Hell's Kitchen, New York, USA
16 Ottobre, 2010La luce di una nuova giornata, illuminò il soggiorno del loft di Damian, svegliandolo dal suo sonno inquieto.
Facendo le cose in maniera abituale, si era stiracchiato per bene ed aveva lasciato il calore delle coperte solo per dissetarsi. Non aveva molta fame, così era tornato sul divano, deciso a crogiolarsi per tutto il giorno...almeno fin quando non fosse giunta l'ora di tornare a lavoro.
Sistemò meglio il cuscino sotto la testa e chiuse gli occhi, liberando la mente da ogni pensiero futile.
E ci sarebbe anche riuscito, se nella sua mente non fosse sorto il pensiero che, Charlie, non l'avesse più aggiornato sul caso "Nina". Certo, sapeva che all'interno delle mura del Tempio, i cellulari diventavano pressoché inutili pezzi di plastica. Ma loro erano Cercatori, cacciatori di demoni, e conoscevano altri metodi per comunicare.
Metodi che, però, Charlie non aveva ancora utilizzato.
Che fosse rimasto ferito anche lui, nello scontro?
O, forse...forse aveva usato quella sua capacità speciale, che lo prosciugava di gran parte delle sue forze.
Ecco, quella poteva essere una spiegazione plausibile.
Damian l'aveva vista all'opera ed era una cosa straordinaria. Però, alla fine, Charlie era costretto a letto per almeno un paio di giorni, debole e con possibili giramenti di testa.
Comunque...fintanto che stava al Tempio, avrebbe ricevuto le migliori cure del mondo, quindi era inutile preoccuparsi.
Charlie non era un pappamolle e sarebbe tornato in forze al più presto, ne era sicuro.
Quindi accantonò il pensiero e tornò a tentare di riposarsi.
Fece un respiro profondo, rilassandosi completamente ed era davvero ad un passo dal riaddormentarsi, quando bussarono alla porta del loft.
"Chiunque sia, torni più tardi; sono chiuso per sonno. Aprirò quando mi alzerò dal mio amato divano" pensò. E ridacchiò sommessamente.
Bussarono ancora e seguirono le parole: -Damian, sono Arkady. Apri immediatamente la porta; è urgente.-
Il giovane barista sbuffò. Cosa poteva esserci, di tanto urgente da richiedere la sua presenza?
Davvero non lo immaginava.
Ad ogni modo, dal tono di voce del suo amico, sembrava davvero una cosa importante.
Così, per la seconda volta, abbandonò il calore delle coperte ed infilò i pantaloni, prima di andare ad aprire.
Quando si trovò faccia a faccia con Arkady Mikhaylov, notò immediatamente che aveva delle occhiaie tremende. -Entra, forza- esordì senza convenevoli. Diventava sempre, particolarmente, burbero quando interrompevano il suo meritato riposo.
Arkady lo fece, avanzando a grandi passi verso il divano.
Damian chiuse la porta e si voltò verso l'amico, le mani poggiate contro i fianchi. -Allora? Cos'è questa cosa urgente per la quale mi hai svegliato?-
-Tuo zio- rispose, secco, il ragazzo russo.
L'altro alzò gli occhi al cielo, sbuffando. -Lo sapevo che portava guai- mormorò a denti stretti. Si passò una mano sul viso e si rivolse, nuovamente, ad Arkady. -Cos'ha combinato?-
-Ha aggredito un Palshtin- fu la seconda risposta fredda da parte del giovane dagli occhi azzurri.
Damian sgranò i suoi, verdi come smeraldi; sul volto, una maschera di incredulità. -Cosa? Stai scherzando, vero? Dimmi che non sei serio e che si tratta solo di un pessimo scherzo per rovinarmi la giornata di riposo. Guarda, non mi arrabbio nemmeno, se mi dici che è tutto finto, giuro. Ti lascio andare e me ne torno a dormire, visto che...-
-Dacci un taglio, King!- sbottò Arkady, i pugni stretti lungo i fianchi -Mi conosci bene e sai quando parlo seriamente e quando no. Perciò evita di perderti in chiacchiere inutili e vestiti. Devi venire al Tempio.-
Damian scrollò le spalle ed imprecò mentalmente, maledicendo suo zio ed il giorno in cui era tornato a far parte della sua vita.***
Cassius sedeva sulla branda della prigione in cui lo avevano chiuso. Indossava gli abiti della sera precedente e si teneva la testa fra le mani.
Cercava di trattenere l'ennesimo conato di vomito, cosa che non gli stava affatto riuscendo bene. Il secchio poco distante da lui, ne era un chiaro esempio.
Damian si presentò scortato da una guardia e, quando fu dinanzi alla cella di suo zio, il puzzo di vomito lo afferrò alle narici, facendogli attorcigliare lo stomaco.
Il rumore della chiave che girava nella toppa, fece alzare la testa al carcerato.
-Oh...ma chi si vede...- esordì con evidente sarcasmo -...cosa ci fai qui?- domandò più serio e freddo.
-Sono quì per te, zio- rispose il ragazzo dagli occhi verdi, entrando e coprendosi il naso con un braccio -Arkady mi ha detto che hai aggredito un Palshtin. Mi vuoi spiegare cos'è successo?-
-Vuoi saperlo davvero? Non mi sembravi così interessato, quando sei scappato per andare a fare il tuo "lavoro normale"- rispose lo zio, pronunciando le ultime due parole con ribrezzo.
Damian storse le labbra -Non sono corso via per menefreghismo, zio. E, comunque, non sono quì per parlare di me. Allora...mi racconti cos'è successo o no?-
-Già... Vorrei tanto saperlo anche io- si aggregò una voce femminile.
I due maschi si girarono verso l'ingresso della prigione, dove la guardia stava aprendo la porta ad una donna sul metro e settanta, con un fisico in forma e lunghi capelli biondi a boccoli. Aveva la pelle abbronzata e messa in risalto da un tailleur color avorio. Avanzò portandosi un fazzoletto di seta sul naso, così da limitare il puzzo che aleggiava in quella cella.
-Debrah?-
-Zia?-
Damian e Cassius parlarono all'unisono e la donna non perse l'occasione per schernirli. -Oh...che carini...parlate insieme come quelle coppiette che si completano o finiscono l'uno la frase dell'altro. Se non sapessi, per certo, che siete zio e nipote, vi vedrei bene come fidanzati.- Rise sguaiatamente, mentre i due uomini si scambiavano una rapida occhiata carica di perplessità.
-Che diavolo ci fai qui, Deb?- domandò Cassius atono e sforzandosi di trattenere un conato di vomito.
-Dolce come sempre, Cass- rispose lei, tornando seria -Mi ha chiamato il tuo amico... quel Whistler. Dice che hai aggredito Primus Hemingway. È vero?-
Cassius fece un profondo respiro ed annuì con un cenno della testa.
-Cosa?- Per la seconda volta, nel giro di poco, Damian si ritrovò a bocca aperta -Ditemi che non è la verità. Non puoi aver aggredito proprio lui, zio. È già grave attaccar briga con un confratello, soprattutto se è un Helios Rah o un Palshtin. Figuriamoci, poi, se è un Hemingway. Sono...-
-...senza parole, papà.-
Al suono di quella voce, il terzetto si voltò per veder entrare una ragazza. Era più bassa di Damian ed anche dei suoi genitori. Aveva lunghi capelli neri, acconciati in una treccia che si poggiava sulla sua spalla sinistra. Aveva gli stessi occhi di Cassius e si chiamava...
-Alyssa?- esordirono tutti e tre, come un'unica persona.
Lei li guardò come se fosse appena entrata in una gabbia di disagiati mentali e scosse la testa, come se non ci fosse speranza per quei tre individui. Prese posto vicino a Damian, accavallando le gambe ed incrociando le braccia sul petto. -Allora...cos'è questa storia?- domandò a suo padre.
-Da quando vesti in questo modo?- ribatté lui, squadrandola.
In effetti, Alyssa, vestiva in maniera decisamente provocatoria, con quella minigonna, gli stivali lunghi di pelle, le calze a rete e quella canottiera attillatissima. Sopra indossava un giubbotto di pelle nero, diverso da quello di suo cugino.
-Non divagare...papà- disse lei, fredda -Rispondi alla domanda, piuttosto- aggiunse.
-Prima tu...tesoro- replicò il signor King con maggior freddezza -Sono davvero curioso di saper quand'è che hai cominciato a vendere il tuo corpo.-
-Cosa?!- sbottarono madre e figlia in contemporanea, palesemente scioccate da quelle parole.
Sapevano bene che, Cassius, non aveva tutte le rotelle che giravano nel verso giusto (per così dire) ma non si sarebbero mai aspettate che dicesse parole simili a sua figlia.
-Cassius Ian Stuart King...- iniziò Debrah -...come osi dare della poco di buono, a nostra figlia? È l'alcool che ti fa dire certe cose o sei più malato del solito?-
Lui le rifilò un'occhiata veloce e sorrise con strafottenza. -Nessuna delle due, mia cara. Piuttosto, è il modo in cui va in giro nostra figlia. Non so se l'hai notata, ma non è proprio una che passa inosservata- sentenziò indicandola.
Damian guardò sua cugina e dovette ammettere a sé stesso che, suo zio, non aveva tutti i torti.
Anche Debrah guardò sua figlia e fu dello stesso parere di suo marito (o meglio, ex marito). Ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui; piuttosto si sarebbe tagliata la lingua. Quindi tornò a guardare l'uomo che, tanti anni prima, l'aveva conquistata, mantenendo un'espressione severa. -Questo, comunque, non ti da il diritto di darle della puttana, Cass!- sbottò.
-Ti sbagli, mia cara. Ne ho tutto il diritto visto che, fino a prova contraria, sono suo padre- ribatté lui -O mi hai mentito anche su questo?- le chiese, con un sorriso malevolo a sollevargli le labbra.
-No...- asserì Debrah -...su questo non ho mentito.-
-Bene...allora ho tutto il diritto di definirla come più mi aggrada- furono le parole del signor King.
Parole che fecero reagire sua figlia. Alyssa scattò in piedi ed iniziò ad urlargli in faccia che non era suo padre; che era un mostro schifoso che le aveva abbandonate, fregandosene.
Cassius incassò quelle parole, e rispose alzandosi dalla branda e rifilandole uno schiaffo.
Debrah sussultò come se fosse stata lei a subirlo e prese sua figlia, tirandosela alle spalle. Poi mise il carico da cento, iniziando a gridare su quanto fosse malato e violento. Gli rinfacciò anche molte altre cose, avvenute negli anni precedenti al loro divorzio.
Cassius cercò di difendersi al meglio, giustificando ogni sua scelta.
Il risultato, però, divenne quello di un enorme ciclone di parole, dentro al quale Damian stava per perdere la pazienza.
-Adesso, basta!- Il barista urlò così forte che, gli altri, ammutolirono di colpo e lo guardarono sbigottiti.
Damian era in piedi (non si era nemmeno reso conto di essersi alzato) e li fissava, rosso in viso ed infuriato. -Mi avete stancato con i vostri battibecchi. Tu, zia Debrah, sei l'ultima persona che può criticare lo zio, per il suo abbandono. Sbaglio, o tu stessa hai lasciato Alyssa al reparto infantile del Tempio di Barcellona?-
La donna fece per rispondere, ma lui non gliene diede l'occasione, rivolgendosi subito a sua cugina.
-E tu...- esordì puntandole contro l'indice della mano destra -...sei una piccola stronza ingrata; dovresti essere più riconoscente verso tuo padre. È stato lui a mandarti i soldi per il tuo sostentamento, quando hai lasciato il Tempio e hai deciso di vivere una vita normale. È stato lui a mandarti i soldi per l'Università, l'affitto e tutto il resto.-
Alyssa sgranò gli occhi, dando a capire che non ne sapeva nulla. -È...vero?- chiese guardando i suoi genitori.
-Certo che è vero- fu la risposta di Damian -Da dove credevi che arrivassero gli assegni che andavi a riscuotere? Da tua madre, forse? Oh, no...lei non ti ha mai mandato nulla. Ha sempre usato il suo denaro per fare la bella vita con il suo amato "Puffo Stregone". E continuerà a farlo perché non sa fare altro...men che meno la madre.-
A quelle parole, Debrah si avvicinò al nipote e tentò di dargli uno schiaffo. Tentativo che fallì miseramente quando lui le bloccò il polso e la guardò con occhi di fuoco.
-Non osare colpirmi- ringhiò il ragazzo.
-E tu non osare dire mai più una cosa del genere, nipote- disse lei, rabbiosa -Non hai idea di cosa abbia significato, per me, abbandonare mia figlia.-
-E' vero- asserì lui, serio -Non posso saperlo, non sono ancora un genitore. Ma se lo fossi, di certo non abbandonerei mio figlio o figlia, in un luogo lontano da me. I figli devono essere la prima preoccupazione, per un genitore, soprattutto nel nostro mondo. Tu, invece, te ne sei infischiata; non le hai mandato nemmeno un centesimo, sperperando il denaro in cose inutili e vizi che non se ne andranno più.- In seguito a quelle parole, il giovane barista mollò la presa sul polso della zia, allontanandola da sé. Quindi si rivolse anche a sua cugina, guardandola con la medesima severità rifilata a Debrah. -Adesso, voglio che usciate immediatamente da questa cella. Siete di troppo e, decisamente, inutili. Quindi andate via; fatevi una passeggiata per i negozi o qualsiasi altra cosa madre-figlia, ma state lontane dal Tempio. Sono stato chiaro?-
Alyssa non aveva mai passato del tempo insieme a suo cugino, ed ora che lo aveva visto infuriato, il desiderio di farlo era decisamente scemato. Infatti, fu la prima ad uscire da quel posto, ed anche piuttosto in fretta.
Sua zia Debrah, invece, rimase a fissarlo per qualche istante. -Sai, somigli molto a tua madre, Damian. Da piccolo, avevi il suo stesso carattere forte ed autoritario e, crescendo, lo hai mantenuto. Però, guardandoti adesso, mi rendo conto che in te c'è anche molto di questo psicopatico e, ciò ti ha rovinato. Personalmente, eviterò di avere qualsiasi contatto con entrambi. Mi fate ribrezzo.-
Poi, senza nemmeno salutare, uscì a grandi passi, dalla cella.
Damian sbuffò, tornando a sedersi di fronte a suo zio.
-Però...- esordì Cassius dopo qualche minuto di silenzio -...non mi sarei mai aspettato che prendessi le mie difese.-
Il giovane King, che aveva tenuto gli occhi chiusi per calmarsi e regolarizzare il battito, li aprì, puntandoli su suo zio. -Non rallegrarti troppo; non l'ho fatto per te, ma solo perché penso davvero che siano inutili.-
L'altro fece spallucce, sorridendo. -Beh, ad ogni modo...-
-...adesso mi dirai che cosa è successo- concluse Damian, con tono minaccioso.
Suo zio sorrise, con un certo orgoglio ed annuì. -Tua zia sarà anche una stronza, ma ha ragione: stare con me ti ha rovinato, nipote caro.-
-Può darsi, ma la cosa non interessa- replicò il ragazzo dagli occhi verdi. -Voglio sapere cosa è successo- aggiunse, scandendo bene le parole. -Adesso.-
-E sia...- acconsentì Cassius, incrociando le dita delle mani. Fissò il secchio per un breve istante, poi iniziò a raccontare.