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<<Pronto?>> Rispondo al telefono di casa.

<<Ciao Leonardo.>> Mi irrigidisco. È mia nonna.

<<Ciao.>> Rispondo e non so più cosa dire. 

Per mia nonna provo sentimenti contrastanti: lei mi ha sempre trattato bene, ricordo i suoi abbracci calorosi e le sue mani esperte che mi asciugavano le lacrime, ricordo il profumo che mi danzava sotto al naso quando cucinava le polpette e la pasta con il ragù, ricordo la sua pazienza quando non avevo voglia di fare i compiti e quando non riuscivo a capire i problemi di matematica ... ma ricordo anche gli occhi velati di lacrime quando abbandonava la stanza lasciandomi nelle mani di mio nonno, ricordo quando si chiudeva in cucina e si tappava le orecchie e chiudeva gli occhi per non sentire e non vedere ciò che sapeva le stava accadendo sotto al naso, ricordo i suoi sorrisi forzati e gli occhi sfuggenti quando i miei genitori venivano a prendermi a casa loro e lei diceva che ero stato bravo, che era andato tutto bene, che avevo mangiato tutto e avevo finito tutti i compiti. Le voglio bene perché so che lei vuole bene a me ... anche se non riesco a dimenticare ciò che lasciava che mi accadesse. Le voglio bene perché non era lei che mi picchiava e perché, dopotutto, è mia nonna ... ma sono anche arrabbiato con lei perché, da anni, penso che avrebbe potuto fare qualcosa in più per aiutarmi.

<<Ti devo parlare. Hai da fare oggi?>> Ha la voce seria e non credo di averla mai sentita così.

<<Sono libero.>> Rispondo senza pensarci. Mi sento un autonoma, non so più che cosa devo fare.

<<Vieni a casa mia alle 16.00, ho preparato il tuo dolce preferito. Ciao.>>

Non mi lascia neanche il tempo di fiatare. Forse aveva paura che io disdicessi tutto. Riaggancio il telefono e sento uno sciame di farfalle svolazzare nel mio stomaco.

Sono in perfetto orario, meglio di un orologio svizzero. Mia nonna viene ad aprirmi la porta e indossa una gonna nera con una maglietta mezzemaniche color rosa antico. Ha i capelli grigi pettinati in un caschetto ben curato e gli occhi, verdi come i miei, mi sorridono.

<<Ciao Leo.>> Mi fa entrare e mi abbraccia. Io mi irrigidisco al contatto con le sue braccia ma lei non sembra notarlo. <<Vieni.>>

Mi fa strada attraverso l'anticamera della casa e ci trasferiamo in soggiorno dove il tavolo da pranzo è apparecchiato con due piatti, due bicchieri di cristallo, una caraffa di succo d'arancia con qualche cubetto di ghiaccio che vi galleggia dentro, e un dolce che sembra appena uscito dal forno.

<<Siediti pure. Ho fatto la crostata alle pesche ... è la tua preferita, giusto?>> Percepisco, nella sua voce, un pizzico di nervosismo e, forse, è la stessa ansia che sta attanagliando il mio stomaco. 

Annuisco per rispondere alla sua domanda e mi siedo, composto, al tavolo del salotto. 

E' la prima volta che entro in questa casa da solo da quando avevo dieci anni ... mille emozioni mi stanno vorticando dentro: tristezza perché, in questo salotto, rivedo un me bambino; rabbia perché ricordo che cosa accadeva tra queste mura; paura perché, nonostante io sappia che mio nonno sia morto, ho il terrore di vederlo spuntare da una qualche stanza; curiosità perché non so proprio cosa voglia dirmi mia nonna.

<<So a cosa stai pensando.>> Dice lei mentre mi mette una fetta di torta nel piatto e mentre mi versa un bicchiere di succo.

<<Cioè?>> Chiedo curioso.

Nonna si siede, con un sospiro, e mi guarda incrociando le mani sul tavolo. <<Mi dispiace per quello che è successo.>> Dice ed io inizio a digrignare i denti. <<So che avrei dovuto fermarlo ma ... non ne avevo la forza, avevo paura.>> Una lacrima le scende sul viso e se la asciuga con il fazzoletto che tiene nella tasca della gonna.

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