Trentasette.

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Can't you see that you're smothering me?

Holding too tightly, afraid to lose control

'Cause everything that you thought I would be

Has fallen apart right in front of you

Linkin Park


Il silenzio prolungato lo aveva insospettito; così, con l'aiuto delle stampelle, si era alzato per controllare che in cucina fosse tutto tranquillo. Una volta giratosi, si era bloccato vedendo Alessia a pochi metri da lui, gli occhi incollati allo schermo del televisore.


Si rese immediatamente conto di essere stato superficiale e ingenuo nel non pensare che Nikola avrebbe potuto comparire nel servizio. Maledicendosi nella lingua nativa, si chinò il più in fretta possibile per afferrare il telecomando e spegnere l'apparecchio. Poi tornò a fissare Alessia.

Notò il respiro accelerato, il colorito pallido e sudato, la postura rigida e si ricordò dell'attacco di panico che l'amica aveva avuto il giorno della finale tra Cuneo e Perugia. Con tutta probabilità, la ragazza stava per averne un altro.

Aleksandar lasciò andare una stampella e allungò lentamente la mano libera verso di lei.

<<Ale>> la chiamò con cautela, azzardando un passo nella sua direzione.

Lei non rispose e non lo guardò; non si era mossa, ma sembrava sul punto di implodere.

<<Stai calma, ok?>> tentò ancora l'opposto, avvicinandosi piano e con fatica.

Era quasi in grado di toccarla, ma non sapeva cosa fare. Se, involontariamente, facendolo avesse peggiorato la situazione?

Alessia non gli diede modo di riflettere a lungo sulla soluzione migliore, perché, all'improvviso, si girò e corse verso la sua stanza.


Goran stava per coricarsi quando il suo cellulare squillò. Era un orario insolito per una telefonata e il suo primo pensiero andò al padre. Temendo che ci fossero brutte notizie da casa, si affrettò a raggiungere il telefono e guardò lo schermo: non era sua madre, né sua sorella. Il sollievo che provò fu solo temporaneo, perché il nome che compariva sul display non lasciava presagire nulla di buono.

<<Aleksandar, cosa c'è?>> domandò subito dopo avere premuto la cornetta verde.

<<Goran, devi aiutarmi, non so che fare>>

Lo schiacciatore si irrigidì: la voce del compagno era agitata.

<<E' successo qualcosa? Alessia sta bene?>> si informò, sempre più preoccupato.

<<Sta avendo un attacco di panico e io non so cosa fare! Ci ho provato, Goran, te lo giuro! Ma non mi ascolta! E con la mia gamba... Non riesco a farla calmare>>

Goran sentì la paura nella voce del ragazzo, la stessa paura che minacciava di impadronirsi di lui in quel momento. Avrebbe voluto essere al fianco della sua migliore amica per aiutarla. Doveva inventarsi qualcosa.

<<Fammi parlare con lei>> ordinò ad Aleksandar.


Era iniziata l'iperventilazione e le girava la testa. Anche la vista iniziava a oscurarsi. Alessia sapeva di non avere molto tempo per riprendere a respirare normalmente, ma non riusciva a controllare le sue reazioni. L'unica cosa che riuscì a fare fu sdraiarsi sul letto, per evitare almeno di cadere a terra quando fosse svenuta.

Si rannicchiò, portando le ginocchia al petto, e chiuse gli occhi. Tentò ancora una volta di contare lentamente per regolarizzare il respiro, ma fu solo un altro tentativo vano. Sentiva la coscienza scivolare via, senza che lei potesse opporsi.

Ad un tratto, un oggetto duro e freddo le toccò il lato destro del viso. Non sapeva cosa fosse; non credeva nemmeno ci fosse qualcuno con lei nella stanza. Ci volle un po' per capire di cosa si trattasse; poi, iniziò a sentire una voce che le parlava. Si concentrò al massimo per individuare chi potesse essere il proprietario di quella voce, sperando che non fosse un'allucinazione causata dall'attacco di panico.

<<Ale>>

Qualcuno la stava chiamando attraverso quello che aveva compreso essere un cellulare.

<<Ale, sono io>>

//Goran!//

Finalmente aveva capito chi c'era dall'altra parte del telefono: il suo migliore amico. Afferrò l'apparecchio con disperazione e si aggrappò con tutta sé stessa al barlume di speranza che il ragazzo rappresentava.

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