altro bacio. Lo scansai.
"Dane...".
"S... scusa. È che ho paura".
"Per cosa?".
"Per te". Rise.
"Ma no. Non devi preoccuparti. Non farlo. Viviamo normalmente. Se i miei dovessero scoprire che sono con te, pazienza. Preferisco vivere serenamente con il mio ragazzo che mi ama alla follia che con i miei genitori che avrebbero potuto fare lo stesso, ma hanno scelto di non farlo".
Accarezzai la mano di Andrea, guardandolo.
"Mi dispiace".
"E di che?" chiese lui, facendo spallucce e rivolgendomi un enorme sorriso.
"Sai, mi piace il tuo modo di essere" confessai, inclinando il capo.
"Cioè?".
"Hai sempre il sorriso sulle labbra. Qualsiasi cosa accada". Sorrise, sospirando e guardando in basso.
"Non è proprio come pensi. Se lo faccio, adesso, è solo grazie a te. Davvero. Guarda, guarda quanto mi rendi felice. Guarda quanto sono allegro. Quanto sono contento di avere una persona come te al mio fianco. Non potrei desiderare di più". Strinsi la sua mano, appoggiata sulla sua gamba, con la mia.
"Ti amo, Daniel. Ti amo, ti amo, ti amo. Ti amo alla follia. Sono innamorato di te. Io... ti amo" ripetè per l'ennesima volta. Chiusi le nostre mani, serrate l'una dentro l'altra, in modo da formarne un pugno.
"Grazie per essermi sempre vicino. Senza di te non avrei mai potuto vivere una storia d'amore bella come quella che sto vivendo adesso. È un sogno. Da cui non voglio svegliarmi. È assurdo. Tutto quello che voglio è divenuto realtà".
"E tu cosa volevi?".
"Essere amato per quello che sono veramente e non per quello che gli altri volevano io fossi".
"Ed io cos' ho fatto? Cos' ho fatto per te?".
"Hai reso ció possibile".

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora