Capitolo 30

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Tommaso

Io e Vanesa, in un giorno qualsiasi ci diedimo un altro appuntamento.
Ogni volta, per me, era come riviverw le sensazioni della prima volta: mani sudate nonostante le temperature non elevate, fiatone senza aver mosso il passo oltre alla mia velocità standard, batticuore. Questi erano solo alcuni dei sintomi che provavo ogni volta, fino all'istante prima in cui l'avrei incontrata.
Ogni occasione era buona per vivere momenti intensissimi di ansia e preoccupazioni del tutto superflue.
'Cosa mai sarebbe potuto capitare?' , mi domandavo cercando di tranquillizzarmi, invano.
Poi pensavo: 'Vuoi vedere che se le altre volte tutto è stranamente filato liscio, questa volta succederà una catastrofe?'. E per quello, finivo per agitarmi ancora più del dovuto. Sembravo un cane che girasse attorno alla sua coda, in modo paranoico e ripetitivo, per cercare di prendersela e autopunirsi.

Ogni dettaglio a cui facevo caso nel prepararmo prima di uscire di casa per apparire gradevole ai suoi occhi, era importante: la riga dei capelli, il filo interdentale prima e dopo essermi lavato i denti, idem per il colluttorio, il fiocco che facevo ai lacci candidi delle scarpe, la puntualità che avrebbe potuto fare invidia ad un orologio svizzero. E molte altre cose a cui cercavo di dare grandissima importanza, ma che, forse, solo io avrei notato.

L'incontro fu vicino a casa sua. Anche se nella mia zona c'erano più cose interessanti da vedere e con cui intrattenersi e passare un bel pomeriggio, mi sembrava scortese farla viaggiare in pullman per raggiungermi.

Per l'occasione mi vestii elegantemente: un paio di mocassini firmati, una camicia bianca, dei bermuda scuri.
Speravo notasse il mio profumo. Una colonia costosissima, sottratta dal beauty di mio padre che nascondeva, con la massima cura, dagli occhi miei e di mio fratello.
Avevo scelto anche quello con la massima accuratezza. Volevo assolutamente che si accorgesse di quanto m'impegnassi per fare colpo su di lei. E quello di mio padre, pensavo potesse essere quello ideale.

Quando arrivai al punto di ritrovo, la sua infinita bellezza, così fine e assolutamente non passante inosservata, sminuì tutto l'impegno che avevo posto nel curare la mia persona. Lei era così a suo agio, nel suo modo di fare, di vestire, di posare. Era così naturale... era veramente bella.
Pareva una principessa.
Capelli lunghi e scuri, di un mosso che divideva le ciocche, folte, in onde morbide e perfettamente pettinate, occhi contornati da un leggero tratto di eyeliner, un rossetto rosso sangue sulle labbra carnose, un vestito dello stesso colore delle labbra, un paio di paperine.
Era splendida.
"Ciao, Tom. Come stai?" mi domandò vedendomi già da lontano. Poi, sorridente, mi porse una guancia.
"Ciao. Io sto molto bene. E tu?". Mi sporsi per baciarla.
"Bene, ti ringrazio".
"Come sei bella" mi complimentai, non potendo in alcun modo evitare di rimanere a bocca aperta.
Ringrazió, con la sua solita dolcezza.
Quasi mi dimenticai di ciò che tenevo fra le dita per lei, avendo cercato per quasi mezz'ora di non pungermi con le poche spine che caratterizzavano quel fiore.
"Ecco, questa rosa è per te". Gliela porsi, gentilmente. La prese fra le dita, con delicatezza.
"Che meraviglia! Io adoro i fiori. Sei stato gentilissimo". Sorrisi, soddisfatto di aver pensato bene.

Il pomeriggio che passammo non fu nulla di speciale per due ragazzi della nostra etá. Non andammo a ballare, in discoteca, o a fare compere, o altre cose più estroverse e sicuramente più indimenticabili. Ci limitammo a passeggiare per le vie, parlando delle cose che ci piaceva fare, delle nostre passioni e delle cose che ci facevano spontaneamente ridere.
Ad un certo punto, arrivó l'ora in cui lei, per via del suo impegno con il fotografo e sua madre, dovette tornare a casa.
"Perdonami. Ti prometto che un altro giorno staremo di più assieme" mi assicurò. Nel sentir pronunciare quelle parole, non potei trattenere un ampio sorriso.
Ci sarebbe stata una prossima volta.
Prima di lasciarla andare, decisi di fare un bel gesto non indifferente, accompagnandola lungo il tragitto fino a casa.

"Sono stata molto bene con te" mi confessò, una volta arrivati sotto il portone di casa sua.
"Anche io" dissi, dopo di lei.
Sprofondammo in un silenzio piuttosto imbarazzante. Poi lei si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla guancia per salutarmi. Da quell'istante non capii più nulla. Non seppi nemmeno cosa mi stesse dicendo poco dopo. Nè cosa bofonchiai confusionario io. Probabilmente, da quanto riuscii a rammendare, mi limitai a salutarla balbettando un imbarazzante ciao e a guardarla entrare in casa.
Quando riflettei su ciò che avevo appena vissuto, ero già salito in pullman per tornare a casa.
Era incredibile quando, da innamorati, ogni piccolo gesto potesse impressionare.

Vanesa

Tornando a casa, ebbi la testa fra le nuvole. Continuai a pensare a Tommaso e alla giornata trascorsa con lui che, nonostante non fosse stata nulla di speciale, per me aveva avuto qualcosa da ricordare con piacere, come il profumo di Tommaso. Ero rimasta affascinata da quanta cura ponesse per la propria persona. E dal buon odore che pervadeva l'aria attorno a lui, inebriandomi.
Non avevo mai trovato ragazzi così attenti a se stessi.
E probabilmente, l'attenzione era proprio ció che mancò a me per qualche istante quando mia madre, vedendomi tornare a casa in ritardo, dedicò ben una decina di minuti a rimproverarmi dicendomi che si era fatto ormai troppo tardi per andare da Sergio.
"Vanesa! Mi stai ascoltando?" disse, urlando e schioccandomi le dita davanti al viso.
"Vanesa! A cosa pensi? Ti sto parlando! Mi stai mancando di rispetto. Lo sai?". Le sue parole mi obbligarono a darle retta.
"Va bene. Scusa, mi dispiace" mi limitai a pronunciare.
"Vai in camera tua, niente televisione" mi minacciò, puntando il dito verso la moa stanza. Per quell'attimo mi parve di essere stata trattata come una bambina di quattro anni. Ma non osai ribattere. Non volli dire nulla. Preferii rimanere in silenzio e fare finta di essermi pentita del mio precedente comportamento.
E invece, l'unico interesse che avevo, era quello di pensare a Tommaso.
Entrai nella mia stanza, trascinando rumorosamente le pantofole a terra, sul parquet.
Daniel, in quel momento, era sdraiato a gambe divaricate sul letto ad ascoltare della musica, fischiettando.
"Relax, eh?" dissi, appoggiando la borsetta accanto al cuscino rosso del mio letto.
Si tolse una cuffia, guardandomi.
"Eh?". Non risposi.
"Com'è andata con Tommaso?".
"Bene" sorrisi.
"Dai, racconta". Lo vidi alzarsi di scatto, mettendosi seduto.
"Ma cosa ti devo dire?".
"Tutto". Si levó anche l'altra cuffia, gettando il cellulare lontano, oltre ai suoi piedi. Per poco non rischiò di farlo cadere.
"Mi ha regalato una rosa....Daniel, è stracarino con me" dissi, sognante, salendo sul suo letto e sedendomi accanto a lui.
Sorrise, appoggiando una mano sulla mia coscia

Daniel

"Lo so, Veba. Ti piace tanto, vero?" domandai
"Penso di sì". Abbassó il sguardo.
Le accarezzai una spalla.
"Hai messo il vestito che ti ho regalato!" esclamai.
"Ti sta benissimo" aggiunsi.
"Grazie". La vidi sorridere, contenta del complimento sincero appena ricevuto.
"Allora, tornando al discorso di prima... Cosa pensi di fare con Tom?".
"Non lo so, Dane. E se non gli dovessi piacere?".
"Tsk, figurati! Un ragazzo non sta così attento a sè stesso se deve uscire con una ragazza qualsiasi. Noi ragazzi abbiamo questa pessima abitudine di curarci particolarmente soltanto se usciamo con la ragazza che ci piace". Rise sonoramente.
"Secondo me dovresti continuare a farti corteggiare".
"Perché?" domandò.
"Perché così farai impazzire Tommaso. Lui è disposto a qualsiasi cosa pur di conquistare una ragazza da cui è attratto. Voglio vedere che fine fa, poverino" scoppiai a ridere, facendomi dei film mentali sulla possibilità del mio amico ad arrivare a girare per la città travestito da hotdog, in relazione alla sua fobia per i panini semidolci.
"Daniel, sembra preso da me sul serio. È davvero gentile. Ogni piccolezza che compie mi lascia ogni volta a bocca aperta. Non so che dire, mi sorprende sempre. Non ho mai conosciuto un ragazzo cosi. Per di più molto più grande di me. Pensavo che se i miei compagni di classe fossero degli idioti, quelli della tua etá fossero proprio dei tipi senza speranza".
"Hey!" mi lamentai.
"Ma non mi riferisco a te, Dane. Intendo in generale. Quando mi ricapita la possibilità di incontrare uno come Tommaso?".
"Allora se ti piace, stai al gioco. Mostrati a tua volta interessata".
"E poi?".
"Te l'ho già detto. Lascia che lui continui a fare il galantuomo. Ti renderai ancora più conto di quanto sia fantastico, quel ragazzo. Su quello, proprio nulla da dire. Ci sa fare con le ragazze. Eh?" la invitai a rispondere.
"Giá. È proprio così".

La cosa che mi rendeva felice, in quell'istante, era il poter parlare di quegli argomenti con mia sorella. Ero così felice di essere in così bei rapporti con lei. Ero contento di esserle complice e di mettere in atto dei piani per aiutarla a mettersi assieme al ragazzo che le piaceva, nonché mio migliore amico. Volevo rendere felice due delle persone a me più care. Il mio migliore amico e mia sorella.
E che finalmente fosse arrivato anche per lei il momento di conoscere l'amore.

La storia d'amore ha inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora