DIECI ANNI DOPO

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Mischio le verdure che stanno cuocendo sul fuoco e, intanto, guardo fuori dalla finestra della cucina. Oggi c'è il sole e la primavera sta, finalmente, sbucando dalle spalle dell'inverno. Sui rami dell'acero che sta in giardino, stanno già spuntando le prime foglioline verdi. La primavera mi piace perché mi infonde sempre un po' di speranza nel cuore. 

Assaggio le zucchine e le aggiusto di sale per renderle perfette mentre, nella stanza accanto, si sente la porta d'ingresso che si apre e si chiude con un tonfo.

<<Ciao amore!>> Urlo sperando che lei mi senta. Mia moglie entra in cucina sbuffando e appoggia la borsa sul tavolo, poi viene dietro di me e mi appoggia un bacio sulla guancia. <<Come stai?>>

<<Enorme.>> Sbuffa lasciandosi cadere sulla sedia della cucina. Sorridendo vado da lei con in mano il cucchiaio di legno e le faccio assaggiare il sugo che sta bollendo nel pentolino di fianco alle verdure. Lei soffia, lecca il cucchiaio e, poi, sorride chiudendo gli occhi: segno che le piace ciò che sta assaporando.

<<Sei incinta, non sei enorme.>> Rido mentre torno ai fornelli.

<<Dovrai allargare le porto perché, tra poco,non ci passerò più.>> Mugugna mentre si accarezza l'enorme pancione.

<<Smettila, sei bellissima.>> Le dico e le strappo un sorriso.

<<Lo dici solo perché è colpa tua se sono così enorme.>> Piega la testa e mi guarda di sbieco. So che sta scherzando perché mi ha implorato per mesi prima che io mi convincessi ad avere un bambino. 

Ho trent'anni, sono sposato e, tra poche settimane, nascerà il mio primo figlio ... non l'avrei mai detto. Ero convinto che avrei vissuto da solo fino alla fine o che, almeno, avrei convissuto con qualcuno senza, però, sposarmi o costruirmi una famiglia.

<<Vado a mettermi qualcosa di comodo e torno, Leo.>> Mi da un bacio sulle labbra e barcolla in camera da letto.

Spengo i fornelli, preparo la tavola e, mentre aspetto mia moglie, mi affaccio alla finestra e comincio a pensare a ciò che è successo in tutti questi anni.

Dopo un anno negli Stati Uniti, sono tornato a casa in Italia perché ho capito che, se i problemi sono nella tua testa, non puoi cambiare continente per sistemare ciò che non va in te. Andarsene significa scappare da tutto e, in questo modo, non si risolve un bel niente. 

Tornato in Italia mi sono trovato un lavoro come cameriere in una pizzeria, mi sono comprato un appartamento, grazie ai soldi che avevo guadagnato e risparmiato a New York, in un condominio nella città in cui vivevo da ragazzo per poter stare accanto a Matilde e a mia nonna con la quale, dopo la chiacchierata fatta a casa sua di fronte alla crostata con le pesche, ho stretto un rapporto bellissimo. 

Dopo essermi sistemato per bene, ho chiesto a Giovanni il numero di un suo collega psicologo e me ne ha consigliato uno bravissimo che riceveva in uno studio non molto lontano dalla mia città, l'ho contattato e ho iniziato a farmi medicare le ferite del mio passato. Ho fatto molti passi avanti, grazie a lui. Ho capito che nonno non mi picchiava perché ero sbagliato, perché davo fastidio o perché non mi voleva bene; mi picchiava perché aveva un problema nella testa e non riusciva a risolverlo in altro modo. Non ero io il problema, non ero un caso umano, non ero un reietto della società, ero solamente un bambino di sei anni e lui era solamente un uomo malato e profondamente infelice. Non lo sto giustificando, non l'ho mai fatto e mai lo farò ma, grazie all'aiuto del mio psicologo, sono riuscito ad accettare il mio passato e a lasciarmelo alle spalle. Adesso riesco ad andare al cimitero a trovarlo senza provare malessere fisico ... credo di aver fatto pace con lui e di averlo perdonato per quello che mi ha fatto perché non mi andava più di provare tutta quella rabbia, ero stanco di essere com'ero. 

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