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E' arrivato il giorno della partenza di Deborah. Mi ha chiesto di accompagnarla all'aeroporto insieme a suo padre per poterla salutare adeguatamente ed io l'ho accontentata.

<<Ciao Deborah.>> La abbraccia maldestramente il padre, come se non fosse abituato a questo contatto fisico. <<Sono orgoglioso di te.>>

<<Grazie papà.>> La vedo chiudere gli occhi mentre si crogiola nell'abbraccio del padre e capisco, dalla sua espressione rilassata, quanto le sia mancato il suo affetto. È come se Deborah fosse il mio specchio: non riesco neanche a spiegare quanto io abbia desiderato, fino a qualche anno fa, un po' di considerazione e affetto da parte dei miei genitori.

Quando il padre di Deb si stacca dal corpo della figlia, noto come lei avrebbe voluto che quell'abbraccio durasse un po' più a lungo per poter, forse, colmare le lacune lasciate dalla mancanza d'amore che ha dovuto sopportare per tutti questi anni.

<<Anche tua madre sarebbe fiera di te.>>

E, a queste parole, il sorriso di Deborah si incrina. Scuoto la testa incredulo passandomi due dita sugli occhi perché il padre è riuscito a rovinare un momento bellissimo. Anche questa volta. Non avrebbe potuto, semplicemente, lasciar perdere la madre e concentrarsi sulla figlia?

Deborah sorride e annuisce ma lo fa con rassegnazione: il sorriso che ha adesso sul viso, è solo l'ombra brutta del sorriso che aveva mentre era tra le braccia del padre.

<<Vi lascio. Ciao.>> Le da un ultimo bacio sulla fronte, da' a me una pacca sulla spalla e si allontana.

Appena vediamo il padre uscire dall'aeroporto, Deborah sbuffa frustrata. <<Non vedo l'ora di andarmene da qui.>>

La capisco e le accarezzo una spalla per farle capire che so che cosa sta provando e che non si deve preoccupare perché, tra poche ore, potrà, finalmente cominciare la vita che desidera da così tanto tempo. La invidio.

<<Allora Leonardo, fai il bravo, d'accordo?>> Mi prende il viso tra le mani e mi parla come se fossi un bambino.

<<Anche tu.>> Le rispondo usando lo stesso livello comunicativo che lei ha usato con me.

Lei sembra apprezzare perché mi sorride arricciando il naso. 

 <<Dico sul serio, sai?>> Mi guarda in modo serio. Deborah sa che la il nostro rapporto è una stranezza e che non è niente di serio. Deborah sa che io non sono innamorato di lei e sa anche che nemmeno lei è innamorata di me.

<<Non preoccuparti.>> Anche se non siamo innamorati non me la sentirei di tradirla perché mi ricorderei lo schifo che ho provato quando ho tradito Adele e non vorrei rivivere per nulla al mondo quelle sensazioni.

<<Anche io farò la brava, d'accordo?>> Mi guarda negli occhi e mi cuce addosso una promessa. <<Mi mancherai.>> Sussurra poi.

Finisco tra le sue braccia e la stringo a mia volta.

<<Anche tu.>> Mormoro e le accarezzo la schiena mentre sento che lei sta piangendo.

Non posso credere che sia triste: sta parlando di questo viaggio da settimane, ne è stata entusiasta fino a cinque minuti fa e, ora che deve salire sull'aereo, piange.

<<Tranquilla.>> Sussurro mentre sentiamo la voce dell'altoparlante che annuncia il suo volo.

Deb si stacca dal mio abbraccio e mi sorride imbarazzata mentre si asciuga il viso.

<<Dammi un bacio.>> Mi si avvicina e, con la nostra solita furia animalesca, ci salutiamo per bene.

<<Ci vediamo tra qualche mese. Chiamami, mandami dei messaggi, non sparire. Nel frattempo io cercherò qualche opportunità di lavoro e un appartamento per te, d'accordo?>> Ha la fronte appoggiata alla mia e tiene gli occhi chiusi. Sento l'ansia nella sua voce: forse ha paura che io possa sparire un secondo dopo che ha messo piede sull'aereo. Non lo farò e, nel profondo, probabilmente lo sa anche lei.

<<Va bene. Fammi sapere come ti trovi là.>> Le chiedo.

<<Ti dirò tutto. Ti chiamerò sempre, ti sembrerà di vivere con me per quanto mi sentirai.>> Ridacchia.

<<Vai che perdi il volo.>>  Sorrido e la punzecchio sulle spalle. 

Deborah si stacca dal mio corpo, prende il mano la valigia e, dopo che ha percorso due metri scarsi, si ferma e si volta verso di me. 

<<Non dimenticarmi.>> Mi urla ed io, in tutta risposta, scuoto la testa sorridendo e la saluto con la mano. 

 Mentre la guardo allontanarsi da me, una piccola morsa mi chiude lo stomaco ... solo adesso mi accorgo che mi mancherà un po'. Mi sono affezionato ad averla sempre accanto. 

Sospiro e, quando la vedo sparire tra la folla, mi volto e vado verso la macchina. 

Quando mi metto al volante, però, il senso di malinconia che aveva tappato la bocca del mio stomaco se ne va e lascia spazio a un altro sentimento che, però, mi fa sentire in colpa: senso di libertà. Ora non dovrò più vivere la mia vita calcolando anche quella di qualcun altro. 

È strano che io provi questo sollievo perché, quando stavo con Adele, l'unica cosa che volevo era passare ogni secondo della mia vita con lei e non mi importava se dovevo misurare i miei comportamenti e tener conto dei suoi sentimenti. 

Faccio spallucce e, senza pensarci troppo, torno a casa mia. 



"Ci fosse stato
un motivo per stare qui,
ti giuro sai
sarei rimasto, sì."

Vasco Rossi

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