Capitolo 36

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ATTACCO CONGELANTE

"Brooke? Rispondi ti prego. Devi aprire gli occhi subito! Non lasciarmi anche tu, ti scongiuro. Adesso ti alzi a torni a lottare come sempre"

Tredici ore prima

Finisco il mio allenamento mattutino: gli esercizi mi aiutano a rilassarmi e i miei muscoli rimangono forti e saldi.

Non vediamo la luce del sole da molti giorni ormai ed essere rinchiusi qui dentro non è proprio il massimo, ma mancano otto giorni e poi la vittoria arriverà.

In questi giorni non ho fatto altro che allenarmi duramente e leggere il libro che mi ha mostrato Edgar alla ricerca del 'tassello mancante' come lo ha definito Julian.

Ora che conosco tutta la leggenda, sono più tranquilla, anche se sono convinta che ci sfugga un dettaglio fondamentale: è un rompicapo infinito.

Facciamo colazione in rigoroso silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

Credo che nessuno abbia voglia di parlare, dato che l'ansia si sta impadronendo delle nostre menti e la paura si aggira attorno a noi come uno spettro.

Il silenzio, a volte, aiuta a riflettere e molte volte non c'è bisogno di parlare quando bastano gli sguardi e le occhiate per dire ciò che si pensa.

Ormai i viveri stanno finendo e le bevande scarseggiano.

Purtroppo non possiamo comprare niente, visto che ci troviamo in mezzo al nulla in un punto imprecisato della Siberia.

Mi sento rinchiusa in gabbia e sfortunatamente le chiavi per aprire la serratura sono scomparse.

"Brooke" mi chiama Julian.

"Dimmi"

"Tutto bene?"

"Sì, perché me lo chiedi?" Domando confusa.

"In questi ultimi giorni ti ho vista abbattuta"

Julian, tu non puoi capire che mi sto sgretolando e consumando.

Non sai che non dormo a causa della brutta sensazione che non mi abbandona dalla morte di Amib.

Lo rivedo davanti a me cadere, come se fosse una statua di cera.

Non ho fatto niente, l'ho lasciato morire.

Avrei dovuto prevedere le mosse dello zietto e fermarlo, ma Amib si è sacrificato per proteggermi.

"I-io sto bene" rispondo mentre mi attorciglio i capelli.

"Tutti siamo persi, ma non possiamo permetterci di mollare" dice piantodomi in asso.

La giornata scorre monotona e il freddo non aiuta il cervello a pensare.

Ormai i miei allenamenti si svolgono in modo automatico, come se il mio cervello agisse da solo senza il mio permesso.

Devo essere pronta per quando si chiuderanno i giochi.

Devo distruggere il mio zietto prima che lui distrugga noi.

Il suo volto lo rivedo nei miei peggiori incubi, ma devo essere io il suo peggiore incubo.

Tredici ore dopo

Mi avvicino alla scrivania e il rumore di un esplosione mi fa cadere per terra mentre le orecchie fischiano.

Il freddo pungente si espande nella base e non riesco a muovermi.

Qualcuno mi afferra per il mento e gli occhi di Thomas incontrano i miei.

"Oh ciao piccola Brooky? Ti sono mancato vero?"

La città segretaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora