Cap.10

943 55 8
                                    

Correvo in un tunnel completamente buio. Non riuscivo a vedere la luce, poi vidi una sagoma. 《Diego》urlai con tutto il fiato che avevo. Mi venne incontro, mi diede un bacio sulla fronte e mi tenne tra le sue braccia. Dopo un po', mi sentii strattonare il braccio. 《Matteo》sussurrai, prima che anche lui mi abbracciasse ripetendomiScegli, scegli》
Mi svegliai abbracciata al cuscino, poi sentii la porta che si apriva.
《Buongiorno》disse.
《Matteo, sei sei...tornato》mormorai. Mi sollevai leggermente, mentre lui si avvicinava al letto, sedendosi. Mi sorrise stanco, per poi abbracciarmi.
《Io e Marta ci siamo di nuovo lasciati. Son tornato perché ho saputo di Diego e dopo che la situazione sarà migliore, andrò di nuovo via》mi spiegò. Annuii, per poi scendere dal letto ed andare in cucina, seguita da lui. Gli preparai un caffè, successivamente si coricò sul divano e si addormentò. Prima di andare a svegliare Mirko, lo fissai. Non era cambiato niente: le sue labbra erano leggermente schiuse ed erano sempre di un colorito rosa, ne troppo pallido ne troppo scuro; i suoi capelli castani erano cresciuti leggermente ed erano sempre tirati all'indietro; era dimagrito e aveva il viso più scavato. Sorrisi leggermente, prima di accarezzargli leggermente i capelli ed una guancia ed andare in camera di Mirko. Inizialmente bussai, non ottenendo alcuna risposta, poi aprii. La stanza era un casino assurdo, ma ciò che mi stupii di più, fu la polverina bianca che trovai in terra, sotto alla scrivania. Oh no ti prego no. La coca di nuovo no. Guardai mio fratello, steso sul letto, beatamente addormentato. Trattenni le lacrime, prima di ripulire tutto il casino e riordinare i documenti. Ad alcuni diedi una sbirciatina. C'erano quelli del carcere, quelli del riformatorio e quelli della custodia. E poi c'erano i documenti dell'ospedale di Diego.
Se il ragazzo non si sveglierà entro 7 mesi e due giorni, le macchine saranno staccate.
Sospirai, poi li riposi sulla scrivania e sollevai la tapparella della stanza, per poi aprire la finestra. Mirko mugugnò leggermente, ma non si svegliò. Tornai nella mia stanza, dove mi vestii con una semplice tuta, una felpa e le snickers, prima di prendere una borsa dove misi l'mp3, un quadernetto nero, il telefono, le cuffie, un panino che mi ero fatta prima e il portafoglio con documenti e soldi. Scrissi un biglietto ai ragazzi, dove li informai della mia visita a Diego in ospedale e del pranzo congelato in frigo.
Presi il pullman, ed in venti minuti arrivai a destinazione. Raggiunto il terzo piano, bussai alla stanza di Diego ed entrai. Mi sedetti accanto a lui, togliendo fuori le cuffie e l'mp3, poi il quadernetto. 《Emh dicono che quando uno sia in coma, per farlo risvegliare, bisogna che ascolti la musica che gli piace o si ricordi di qualcosa di bello. Ti ho portato un paio di canzoni che ti piacciono, magari le ascoltiamo insieme. Poi ti faccio sentire anche qualcosa che hai scritto tu, magari poi chiediamo a Paolo se produce una base? Che dici Die'?》chiesi, per poi infilare un auricolare nel suo orecchio e premendo play. Gli strinsi una mano mentre lo guardavo. Respirava lentamente e da sotto il camice chiaro, si notava il petto che faceva su e giù. Era pallido e aveva, oltre un elettrocardiogramma, un altro aggeggio che iniettava insulina. Ascoltammo qualche canzone degli arctic monkeys che gli era piaciuta la prima volta che avevamo ascoltato musica insieme, poi qualche canzone di Eminem. Infine, gli provai a rappare i suoi pezzi che aveva scritto, ma non ci riuscivo. Erano troppo profondi. Uno era anche lasciato incompleto. 《Comunque svegliati presto che ne hai lasciato uno incompleto e voglio vedere che scrivi》sorrisi.
Gli ricordai del giorno in cui eravamo rimasti in balcone fino a tardi a parlare e fumare mentre lui mi raccontava di sua sorella e del fatto che le mancasse. Gli ricordai anche di quando eravamo rimasti in silenzio rimanendo abbracciati. Gli ricordai del giorno in cui Mario provò a fare una torta e dovemmo chiamare i pompieri perché aveva fatto esplodere un fornello. Gli ricordai del giorno in cui venni portata in carcere, anche se non era stata una bella giornata. Dopo quella sequenza di ricordi, scoppiai a piangere mentre mormoravo continuamente "scusa scusa scusa". Dovevo essere forte ed invece...Arrivò l'ora di pranzo. Uscii dalla sua stanza, mangiai il panino e chiamai sua sorella, Margherita.
Lei mi disse che il giorno dopo sarebbe venuta a salutarlo solo due minuti e che poi sarebbe subito tornata a Genova per motivi di studio. La ringraziai comunque e lei poi mi ringraziò di rimando per averla chiamata.
Il pomeriggio stetti ancora con lui, poi tornai a casa, dove mi aspettavano i ragazzi affamati.

Deja vu/IziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora