Nove.

200 15 12
                                    

Please swallow your pride

If I have things you need to borrow

For no one can fill those of your needs

That you won't let show

Bill Withers


Era arrivato il giorno della finale. Gara secca, senza appello. O tutto o niente.

L'avversaria sarebbe stata la squadra rivelazione di quell'anno: Perugia. Gli umbri avevano sconfitto, contro ogni pronostico, Modena in semifinale ed erano approdati alla prima finale Scudetto della loro storia.


Aleksandar uscì per primo dallo spogliatoio, eccitato per l'importanza del match. Fece un paio di saltelli al riparo da occhi indiscreti, per testare lo stato della sua gamba. La settimana precedente, al termine della partita contro i modenesi, aveva sentito un po' di dolore alla tibia sinistra. Niente di insopportabile, si era riposato un paio di giorni e il fastidio era scomparso, perciò non lo aveva neanche segnalato al medico del team. Il test diede risultati incoraggianti: nessun indolenzimento, nessuna fitta. Sorrise tra sé e si incamminò verso il campo.

Dall'altro lato del corridoio scorse Nikola uscire dallo spogliatoio. Stava per chiamarlo, quando una donna riccia lo intercettò e lo abbracciò. Quella ragazza non era Alessia.

Si immobilizzò e osservò la scena, notando i gesti un po' freddi del palleggiatore e quelli entusiastici della donna.

//Che sia la famosa Nataša?//

Aspettò di vedere se Alessia lo avrebbe raggiunto, ma non successe. La riccia salutò Nikola con un bacio sulla guancia e il giocatore entrò in campo.

Aleksandar era perplesso; aveva la strana sensazione di essersi perso qualcosa. Non sentiva l'amica da alcune settimane e si chiese se questo avesse a che fare con la scena a cui aveva appena assistito.


Alessia era appena entrata nel palazzetto, seguita a ruota da Betty. La bionda non aveva voluto saperne di farla rimanere a casa, nonostante quello che era successo alcune sere prima. Era la finale e non poteva mancare, così le aveva detto.

La giornalista non aveva avuto la forza di controbattere, esausta a causa di tutto il dolore che stava provando in quel periodo e che la stava prosciugando. Si era fatta forza ed era uscita di casa. Lo aveva fatto per Goran: le era sembrato l'unico modo per ricambiare tutto ciò che l'amico stava facendo per lei.

All'improvviso si sentì chiamare; si immobilizzò e Betty finì per andarle addosso. Si volse lentamente e, con fatica, individuò la persona che aveva urlato il suo nome. Tentò di raggiungerla, facendo lo slalom tra il pubblico, lo staff e i giornalisti, mentre un piccolo sorriso scacciava i brutti pensieri.

Quando fu abbastanza vicina, due braccia l'avvolsero e lei inspirò quel profumo che conosceva bene, ricambiando la stretta.

<<Ti sono mancato?>> le chiese Aleksandar.

Alessia si staccò da lui e rispose, incerta:

<<Come sempre>>

Gli occhi dell'opposto la studiarono a lungo e la giovane non si mosse, intuendo che l'amico avrebbe colto nel segno.

<<Sei pallida, e sembri distrutta>> cominciò infatti lui. <<Dimmi che va tutto bene>>

Betty, che le era rimasta accanto fino a quel momento, si intromise con delicatezza.

<<Forse non è il caso di parlarne ora>>

Ma Alessia la fermò con una mano.

<<No, non fa niente. Rimandare non cambierà le cose>> sospirò, tornando poi a fissare Aleksandar. Non voleva che lo venisse a sapere da qualcun altro, né voleva dirglielo al telefono, quando centinaia di chilometri li avrebbero separati. <<Nik ha deciso di sposare la madre di Matija>> buttò fuori, senza alcuna emozione.

Era più semplice parlarne se faceva finta di non avere un cuore sanguinante in mezzo al petto.

<<Cosa? Adesso vado a dirgliene quattro!>> esplose il serbo, voltandosi verso l'ingresso del taraflex.

Ma lei gli posò una mano sul braccio, trattenendolo.

<<No, Alek. Ormai ha deciso, non cambierà idea>> disse piano.

<<Ti arrendi così? Non sei arrabbiata?>> il giovane era incredulo.

Lei trovò la forza di scuotere la testa, mentre il malessere tornava a invaderla.

<<Lo fa per suo figlio. Devo accettarlo>>

Aleksandar sbuffò, per nulla convinto.

In quel momento un suo compagno di squadra lo invitò a seguirlo in campo, così da poter cominciare il riscaldamento.

<<Dopo la partita, aspettami>> le raccomandò.

Alessia annuì.

<<Giocherò per te>>

Il suo occhiolino fu l'ultima cosa che vide prima che seguisse il resto della squadra sul campo.

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