34. Tidal wave

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Quando quella mattina del 27 dicembre Therese Cabello bussò alla porta della suite della figlia, la ragazza sapeva già che doveva essere successo qualcosa di totalmente inconsueto per spingerla ad un'iniziativa così rara ed inusuale.

«Karla, tesoro, posso entrare?»

Camila arricciò il naso in risposta, dall'altra parte della porta, per tanti motivi.
Primo, sentire il proprio nome di battesimo la infastidiva.
Secondo, la voce forzatamente addolcita e quasi squillante della madre le risvegliava come una remota angoscia, un senso di disagio con cui aveva imparato a convivere e che si manifestava in sua presenza sin da quand'era solo una bambina.
Terzo, si era appena svegliata e non aveva neanche idea di che ora fosse, dato che trascorreva la maggior parte del suo tempo chiusa in stanza e perdeva anche la cognizione delle giornate.

Camila si alzò controvoglia dal letto e si infilò un paio di pantaloni di cotone per essere in qualche modo più presentabile, non sia mai che sua madre si sconvolgesse a vederla così  "scomposta".

«Apri» borbottò, e in parte sperò che sua madre non l'avesse sentita, che avesse pensato che magari stesse male o dormisse ancora e se ne andasse semplicemente.

Purtroppo, la signora Cabello aveva afferrato al volo le parole della figlia, ed era già dentro la camera da letto.
Camila la guidò fuori dalla propria stanza e la fece accomodare nel salottino, arredato con un divano di pelle rosso e un tavolino di vetro, insieme ad un paio di comò in legno di ciliegio.

«Come mai ieri sera non eri a cena con me e tuo padre?» fu la prima
domanda di Therese, e a Camila venne quasi da ridere.
Eccola, mentre stava seduta nella suite di sua figlia e le poneva l'unica questione di cui poteva interessarsi: salvare le apparenze.
Camila non si stupì neanche per un attimo che la prima preoccupazione di sua madre non fosse chiederle come stava, ma piuttosto perchè avesse dato buca ai suoi genitori ad una cena di lavoro.

Scrollò le spalle, camuffando l'amarezza nel proprio sguardo.
«Stavo poco bene, mi sono fatta portare la cena in camera»

Therese annuì, e tese la mano come per appoggiarla sulla gamba della figlia, la quale la fulminò con lo sguardo, arrestando la sua azione nello stesso istante.
La donna sospirò.
«Vorrei solo che ti godessi questa vacanza, mi capisci? Tuo padre ed io abbiamo speso molti soldi per prenotare questo viaggio perché sapevamo quanto ti piacesse Parigi»

Camila roteò lo sguardo e poi lo puntò su quello della madre, così simile e al contempo diverso dal proprio.
«Quindi il fatto che a Parigi ci siano i signori Crawford è solo una casualità?» domandò, con tagliente ironia.

La signora Cabello parve presa in contropiede dall'insinuazione della figlia, e si irrigidì all'istante.
«Lascia stare, mamma, va bene così. Non sono più una bambina, non c'è bisogno che inventi scuse per tirarmi su di morale. Sto bene» continuò Camila, sperando che quella conversazione finisse il più presto possibile così da poter tornare sotto le coperte a dormire o leggere qualche bel libro.

«Vuoi dirmi che Parigi non ti sta piacendo nemmeno un po'?»

«Io adoro Parigi, davvero. Ma è solo una coincidenza, alla fine»

«Karla»
Camila chiuse momentanemente gli occhi per mantenere la calma.
«Lo sai che io e tuo padre abbiamo del lavoro da svolgere, e l'industria farmaceutica non prende una pausa per il Natale. Ogni periodo dell'anno è ottimale per fare affari»

«Okay, ti ho già detto che va bene. Anzi, scusati con i signori Crawford da parte mia per ieri sera, se li vedi oggi» tagliò corto Camila, e vide sua madre lisciarsi le pieghe della gonna del tailleur con una mano, nervosamente, mentre teneva lo sguardo ostinatamente a terra.

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