Sessanta.

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Sitting on my own

A long way from home

It's a distance from you

And I'm thinking about you too

All Saints


In quella sera di inizio primavera erano seduti sul divano e stavano commentando le ultime notizie del telegiornale nazionale, quando il cellulare di Goran squillò. Era tardi e il ragazzo non immaginava proprio chi potesse essere. Tuttavia si rabbuiò subito quando vide il prefisso straniero sul display; rispose con voce seria e cominciò a parlare in serbo.


Alessia rimase in ascolto in silenzio. Non capiva una parola della conversazione, ma dal tono di voce dell'amico seppe che era successo qualcosa di grave. Quando lui riattaccò, dopo alcuni minuti, la ragazza non parlò, restando in attesa.

Ci volle un pò prima che Goran le spiegasse la situazione.

<<Era mia sorella>> disse senza guardarla. <<Mio padre è peggiorato e i medici dicono che non gli resta molto tempo. Due, tre settimane al massimo>>

Senza dire una parola, Alessia si sporse sul divano e lo abbracciò. Era teso.

<<Devo avvisare la squadra che non potrò essere presente finché non sarà tutto finito, poi devo prenotare il volo. Vorrei partire già domani>>

Finalmente si voltò a guardarla.

<<Starai bene qui senza di me per un pò?>> le chiese.

Alessia non ci pensò nemmeno per un secondo e rispose:

<<Lasciami venire con te. Posso organizzarmi con il lavoro, prendere un periodo di ferie e accompagnarti. E la squadra se la caverà senza di me per qualche settimana>>

Goran stava già scuotendo la testa.

<<Non voglio crearti problemi. Non devi...>>

Ma Alessia non lo lasciò finire.

<<Tu sei sempre stato al mio fianco quando ne ho avuto bisogno, anche nei momenti peggiori. Voglio fare lo stesso per te, ora>> si interruppe, dubbiosa. <<Sempre che ti faccia piacere>>

Goran l'abbracciò e mormorò:

<<Grazie>>


Mentre preparava il suo bagaglio sentiva Goran parlare al cellulare in soggiorno. Sapeva chi c'era dall'altra parte del telefono: Nikola. Lo schiacciatore era attento a non nominarlo mai per non turbarla, ma nonostante tutto era sempre il suo migliore amico. Anche quando si erano incontrati dopo la partita tra Cuneo e Milano il ragazzo non glielo aveva detto esplicitamente e lei non aveva fatto domande; ma in una situazione come quella era ovvio che lui lo cercasse.

Improvvisamente Alessia si sentì in colpa: Goran stava rinunciando al conforto di Nikola quando ne aveva più bisogno per non ferirla?

//Non posso fargli questo//

Quando ebbe chiuso il borsone, tornò in soggiorno e, dato che il giovane era seduto in silenzio sul divano, affrontò l'argomento.

<<Ho pensato...>> esitò, non sapendo come continuare. <<Non devi preoccuparti per me. Se hai bisogno di Nikola, lo capisco. Se vuoi che sia lui ad accompagnarti, per me va bene>>

Lui la fissò e fece un piccolo sorriso.

<<Nik non potrebbe assentarsi così a lungo. E poi sono contento che tu venga con me, così potrò farti conoscere la mia famiglia>> si alzò e la raggiunse.

Le sue braccia la strinsero e le posò un bacio sulla fronte. Poi prese il borsone che lei aveva preparato e insieme tornarono all'appartamento di lui per gli ultimi preparativi prima della partenza.


Il volo trascorse tranquillo. Goran era comprensibilmente più taciturno del solito, ma tra loro c'era sempre stato poco bisogno di parole.

Ogni tanto Alessia si chiedeva che impressione avrebbe fatto alla famiglia del ragazzo, cercando di immaginare l'accoglienza che avrebbe ricevuto. Non era preoccupata, solo leggermente nervosa. Dopotutto era un'estranea che si presentava a casa loro in un momento estremamente difficile.

Alessia si sentiva un pò in colpa: pur sapendo da tempo, ormai, che il padre di Goran era malato di cancro, non si era resa conto che fosse ormai allo stadio terminale. Forse perchè l'amico era sempre stato molto riservato al riguardo. Dopotutto non era proprio un argomento piacevole di cui parlare.


L'areoporto di Belgrado non era molto grande, nè molto affollato. Una volta scesi dall'aereo impiegarono poche decine di minuti per superare i controlli e ritirare i bagagli e si ritrovarono all'uscita. Alessia ringraziò il cielo di essere in compagnia di Goran: tra la lingua per lei incomprensibile e l'alfabeto cirillico si sentiva completamente spaesata.

Goran si diresse verso il taxi più vicino e diede le indicazioni all'autista. Quando salirono sul veicolo, Alessia strinse la mano dell'amico, che ricambiò la stretta e non la lasciò andare per tutto il viaggio.


Avevano lasciato la città e stavano per arrivare a destinazione. La sua famiglia abitava in un paese a circa mezz'ora di strada dalla capitale; si trattava di un piccolo centro, nel quale tutti si conoscevano e dove l'economia girava ancora intorno all'agricoltura e all'allevamento. Non era un luogo turistico.

Si voltò a osservare Alessia: lo sguardo rivolto al paesaggio che scorreva fuori dal finestrino e la mano ancora nella sua, sembrava tranquilla.

Quando aveva comunicato a sua madre che sarebbe stato accompagnato da un'amica aveva percepito perplessità e curiosità nella sua voce, ma la donna non aveva fatto domande.

//Avrei dovuto farlo prima, presentarle la mia famiglia...//

Avergliela mostrata via webcam due anni e mezzo prima non contava.

Ma era felice che adesso lei fosse lì con lui. Le settimane successive sarebbero state le peggiori della sua vita ed era fortunato a non doverle affrontare da solo. Le strinse un pò la mano e lei si girò a guardarlo. Gli sorrise e poi tornò a fissare fuori dal finestrino.

Nel frattempo il taxi stava percorrendo la strada di accesso al paese. Era quasi a casa.

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