42. An heartbreaking denial

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Un rumore, sordo, come il tonfo di qualcosa di pesante che cadeva al suolo.

Camila aprì gli occhi, sbattendo le palpebre più volte per abituarsi alla luce accecante che rifletteva sul suo viso dalla finestra.
Provò a mettersi a sedere, e il suo primo istinto fu quello di portare entrambe le mani alle tempie, poiché un dolore lancinante le trapassò il cervello come una trivellatrice.

Si strofinò il viso e sbadigliò. Per un attimo non sapeva dove si trovava, poi i contorni della sua stanza iniziarono a farsi più nitidi, e un senso di tranquillità la pervase.
Nonostante ciò, il mal di testa e la nausea improvvisa non le permettevano di concentrarsi.
Fu un violento conato di vomito a farla alzare dal letto per correre in bagno.

La ragazza si inginocchiò davanti al water e rimesse tutto ciò che aveva ingurgitato nelle ultime sei ore.
Il sapore era acido, aspro al punto da stimolare altri conati anche quando credeva di aver svuotato del tutto il proprio stomaco.

Solo dopo che la bocca fu riempita anche dalla viscida consistenza dei succhi gastrici, il supplizio giunse al termine. Camila rimase accasciata al suolo, le mani strette sulla tavoletta di marmo freddo, la fronte imperlata di sudore e il respiro pesante per più di una decina di minuti.
Infine trovò la forza di alzarsi e lavarsi i denti e la faccia, prima di uscire dalla propria stanza e scendere al piano di sotto.

Qui, si meravigliò di cosa trovò.
Vi erano sedie rovesciate a terra, divani spostati, il pavimento era un tappeto di rifiuti di plastica, carta e forse anche cibo.
Il salotto e la cucina erano irriconoscibili, completamente a soqquadro.

Camila si grattò la testa e osservò quello scempio con sconforto, ancora intontita dal mal di testa e le scarse ore di sonno che aveva impiegato a dormire.

«Buongiorno, signorina» la salutò garbatamente Rosie, entrando in cucina con una scopa e una paletta in mano.

«Ciao, Rosie» rispose sempre confusa Camila, e la donna le sorrise.

«Non si preoccupi, stiamo già sistemando tutto. Dovrebbe andare a riposare, sulla cucina le ho posato un'aspirina che potrebbe aiutarla col mal di testa e la nausea»

Camila annuì, mortificata.
Rosie e tutto il personale era a conoscenza di ciò che era successo in quella casa non più di cinque ore prima, eppure solo adesso si rendeva conto di quanto realmente fosse stata selvaggia quella festa.

Prese l'aspirina e la disciolse in un bicchiere d'acqua che trangugiò tutto d'un sorso, prima di salutare cordialmente il resto del personale e salire nuovamente al piano di sopra, che a quanto pare era già stato rimesso a posto
Salendo, diede un'occhiata all'orologio sulla parete che segnava le dieci del mattino.

Ah, fanculo. È domenica, concluse, e si richiuse la porta della stanza alle spalle.

Andò a buttarsi quindi sul letto, dove il mal di testa non accennò a diminuire e continuò a tenerla sveglia, il che comportò indurla riflettere. E non fu un bene.

Di tutto quel putiferio che si era scatenato lì sotto, lei non ricordava assolutamente nulla.
I suoi ricordi nitidi si fermavano al gioco con la pallina da tennis, e Camila voleva a tutti i costi riprendere in mano la situazione.
Man mano che i minuti passavano, la mente veniva sottoposta a sforzi sempre maggiori, e la frustrazione aumentava.

Riuscì a ricordare vagamente una torta, talmente grande da occupare un tavolo intero, e urla. Urla euforiche e animalesche mentre il rumore del sughero del tappo di una bottiglia di champagne risuonava sulla musica.
In quei ricordi, Camila si sentiva ridere fino alle lacrime, e cantare a squarciagola insieme ad altre venti o trenta persone.
Poi le venne in mente la musica, assordante, e l'odore dolciastro di un misto di fumi inebrianti.

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