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<< Non potevi descriverlo meglio. Solo che ho paura di deludere le tue aspettative, finché non scoprirò cosa c'è sotto a tutta questa storia non avrò pace e la mia anima non sarà così diversa dalla tua. >>

Keyn ci rifletté su un attimo. << Forse conosco qualcuno che potrebbe aiutarti. Ti va di andarci domani prima di pranzo? >>

Il viso di Evelyn si illuminò. << E me lo chiedi? >>

<< Bene allora ci troviamo alle 11.30 all'uscita della Reggia dei Battaglieri. Devo informarti che per l'episodio di oggi devo fare rapporto al comando, ho sorvolato già su quello di ieri. >>

Evelyn era a conoscenza di questa possibilità ma sperò di farne a meno e di non coinvolgere altre persone. Tuttavia comprendeva la posizione in cui si trovava lui.

Fece un passo indietro per guardarlo meglio e non lasciarsi distrarre troppo dal suo contatto. In quel momento non c'era tattica di elusione a cui non avrebbe ricorso.

<< Ti ringrazio moltissimo ma non potresti riferirgli che un uomo stava assalendo una ragazza sconosciuta e che se non saresti intervenuto, di lei non si sarebbe più rivista nemmeno l'ombra? >>

Rabbrividì per la possibilità che si sarebbe trasformata in certezza se lui non fosse intervenuto. << Sarebbe troppo sospetta la cosa. Sarei tenuto ad interrogarti in ogni più piccolo dettaglio e a portarti alla Reggia. >>

Lei fece un ulteriore passo indietro. << Potresti aggiungere che mentre stavi cercando di ritrovare la sua borsa lei è fuggita ed era così agitata che non riusciva a fare nemmeno una frase di senso compiuto. Aspetta cosa c'è là? >> Gli indicò un punto lontano vicino al mare.

Lui si voltò e lei volò via in un baleno.

<< Ci vediamo domani alle 11.30. >> Nell'aria risuonò come un sussurro lontano.

Keyn saltò oltre i cespugli, voltando lo sguardo in ogni direzione per ritrovarla ma di lei non si vedeva realmente neanche l'ombra. Il suo stupore raggiunse le vette più alte dell'incredulità.

Era stata l'unica persona ad essersi presa gioco di lui ed avergliela fatta sotto il naso. Si sentiva disarmato, i suoi sentimenti gli aveva davvero annebbiato la mente.

Nonostante l'incredulità non poté fare a meno di ridere. Era la sua rovina, la sua catastrofe mortale.

Evelyn pregò di riuscire ad arrivare a casa in fretta. Volò via così velocemente che sembrava come un ombra impalpabile, un soffio di vento nell'oscurità della notte. La luna guidò il suo percorso.

Il dolore si era risvegliato in ogni parte del corpo, penetrando nuovamente fin dentro le ossa. Il suo sforzo di mantenersi in aria e di mantenere un'andatura abbastanza veloce, la faceva gemere per lo sforzo. Il sudore rivestiva ogni angolo di pelle mentre le fitte accompagnavano lo scoccare dei secondi. Poco distante dalla mura del Castello, udì un lamento. Il cuore le si riempì di gioia, tanto che le scese una lacrima.

Un batuffolo di pelo biancastro illuminava una striscia di terra verde. Era disteso a terra su se stesso e i suoi occhi tentavano di attrarla a sé. Lo raggiunse in picchiata, accogliendolo subito tra le sue braccia, senza posare i piedi a terra. Temeva che una volta fermata non fosse più in grado di proseguire in volo.

Si accorse che era ancora ferito e che probabilmente non era riuscito ad arrivare oltre. Questo le diede la forza di non mollare e varcare il muro.

Giunta davanti alla finestra le ali arrestarono il loro battito e dovette arrampicarsi sul cornicione per entrare dentro. Altra fatica non indifferente considerate le sue condizioni. Ma d'altra parte era fuggita dalla morte per due giorni conseguivi, a confronto, quella era quasi una passeggiava.

Hoshea saltò a terra e questa volta tenne per sé un nuovo lamento, lei lo raggiunse stendendosi a terra con la schiena contro il pavimento. La testa le girava e il respiro affannato implorava l'aria di concedergliela sempre di più.

Rimase stesa sul freddo pavimento ad occhi chiusi per l'arco di infiniti minuti, abbracciando gli ultimi ricordi.

Una parte di una possibile verità che da tempo inseguiva con caparbietà, senza mai afferrarla, si era esibita. Sapeva che il sangue che aveva avuto addosso non era il suo sangue e il liquido che perdeva dalle sue ferita non ci andava minimamente vicino ad esserlo.

Ancora una volta il confine tra leggenda e realtà si era unito affacciandosi al suo mondo. Ripercorse ogni attimo vissuto, domandandosi ancora una volta: è questo il grande segreto?

Quella che ormai poteva sembrare una domanda retorica era solo un'altra triste illusione di poter dare un senso ad ogni turbamento. Raggiunse con difficoltà il bagno e dovette lottare contro l'impulso di guardarsi allo specchio perché temeva che non ce l'avrebbe fatta a sopportare la sua vista.

Considerato il momento pensò di affrontare una cosa alla volta, come prima cosa doveva curare Hoshea.

Si appoggiò al muro sotto la finestra con l'aiuto di entrambe le braccia, dopodiché prese in grembo Hoshea ed esaminò la ferita.

Il taglio era abbastanza profondo ed era esattamente come lo ricordava, aveva sperato che anche la parte mitologica in cui gli esseri divini potevano guarire da soli, fosse vera. Ma si sa, da giorni la fortuna l'aveva abbandonata, perciò dovette provare a farlo guarire con le tecniche più umane. Gli lavò via il sangue e gli medicò la ferita, poi arrotolò intorno al corpo una garza.

Provò a fare lo stesso con le sue ferite ma il bruciore gli strappò un urlo. Disorientata da quella reazione del suo corpo passò a lavarsi via ogni resto di quella nottata.

Si tolse velocemente ogni capo di abbigliamento e si infilò sotto la doccia. Sotto la doccia iniziò a tremare, non perché l'acqua non era calda ma perché non poteva farne a meno. Perfino la paura di perdere quel poco che le è rimasto le annebbiava la ragione. I suoi tormenti immobilizzano il pensiero, polverizzando ogni desiderio di serenità.

Lacrime salate si unirono alla tiepida acqua. Restò a cullarsi sotto quel getto un tempo così lungo che la sua pelle sarebbe dovuta scomparire. Quando ne uscì prese un accappatoio e lo indossò, afferrò Hoshea e lo distese sul letto. Si sentiva ancora il tepore dell'acqua addosso e la pelle che profumava di unguenti curativi.

Aveva gli occhi pesanti e l'intero corpo dolorante, sapeva di dover almeno bere. Così si diresse verso il piccolo mobiletto dove teneva del cibo e ancora prima di accorgersene aveva finito una bottiglietta di acqua e poco dopo la stessa sorte era toccata ad un arancio e una barretta di cioccolata.

Dopo essersi riempita almeno un po' lo stomaco si sentiva incredibilmente in forze ma il suo mal di testa non l'aveva abbandonata.

Si distese sul letto, dove l'attendevano nuovi pensieri. La raggiunse perfino l'assurda idea che fosse meglio che la sua vita potesse diventare un loop, un ripetersi dello stesso giorno all'infinito, poteva risultare meglio di scoprire cosa sarebbe successo il giorno dopo, perché con molta probabilità l'indomani sarebbe stato peggio.

Magari il futuro potesse cambiare ogni mattina scrivendo ogni giorno un finale diverso.

Con questo pensiero poco dopo, stremata, finì tra le accoglienti braccia di Morfeo.

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