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<<Cerchiamo il Signor Adolfi.>> Dico arricciando il naso all'infermiera che sta al bancone. 

Mi fa schifo il fatto che io abbia lo stesso cognome di quell'uomo, non credo di meritarlo. Odio quando devo pronunciare il mio cognome perché, ogni volta, il volto di mio nonno mi balena in testa ... mi ha proprio marchiato con il fuoco, come si fa con una mucca.

L'infermiera ci da le indicazioni per raggiungere la camera giusta ed iniziamo a camminare in quella direzione. Le gambe mi tremano un po' ma Adele mi sta dando la forza necessaria per continuare a camminare senza traballare. 

A ogni passo che faccio, la mia sicurezza vacilla sempre di più e, di fronte alla porta, non so più se, venire qui, sia stata la scelta giusta. Adele mi chiede se preferisco entrare da solo e, la sola possibilità di varcare quella soglia senza la sua mano che mi mantiene sano di mente, mi sembra l'incubo peggiore della storia ... per questo la prego di restare con me e lei accetta senza emettere un fiato.

La stanza di mio nonno puzza di medicinali e di ospedale in generale. Vorrei scappare ma la mano di Adele, che è intrecciata alla mia, mi da la forza di restare. 

Lo vedo fragile, piccolo, in quel letto bianco che è grande il doppio di lui ... la situazione si è ribaltata: ora sono io il più forte tra i due, ora è lui l'indifeso. Ha gli occhi chiusi. 

Spero stia dormendo per non dovergli parlare ma, ovviamente, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo e nonno, appena faccio un passo in più per entrare nella stanza, apre gli occhi e mi guarda. Un brivido mi percorre lungo tutta la schiena.

<<Leonardo.>> Mi chiama ed io vorrei schiaffeggiarlo per fargli chiudere quella cazzo di bocca. Non ha il diritto di pronunciare il mio nome.

Sento la voce di Adele e questo mi fa calmare. "Leonardo stai calmo, Leonardo stai calmo" mi ripeto come un mantra per far sì che il mio cuore cessi di battere così violentemente e per impedire al mio sangue di ribollire fuori dalle mie vene.

<<Avvicinati.>> Mi prega mio nonno ed io guardo la mano che mi sta tendendo, con disgusto. Scuoto la testa e mi allontano di un passo. In questa camera mi sento una tigre in gabbia. Voglio uscire. Voglio andarmene. Sto per avere un attacco di panico.

<<Ti proteggo io.>> Mi sussurra Adele ed è come acqua su una ferita. Mi calmo e deglutendo forte, mi siedo di fianco al letto di mio nonno.
<<Scusa.>> Nonno mi guarda negli occhi e pronuncia, a fatica, quest'unica parola. Io lo guardo confuso. Cosa ho appena sentito? Mi sta chiedendo scusa? La tigre feroce che c'è in me ruggisce.

<<No, non ti basterà così poco.>>

E vedo i suoi occhi pieni di dolore. Non mi importa. Non mi importa come a lui non importava picchiarmi fino a farmi diventare nero.

<<Mi ... dispiace ...>> Gli dispiace, dice ... non gli dispiaceva quando si faceva venire le mani rosse a furia di batterle sul mio corpo da bambino? Mi trema la carne e devo ripetermi di stare calmo per non saltargli addosso e fare a lui tutto ciò che faceva a me. Devo stare calmo per non assecondare la voglia di staccare tutti i tubi che ha attaccato ovunque, come mi ha detto ieri Matilde, che lo monitorano mantenendolo in vita. Io non sono così. Io sono migliore. Non gli permetterò di vedermi trasformare in animale perché io non mi permetterò di diventare come lui.

<<Smettila.>> Ringhio. Non mi interessano le sue scuse adesso. Adele capisce che è il momento di portarmi via e, mentre usciamo dalla stanza, mio nonno ci fa sentire, di nuovo, la sua voce.

<<Perdonami.>> Rantola con tutte le forze che ha in corpo.

Mi viene da ridere. Ma come si permette di chiedermi scusa adesso? Dopo che ha avuto anni per farlo? Certo, ora che è sul letto di morte ha paura della punizione divina. Non se la caverà così facilmente. Non lo perdonerò per la merda in cui mi ha fatto crescere. È colpa sua se sono così. È colpa sua se ho una voragine dentro di me. E' colpa sua se, per riempire quella voragine, ho dovuto provare tutte le porcate di questo mondo. È tutta colpa sua e non è mia intenzione perdonarlo.

<<No, non sarà così facile. Per quanto mi riguarda, puoi marcire tra le fiamme più alte dell'inferno.>> Vorrei sputargli addosso ma, per quanto io sia arrabbiato con lui, ho ancora un briciolo di umanità in me e, quindi, esco dalla stanza trascinando Adele con me. E non mi importa se, mentre usciamo, sentiamo i singhiozzi del vecchio.
Sono grato ad Adele di essere rimasta al mio fianco. Non tutte l'avrebbero fatto.

Appena fuori dall'ospedale, la spingo contro il muro e la abbraccio. Lei mi cinge i fianchi e mi stringe forte.

<<Tu mi fai paura.>> Sussurro e appoggio la fronte alla sua.

<<Perché?>> Mi chiede e mi guarda negli occhi. Respiro il suo respiro ed è vita dentro i miei polmoni.

<<Perché ... mi capisci. Perché ci sei, nonostante tutto. Perché mi fai stare bene.>> Colpisco il muro con il pugno per sfogare la frustrazione che ho dentro. Merda, ci sto ricascando. Adele si alza sulle punte dei piedi e mi bacia. La sento sorridere contro le mie labbra.
Sono una gamba rotta e Adele è il gesso che mi abbraccia per far sì che io guarisca del tutto.

"Certe notti c'hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà."

Luciano Ligabue – Certe notti

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