Quaranta.

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All things must pass
none of life's strings can last
so, I must be on my way
and face another day

George Harrison


Nikola salutò gli avversari, poi spostò gli occhi sulla folla che stava applaudendo. Impiegò solamente alcuni secondi per rintracciare la persona che stava cercando. Nataša era seduta nelle prime file, a poca distanza dal campo, e si alzò in piedi ad aspettarlo. In braccio, teneva Matija.

Il palleggiatore andò verso di loro, impaziente di poter stare con suo figlio. Durante gli ultimi giorni, lui e la donna avevano raggiunto una sorta di precario equilibrio: Nataša assisteva a ogni singola partita e lui ne approfittava per coccolare il bambino. Non avevano ancora litigato, e Nikola lo considerava già un progresso. A volte, riusciva quasi a credere che avrebbero potuto davvero vivere insieme con un minimo di serenità.

Cercava di concentrarsi sul figlio e sul Campionato Europeo per allontanare altri pensieri decisamente più spiacevoli; fingeva di non accorgersi delle continue occhiate preoccupate che gli lanciavano Vladimir e Goran; aveva persino cancellato, con un enorme sforzo, il numero di Alessia dalla memoria del cellulare - non che fosse servito a qualcosa: lo conosceva a memoria ed eliminarlo non aveva compiuto un miracolo, ma da qualche parte doveva pur cominciare.

Nikola strinse Matija tra le braccia e si godette il momento. Nei due giorni successivi non avrebbe potuto incontrarlo: si erano qualificati per le semifinali e il coach aveva ordinato un paio di giornate di isolamento al fine di preparare nel miglior modo possibile le partite decisive.


Alessia si guardò allo specchio: le guance accaldate davano colore alla pelle abbronzata, gli occhi erano inquieti e i capelli appena asciugati le ricadevano ribelli sulle spalle.

//Cosa devo fare con voi?//

Si arrotolò alcune ciocche sulle dita, poi sospirò e impugnò la piastra, cominciando a domare la sua chioma, che quel giorno non ne voleva sapere di stare al suo posto. Se non si fosse sbrigata, Aleksandar sarebbe uscito senza di lei.

Provava una sottile agitazione all'idea di presentarsi al matrimonio di Manuel e Paola, anche se non ne capiva il motivo. Dopotutto, gli sposi l'avevano invitata e ci si sarebbe recata in compagnia di un buon amico; avrebbe dovuto godersi la giornata e non pensare a nulla, invece aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.

Quando ebbe terminato il lavoro, si osservò di nuovo: il vestito le stava bene, le scarpe erano abbastanza comode nonostante i tacchi e anche i capelli avevano finalmente deciso di collaborare. Non si sarebbe truccata per evitare che il caldo torrido la facesse assomigliare a una maschera di cera in via di scioglimento.

Uscì dal bagno e passò in camera per prendere la borsetta nera, poi raggiunse l'amico, il quale l'attendeva all'ingresso.


Aleksandar stava ingannando il tempo curiosando sui social; la Società di Perugia aveva pubblicato un post per fare i migliori auguri a Manuel. Sarebbe stato un matrimonio molto seguito; erano molti i fan e gli appassionati che avrebbero voluto avere qualche notizia sulla cerimonia.

Il rumore dei tacchi che si avvicinavano gli fece sollevare lo sguardo sulla sua amica. Dovette deglutire un paio di volte per evitare di rimanere con la bocca spalancata. Non riusciva a farne a meno: ogni volta che la guardava gli mancava il fiato. Non gli era mai successo con nessun'altra e, sebbene sapesse quali fossero i classici sintomi dell'innamoramento, non aveva mai creduto di poterli sperimentare così pienamente. E con una ragazza che non poteva avere.

Si riprese in fretta, sorridendole e offrendole il braccio, fasciato dalla manica della giacca di un completo blu scuro.

<<Pronta?>>

Alessia annuì e presto furono in macchina, diretti verso il Comune di Perugia, dove Manuel e Paola sarebbero diventati marito e moglie.

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